Migranti da non perdere

Abbiamo consapevolmente scelto la logica del pregiudizio e della paura, anziché responsabilmente cercare di cogliere le opportunità che il fenomeno dell’immigrazione ci offriva e ci offre in termini di arricchimento culturale, di crescita rispetto a settori cruciali della nostra economia e della nostra stessa convivenza

Alla recente Conferenza di Copenhagen, il Ministro delle Finanze del Bangladesh, Abu Maal Abdul Muhith, ha sostenuto che, nei prossimi 40 anni, circa 20 milioni di abitanti del suo Paese saranno costretti ad emigrare a causa dei cambiamenti climatici. Il Bangladesh possiede una densità di popolazione tra le più elevate al mondo. Che direzione prenderà questa fiumana umana? Il Ministro ha fatto appello al buon senso della comunità internazionale, invocando da subito una gestione lungimirante dei flussi di persone che abbandonano l’entroterra inondato e le aree costiere danneggiate dagli uragani. Come segnala l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM), sono numerosi i Paesi asiatici che stanno cercano in qualche modo di gestire le ondate migratorie dirette dalle aree rurali a quelle urbane sovrappopolate. Tali flussi comportano gravi conseguenze a livello di infrastrutture, servizi pubblici, salute.

A causa dell’innalzamento del livello del mare, Bangladesh, India e molti piccoli stati isolani, come le Maldive, nei prossimi 50 anni dovranno confrontarsi con il problema di massicci trasferimenti di popolazioni. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo scientifico che valuta l’impatto del cambiamento climatico, calcola che, entro il 2050, ci potrebbero essere più di 200 milioni di migranti indotti dai cambiamenti climatici.

Si sta quindi profilando una nuova categoria di profughi, quelli ambientali, da affiancare alle legioni di rifugiati politici e di rifugiati per ragioni economiche. C’è già chi chiede la revisione della Convenzione Onu sui rifugiati per tener conto di questa nuova fattispecie. E’ sottointeso che i Paesi ricchi, considerati responsabili dei cambiamenti climatici, dovrebbero in qualche modo farsene carico. Rajendra Pachauri, chairman dell’IPCC, ha affermato che ciò significa modificare le leggi sull’immigrazione e facilitare l’integrazione di queste persone nel mondo sviluppato.

Questo tipo di emigrazione è strettamente legato al fenomeno della “bomba demografica”, l’emergenza che continua a minacciare il pianeta. La popolazione mondiale è oggi di circa 6 miliardi di persone e, in base alle proiezioni degli esperti, salirà a 11 miliardi nel 2050. Organizzazioni come la Optimum Population Trust, ma anche centri accademici come la London School of Economics e l’autorevole rivista medica Lancet, preconizzano un controllo demografico attraverso la contraccezione, sistema valutato più efficace e meno caro di qualsiasi “tecnologia verde”, per ridurre i cambiamenti climatici. Ma, nonostante l’urgenza sia sotto gli occhi di tutti, la questione demografica continui a rimanere un tabù inviolabile.

Il tema dell’immigrazione diventa, giorno dopo giorno, sempre più stringente. Anche per il nostro Paese. In Italia, almeno fino ad oggi, la materia è stata affrontata, da politica e mezzi d’informazione, con toni e soluzioni di carattere emergenziale. Una questione di ordine pubblico più che un fenomeno da governare e regolamentare.

Per troppo tempo non si sono capiti, o si è scelto di ignorare, alcuni effetti perversi della globalizzazione, tra cui quello di aver indotto milioni di persone a mettersi in marcia, andando a premere anche ai nostri confini. Un effetto che si è acuito con la crisi economica: questa ha rimesso in circolo una manodopera che aveva trovato occupazione su mercati la cui crescita appariva inarrestabile (es. Dubai). Era dunque prevedibile che ci saremmo trovati davanti ad un banco di prova importante e all’esigenza di formulare ed attuare strategie efficaci in termini d’integrazione e di sviluppo. Per ora, abbiamo fallito l’obiettivo. Abbiamo scelto la logica del pregiudizio e della paura invece di cogliere, con senso di responsabilità, le opportunità che il fenomeno dell’immigrazione ci offre, in termini di arricchimento culturale e crescita in settori cruciali della nostra economia. Nella nostra stessa convivenza. Il Governo ha adottato provvedimenti nella speranza di arginare i flussi migratori, nella consueta prospettiva di interpretare l’immigrazione quale fattore di destabilizzazione e non come possibile risorsa.

