Cina: sconfiggere la fame

“Quando aprimmo l’ufficio a Pechino, nel 1979, non avevamo assolutamente niente: non c’erano neppure i mobili, eravamo costretti a sederci sugli scatoloni. Ci volle un po’ prima che arrivassero tavoli, carta e matite da Hong Kong”. Gong Jianying, allora primo funzionario del World Food Programme in Cina – ed ora segretario amministrativo – ricorda con puntualità quanto fossero spartani quei tempi pionieristici. Ovvio che il Programma Alimentare delle Nazioni Unite, a distanza di oltre trent’anni, celebri i successi del gigante asiatico: “300 milioni di persone portate fuori dalla povertà in meno di una generazione, una delle grandi imprese dell’umanità del XX secolo”. E di questi, aggiunge il rapporto che ha festeggiato l’anniversario, 30 milioni sono stati i cinesi letteralmente sfamati dal Wfp.
Soddisfazione più che legittima. Anche il risultato complessivo “epocale” merita di essere sottolineato: soprattutto se si considera che i primi traguardi del Wfp – tra l’83 e l’89 – si limitavano a cercare di triplicare la produzione di latte nelle sei principali città della Repubblica Popolare (da Pechino a ‘Xian). Da allora, di strada ne è stata fatta, con accelerazioni esponenziali. Molte dozzine di progetti seguirono, concentrati questa volta proprio nelle regioni che più erano vittime della fame, quelle rurali, in un momento complessivo difficile, con il governo di Pechino che già faticava – i tempi della crescita del pil a due cifre sarebbero arrivati ben più avanti – ad uscire dalle spire e dagli strascichi del maoismo.
La celebrazione, però, non può far dimenticare il contesto. Non solo quello di oggi: proprio l’executive director del Wfp, Josette Sheeran, ha appena ricordato che 300 milioni – la cifra della fame, in un certo senso – sono i bambini che ogni giorno nel mondo vanno a letto ancora affamati. Il successo della Cina è andato di pari passo con quella che gli storici considerano la più grande migrazione dalla campagna alle città della storia umana. Un’urbanizzazione cominciata con le riforme di Deng Xiaoping, il quale ha portato dalle zone povere alle (odierne) megalopoli 70 milioni di persone già nel ’93, ed il doppio dieci anni dopo. Queste persone potrebbero superare quota 240 milioni entro i prossimi 15 anni.

Numeri importanti, senza nulla togliere agli sforzi di chi ha faticosamente lavorato nelle campagne del Paese per eradicare la fame e seminare la prosperità. Pechino, d’altra parte, conosce bene l’importanza della questione “alimentare”, sempre più spesso chiamata “food security”. Gli oltre 70 progetti del Wfp in Cina puntano a rendere produttive terre non sfruttate, a creare sistemi di irrigazione ed infrastrutture, così come a valorizzare il ruolo della donna nei lavori rurali e, più in generale, nella società. Ciò non vuol dire – naturalmente – che i problemi delle campagne, in Cina, siano risolti: cartina di tornasole sono proprio le proteste che, qua e là, esplodono contro le amministrazioni locali, nel tentativo di essere ascoltati dal potere centrale.
Non solo: la questione alimentare nelle zone rurali ha riverberi di molti generi: è di pochi giorni fa la notizia, risultato di un grande studio statale che ha coinvolto ben 570mila contadini cinesi (e la cui pubblicazione sarebbe stata rallentata dalle resistenze all’interno del ministero dell’Agricoltura), che il lavoro nei campi – con i suoi metodi intensivi – sarebbe la causa principale dell’inquinamento del Paese, molto più delle fabbriche. “Fertilizzanti e pesticidi”, ha ammesso dal dicastero Wang Yangliang, “hanno giocato un ruolo importante nell’irrobustire la produzione, ma in certe zone il loro uso improprio ha avuto un grave impatto sull’ambiente”.
Tutto ciò non c’entra più con i goal segnati dal World Food Programme. Ma il punto è che oggi, come non mai, tutto si tiene. “Sconfiggere la fame è l’emergenza della nostra generazione, con un miliardo di affamati nel mondo, un essere umano su sei che ogni giorno si sveglia senza sapere se riuscirà a trovare qualcosa da mangiare”, spiega Josette Sheeran.
Così, da due-tre anni, assistiamo ad un vero e proprio assalto dei Paesi più ricchi con minore disponibilità di terre coltivabili verso Paesi poveri di strutture, ma ricchi di terre per la produzione di cibo. E in testa a tutti, in questo shopping che molti considerano una versione da Terzo Millennio del colonialismo, proprio la Cina, che in Africa – dall’Angola allo Zambia al Mozambico – ha già rastrellato milioni di ettari da coltivare per sfamare la popolazione in patria. Già, sfamare. Perché la popolazione mondiale, e quella cinese, crescono, le risorse alimentari molto meno. Anzi, i dati dicono che le terre coltivabili in Cina sono diminuite. Così, il Paese del Dragone va dove la fame c’è ancora e sottrae i frutti dell’agricoltura e dell’allevamento per dare da mangiare alla propria, di gente. E sapete quanti sono, solo nel Continente africano, proprio secondo lo stesso Wfp, le persone in piena emergenza alimentare? Esatto: 300 milioni.

Edoardo Vigna
giornalista del Corriere della Sera
http://globalist.corriere.it

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