Salvaguardia e protezione del territorio

Vi sono luoghi considerati patrimonio dell’umanità: Roma, Venezia, Firenze, altri meno noti, ma non per questo meno suggestivi – vestigia dei resti imperiali, impervie stradine medievali, angusti vicoli portuali, splendori rinascimentali, severità umbertine, chiese e palazzi antichi di straordinaria bellezza, musei e collezioni d’arte, cimiteri monumentali, giardini, piazze, strade – devastati da speculazioni di ogni tipo.

Abbiamo ancora tutti davanti agli occhi lo sventramento del centro storico dell’Aquila: le strade, i portoni, i muri, le finestre aperte dalla furia del terremoto. Un centro storico divenuto, in poche ore, “zona rossa”, con divieto assoluto di accesso. A pochi giorni dal tremendo sisma, si discuteva già di piattaforme di cemento e new town (inglesismo orrendo che sanciva la morte dell’Aquila), mentre Collemaggio, la Fontana delle 99 Cannelle, il Castello, Piazza San Pietro con la sua Basilica, via Roma, si sgretolavano ad ogni minima scossa. Quella città conosciuta in tutto mondo non esisteva più. E con quel pezzo di città è morta tutta l’economia dell’Aquila. La quale, proprio nel centro, aveva il suo motore. È stata poi seppellita anche la nostra coscienza di cittadini consapevoli. Anche il 2010 è iniziato con il suo carico di tragedia: a Favara, in provincia di Agrigento, il crollo di una palazzina ha provocato la morte di due bambini. Tutta la cittadina ha pianto una tragedia tristemente annunciata da tempo, e che solo il Sindaco diceva di ignorare. Purtroppo, il degrado dei centri storici è più evidente nel Sud che nel Centro-nord. Interi quartieri abbandonati al degrado, privi di qualsiasi controllo tecnico, abitati da classi sociali disagiate, autoctone o straniere. Incapaci di difendere il proprio patrimonio e la propria storia, amministratori e cittadini preferiscono abbandonare tutto: abitazioni, laboratori artigiani, negozi antichi. A Palermo, ad esempio, negli storici quartieri della Vucciria, Ballarò, Capo e l’Alberghiera, circa duecento persone rischiano la pelle ogni sera di andare a dormire dentro alloggi che potrebbero crollare da un momento all’altro. Secondo un censimento del 2007, sarebbero centottanta gli edifici ad alto rischio di crollo e sessantasette di questi sono abitati. Il censimento ha portato all’individuazione di milletrecento edifici che necessitano di interventi di ristrutturazione. Ma se per ottocento di questi i problemi evidenziati dai tecnici dell’assessorato riguardano fondamentalmente il decoro urbano, per gli altri cinquecento esistono rischi concreti di crollo.

Nel corso del 2008, tra diffide ed ordinanze di eliminazione, dall’amministrazione municipale sono partiti circa quattrocento provvedimenti nei confronti di proprietari di immobili altamente degradati, ed è stato loro intimato di metterli in sicurezza. In alcuni casi, davanti all’inerzia dei privati, il Comune, per tutelare la pubblica incolumità, si è attivato con risorse proprie, effettuando interventi sostitutivi a danno dei privati stessi, addebitando cioè loro le spese di messa in sicurezza. Operazione, questa, che l’amministrazione dovrebbe fare con sistematicità, ma il bilancio e le casse perennemente vuote non glielo permette. Nel 2007, il crollo di parte di una palazzina nel centro storico di Bitonto, in provincia di Bari, che fortunatamente non ha provocato vittime, ha evidenziato lo stato di degrado in cui versa il centro storico di questa cittadina pugliese. Così com’è stata molta la paura, lo scorso anno, per il crollo di una palazzina in via Giudici, in pieno centro storico, ad Angri. Il cedimento strutturale ha determinato, come sempre, la riapertura della discussione sulle condizioni nelle quali versa da troppo tempo il cuore antico della città. Nel settembre 2009, un’enorme voragine, larga una ventina di metri, si è aperta in Vico San Carlo alle Mortelle, Quartieri spagnoli, nel centro storico di Napoli. La voragine, provocata probabilmente dalle forti piogge dei giorni precedenti, ha causato l’evacuazione di sei edifici, cinque “bassi”, e messo a rischio la staticità della chiesa di San Carlo alle Mortelle, una delle chiese monumentali di Napoli. Abbiamo citato solo pochi casi, ma una mappatura seria dei centri storici a rischio porterebbe all’emersione di migliaia di casi sparsi su tutto il territorio nazionale, in un percorso ideale che dalla profonda Sicilia ci farebbe attraversare lo Stretto di Messina, per giungere sull’Appia Antica, alle Cinque Terre, oppure nella Murgia materana o al Delta del Po, fino alla Necropoli di Tuvixeddu, vicino a Cagliari.