Questo approccio distorto ha prodotto effetti deleteri – e vorrei dire addirittura pericolosi – nella percezione che l’opinione pubblica ha maturato degli immigrati. Non potrebbe essere altrimenti in un Paese nel quale, da mesi, assistiamo ad una vera e propria campagna politico-mediatica che genera paura e allarme fra i cittadini. Si cavalcano supposte diversità antropologiche mentre passa il messaggio immigrato=criminale. Attorno al non-dibattito su questo fenomeno, il battage sui crimini commessi dagli immigrati ha diffuso fra la gente la convinzione, del tutto errata, che la stragrande maggioranza dei reati nel nostro Paese venga commessa da stranieri. Questo aspetto è stato particolarmente evidente nel periodo in cui si è discussa l’introduzione del reato di clandestinità. Come ha detto qualcuno, la fattispecie ha introdotto una nuova categoria sociale, quella degli “esseri umani non autorizzati”…

Penso che la scelta peggiore che il Governo abbia fatto, a parte quella di creare un reato del tutto anomalo, che non tiene in alcun conto la realtà vissuta da coloro che scelgono di abbandonare la propria terra di origine nella speranza di trovare maggiori opportunità altrove, sia stata quella di alimentare derive razziste, che hanno ormai raggiunto livelli di guardia. Ciò che è del tutto mancato, invece, è stato un dibattito serio su come affrontare al meglio la sfida dell’integrazione e su quali nuove basi costruire oggi il nostro modello di convivenza civile.

Trovo piuttosto singolare che un Paese come il nostro, dotato di una lunga tradizione migratoria, scelga di avvalersi di uno strumento giuridico come il reato di clandestinità e decida di ignorare il principio del non respingimento, previsto dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, ormai parte integrante del diritto comunitario. Si tratta di misure che ledono diritti fondamentali della persona e che hanno come unico effetto quello di fare terra bruciata attorno agli immigrati, sia gli irregolari, sia coloro che cercano di mettersi in regola. Li si fa “scomparire” sempre più nella clandestinità, in una sorta di “ottica del limbo”.

E’ necessario rivedere complessivamente e radicalmente la logica restrittiva e punitiva della legge n.102. Vanno esaminate le proposte di legge già depositate nei due rami del Parlamento volte a permettere a tutti i cittadini non comunitari che svolgono un’attività lavorativa – e che ne fecero domanda già nel 2007 – di percorrere la strada dell’emersione. Va favorita l’uscita dalla clandestinità, condizione che spinge gli immigrati ai margini della società e, spesso, nella braccia della criminalità.

I meccanismi di regolarizzazione risultano farraginosi e rendono estremamente complicato il percorso di emersione anche per quelle decine di migliaia di persone che da anni vivono e lavorano stabilmente in Italia. Come abbiamo visto con la vicenda di colf e badanti, neppure i provvedimenti occasionali costituiscono uno strumento efficace di governo del fenomeno, specie se riguardano solo alcune categorie di lavoratori. Il Prefetto Morcone, nell’audizione in Senato il 10 novembre scorso, ha affermato non solo che “…la recente regolarizzazione di colf e badanti non ha asciugato tutto ciò che era sommerso, anche per i limiti posti dalla legge…” ma che, anzi, occorrerà presto ipotizzare simili interventi in altri settori “…dove il lavoro nero è particolarmente consistente come l’edilizia, l’agricoltura o l’allevamento…” Potrei aggiungere la ristorazione, il turismo, ecc. Ricordo che, proprio per rimediare a questa discriminazione in base al mestiere, insieme ad altri senatori di entrambi gli schieramenti, ho depositato già da luglio un disegno di legge, non ancora calendarizzato, che si propone di regolarizzare la situazione di persone che possiedono tutti i requisiti, e che vivono da anni nel nostro Paese svolgendo spesso compiti di primaria importanza per la nostra vita quotidiana e per la nostra economia.

Secondo i dati ufficiali, sono circa 340.000 gli immigrati, e con loro gli Italiani datori di lavoro, che oggi si trovano a vivere – senza averla scelta – una condizione da para-criminali. E che siano una risorsa per l’Italia, dal punto di vista economico, è fuor di dubbio: nel 2006 l’apporto lavorativo degli stranieri era stimato a 122 miliardi di euro, pari a 9,2% del Pil; sempre nel 2006, questa popolazione attiva straniera ha versato all’Inps 6 miliardi di euro, mezzo miliardo al mese! Oggi ci sono 165 mila titolari di impresa con cittadinanza estera, che danno lavoro anche a molti Italiani. Questo sull’imprenditoria è un dato chiave. Gli immigrati non sono solo un fattore di crescita economica, ma possono costituire un ottimo ponte con il resto del mondo. Pensiamo solo a quello che potrebbe significare in termini di promozione del Made in Italy e, soprattutto, in termini di internazionalizzazione del nostro sistema produttivo.
Anche per questo sostengo con slancio l’idea di uno sciopero degli immigrati sul modello dell’iniziativa “24 ore senza di noi”, lanciata dalle comunità immigrate in Francia. Per cominciare a dire che, per l’Italia, gli immigrati non sono un costo, ma una ricchezza.

Emma Bonino
Vicepresidente del Senato della Repubblica Italiana

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