I latitanti

Ciò che delude maggiormente è la sostanziale indifferenza manifestata da quasi tutti i governi che hanno partecipato a questa conferenza; sembra che a conti fatti nessuno abbia intenzione di rinunciare ai propri interessi economici.

Il giorno dopo la fine della conferenza sul clima, tenutasi a dicembre a Copenhagen, ci siamo svegliati ancora nel caos.
Gea, dea sorta secondo la mitologia classica proprio dopo il caos, nasce sì immortale, ma pare che, alle soglie del terzo millennio, la sua immortalità sia messa in seria discussione dal disastro ambientale che la sta devastando ogni giorno di più.
L’incubo si chiama erosione del suolo, eccessivo sfruttamento delle terre produttive, inquinamento idrico e atmosferico, progressivo esaurimento delle risorse naturali. Solo in Italia, nel 2009, un intero paese siciliano è crollato, sbriciolandosi sotto una montagna di fango.
L’incubo è anche rappresentato dallo squilibrio sempre più grande che divide la popolazione giovane (in grado di produrre ricchezza) e quella anziana (completamente improduttiva), in costante aumento, bisognosa di cure mediche ed assistenza.
Si crea così un allarme sociale, da molti ancora troppo sottovalutato, che sfocia nella solitudine e nel degrado di una società civile sempre più allo sbando.

Siamo quindi giunti alla fine del mondo?
Il 21.12.2012, indicato dai Maya quale data ultima di questo catastrofico evento, non è più solo una leggenda?
Secondo questo antichissimo popolo, quella che stiamo vivendo attualmente si chiamerebbe Età dell’Oro, e sarebbe l’ultima di cinque ere cosmiche (contraddistinte dai quattro elementi, acqua, aria, terra, fuoco) corrispondenti ad altrettante civiltà.
Le quattro precedenti sono terminate tutte con un cataclisma causato da un’inversione del campo magnetico terrestre, dovuto ad uno spostamento dell’asse del pianeta che pare si verifichi periodicamente. Ad esempio, quella distrutta dall’acqua fu Atlantide.
Senza scomodare le profezie millenarie, molto più prosaicamente, si potrebbe ipotizzare l’approssimarsi della conclusione di un’era ed il simultaneo inizio di un’altra. Certo è che l’uomo, obtorto collo, dovrà prendere in considerazione la necessità di tornare a condurre un’esistenza più parsimoniosa, dato che non è poi così impossibile che alcune risorse ritenute inesauribili, ad esempio il petrolio, possano esaurirsi in una manciata d’anni.
In misure diverse, siamo tutti responsabili dell’alto livello di sfruttamento ambientale raggiunto: praticamente, consumiamo l’equivalente delle risorse generate da tre pianeti.
E’ stato stimato che nel 2050 aumenterà la necessità di acqua dolce nei Paesi industrializzati; alcune fonti alimentari, come, ad esempio, il pesce, sono a rischio estinzione perché il consumo è triplicato negli ultimi quarant’anni.
Ma la preoccupazione principale del nostro tempo è legata, soprattutto, all’aumento degli inquinanti, in particolare Pm10, causa di malattie cardiovascolari e respiratorie. A niente, o quasi, è servita l’eliminazione di cfc, incidenti sull’assottigliamento dello strato di ozono.
Per comprendere le contraddizioni ed i paradossi che caratterizzano le nostre attuali scelte di vita, basta portare un esempio che ha attinenza con le festività appena trascorse e, nella fattispecie, con quello che potremmo definire il loro simbolo universale: l’albero di Natale.
Ebbene, esso ci fornisce la misura di quanto l’uomo abbia sbagliato danneggiando l’ambiente.

Dopo anni di campagne atte a promuovere l’acquisto di un abete sintetico, si è giunti alla conclusione che quello più “ecologico” risulta invece essere proprio quello “vero”, dal momento che per produrre un albero di plastica si danneggia l’ambiente più che per far nascere un abete vero delle stesse dimensioni.
Mandare in discarica l’albero finto, comporta l’emissione nell’atmosfera di una quantità di gas-serra pari a 40 chili di anidride carbonica. La metà, se si manda in discarica quello naturale.
Il mostro da abbattere, che sta minacciando la vita sulla Terra, si chiama dunque “gas-serra”. Tuttavia, durante l’ultimo vertice, svoltosi a Copenhagen per adottare possibili misure capaci di ridurre le emissioni dei gas-serra, i Paesi più potenti del mondo, quali gli Stati Uniti e la Cina, non sono stati all’altezza delle aspettative. Eppure, proprio negli Stati Uniti “l’ambiente” era uno dei punti chiave della campagna elettorale del Presidente Obama. Il quale, peraltro, promette di investire nei carburanti a basso contenuto di carbonio e di contrastare la dipendenza dalle importazioni petrolifere mediorientali.
Sappiamo tutti che la conferenza sul clima non ha previsto obiettivi vincolanti per ciò che concerne la riduzione di emissioni di co2, ma solo l’impegno di contenere il riscaldamento a 2 gradi.
Pertanto, sembra proprio che continueremo a “brancolare” ancora un po’ in un buio fumoso e inquinato, in attesa che si compia il miracolo di mettere da parte, una buona volta, gli interessi politici ed economici e cercare veramente una soluzione al problema dell’inquinamento globale.
Ciò che delude maggiormente è la sostanziale indifferenza, manifestata da quasi tutti i governi che hanno partecipato, verso l’obiettivo di questa conferenza. Sembra che, a conti fatti, nessuno abbia intenzione di rinunciare ai propri interessi economici.
Non è né giusto, né sufficiente che sia solo l’Europa a sforzarsi per combattere efficacemente l’inquinamento globale, imponendo vincoli e divieti alle proprie industrie ed ai propri cittadini, se poi tutto il resto del mondo non si impegna con altrettanta serietà.
Elencare tutte le possibili fonti alternative di energia che non utilizzino combustibili fossili è facile. Difficile è creare le condizioni perché esse trovino effettiva applicazione e, soprattutto, rapida espansione.
Le possibilità sono tante: l’energia idroelettrica, quella del moto ondoso, l’eolica, la geotermica, quella ricavata da biomassa e biogas (vedi biodiesel e olio di colza).
Tuttavia, ognuna di queste meravigliose possibilità diventa realtà solo attraverso la ricerca. E sappiamo tutti che, a livello mondiale, si sono spesso verificati conflitti di interesse tra coloro che dovrebbero investire nella ricerca e coloro che vendono petrolio, impedendo così che si concretizzasse un’effettiva alternativa per il futuro.
In attesa, dunque, del prossimo appuntamento, fissato fra sei mesi, e che vedrà nuovamente seduti intorno ad un tavolo gli uomini più potenti della Terra, cerchiamo di non sprecare tempo e di chiederci, ognuno nel nostro piccolo, quanto sappiamo a proposito di ciò che inquina ed in quale misura. Per quanto possibile, cerchiamo anche di regolarci di conseguenza.
Diminuire gli sprechi, tanto per cominciare, comporterebbe la diminuzione della quantità di rifiuti che produciamo giornalmente.
Questo potrebbe già essere un buon inizio.

Marco Scurria
Deputato al Parlamento Europeo

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