L’Italia è un museo a cielo aperto. È una frase che abbiamo sentito migliaia di volte, ed è vero. Il territorio italiano, anche nelle sue aree urbane minori, racchiude una tale ricchezza di capolavori che è difficile separare la storia, spesso travagliata, di queste città e di questi borghi dalle sue opere. Vi sono luoghi considerati patrimonio dell’umanità: Roma, Venezia, Firenze, altri meno noti, ma non per questo meno suggestivi: vestigia dei resti imperiali, impervie stradine medievali, angusti vicoli portuali, splendori rinascimentali, severità umbertine, chiese e palazzi antichi di straordinaria bellezza, musei e collezioni d’arte, cimiteri monumentali, giardini, piazze, strade. Un così ricco e pregevole patrimonio storico-artistico e, a volte, anche scientifico e naturalistico, si concentra in spazi circoscritti e ben delimitati, denominati semplicemente “centri storici”. Sono il cuore antico di città piccole e grandi, il centro pulsante, attirano gli occhi dei visitatori per caso o dei turisti curiosi, degli studiosi e dei cittadini che, spesso, ne ignorano perfino l’esistenza. Ci accorgiamo della loro importanza e delle ricchezze che racchiudono quando una tragedia ne sfregia irrimediabilmente l’aspetto. Incuria umana, catastrofi naturali, speculazioni pagate dall’alto costo di vite umane. Solo di fronte all’irreparabile ci rendiamo conto della scarsa lungimiranza di amministratori locali e governi nazionali, incapaci di valorizzare tesori unici, renderli ambienti vivi e ricchi di prospettive turistiche e lavorative. Recuperare questi centri storici significherebbe ridare un senso alla comunità, violentata nei suoi aspetti peculiari, salvare antiche tradizioni, ricostruire un tessuto sociale, offrire un futuro ai giovani, valorizzare le competenze di giovani archeologi, geografi, studiosi del territorio, ingegneri, architetti e artisti, potenziare poli turistici dotati di bellezze ineguagliabili. Fino ad oggi, speculazioni di ogni tipo hanno semplicemente devastato interi territori e, nei casi più gravi, provocato morti innocenti su cui si è pianto due giorni per poi vedere tornare tutto come prima. Centinaia di milioni di euro buttati in progetti mega-faraonici inutili e dannosi quanto costosi, mentre interi centri cittadini muoiono per il consumo del suolo, le alterazioni del tessuto urbano e sociale, il disordine edilizio, il degrado, il traffico, l’inquinamento dell’aria, il caos acustico e visivo, l’emergenza rifiuti. Per non parlare dell’espulsione dal centro delle funzioni abitative e delle attività artigianali e industriali tradizionali, sostituite da attività improprie e invasive come pub, fast food e commercio di bassa qualità.

Quanti luoghi si sarebbero potuti recuperare con quei soldi, quante prospettive produttive e lavorative vere, non frutto di speculazioni di basso profilo, si sarebbero potute garantire per l’oggi e per il domani? C’è solo da sperare che lo scandalo che ha coinvolto la Protezione Civile che, a quanto pare, proteggeva solo se stessa e i suoi indegni interessi, porti ad un radicale cambio di rotta nella salvaguardia e nella progettazione del territorio. Insieme agli interventi più urgenti, le nostre città necessitano di un programma di sviluppo e di qualificazione del piccolo commercio di vicinato, potenziando l’integrazione e la concentrazione delle vecchie botteghe e favorendo il recupero di piccole e medie imprese artigiane e commerciali, per rendere fruibili ai cittadini ed ai turisti i vari centri storici di piccoli e medi comuni, oggi in completo abbandono. Non solo. Per il recupero dei centri storici, in particolare di quelli minori, è necessario promuovere un progetto, questo sì straordinario ed urgente, per il recupero degli alloggi popolari inutilizzati, incentivando le famiglie o i giovani che intendono ristrutturare alloggi abbandonati per andare a risiedervi o per creare laboratori, dando così una risposta al diritto alla casa e, nello stesso tempo, alle esigenze di riqualificazione urbana. Non esiste una ricetta ideale degli interventi, ma un metodo da seguire per uno sviluppo reale. Vi è invece, sempre, un “valore morale” davanti al quale quale nessuno può tirarsi indietro. Le città hanno bisogno di processi virtuosi per uscire dall’attuale livello di marginalità e per superare la fase dell’emergenza. Servono interventi esterni, ma anche occasioni per sviluppare il senso dell’identità collettiva. Più accoglienza e maggiori servizi, con un’oculata distribuzione dei costi nel tempo e nello spazio, possono rilanciare le condizioni di efficienza e di qualità dei nostri meravigliosi centri storici.

Bianca La Rocca
Responsabile dell’ufficio stampa di Sos Impresa Confesercenti

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