Le vacanze solidali in Mali

Immortalare per immagini un’etnia millenaria è ormai un sogno low cost a portata di tutti, con voli charter che ti fanno atterrare direttamente a Mopti e macchine digitali a tracolla in cui non hai neanche più il costo di sviluppare le pellicole! Ma l’impatto ambientale e, soprattutto, culturale, rischiano di essere devastanti, specie se il territorio in questione diventa Patrimonio Mondiale dell’Unesco e viene segnalato su tutte le guide turistiche!

Quando pensi ad una vacanza in Mali, ti immagini immerso fra architetture arcaiche, dipinti rupestri, cerimonie Dogon, carovane nel deserto verso la mitica Timbuctu. Non pensi certo di ritrovarti appeso ad una parete di roccia, assistito da una guida locale, scalatore patentato, con tanto di moschettoni e corde, come se fossi allo Yosemite o su una parete alpina. Eppure, anche questo può diventare realtà in Mali. Il turismo responsabile nel più grande paese dell’Africa Occidentale prevede una grande varietà di proposte, sempre in un’ottica di rispetto dell’ambiente e delle culture locali e di sviluppo sostenibile. Grazie ad un progetto del programma ST-EP dell’OMT, su iniziativa di Viaggi Solidali e Cisv, è nata anche una rete maliana (Jigiyasira, cammino delle speranza in bambara) che raccoglie queste offerte e che si sta attrezzando per immetterle in modo coordinato sul mercato.

Ecoturismo a Siby, parete di roccia e “bauli scientifici”
L’ecoturismo nel Mandè ce lo racconta Thérese, con lo sfondo di un magnifico arco naturale in roccia arenaria che ci ricorda più gli scenari di “Ombre rosse” che i panorami della savana. Thérese è una francese dal carattere di ferro e guida l’associazione Karamba Tourè di Siby, nel cuore del paese Mandè, un’ottantina di chilometri da Bamako. Suo padre, uno dei tanti migranti di ritorno dalla Francia, diede vita anni fa a questa associazione con lo scopo di alleviare le difficili condizioni di vita degli abitanti della sua regione e, nel contempo, fornire un’alternativa concreta di lavoro ai giovani. Uno dei primi obiettivi dell’associazione fu quello di affrontare il problema dell’alfabetizzazione. Ma, anche ammesso di trovare i fondi per costruire una scuola e pagare gli insegnanti, non era facile riuscire poi a portarci i ragazzi, e men che meno gli adulti. Nessun problema, sarebbero stati gli insegnanti ad andare da loro. Con l’aiuto de la Vilette di Parigi nascono così i “malles scientifiques” (letteralmente bauli scientifici), le scatole cinesi del sapere, rese in forma semplice ed illustrata, ma, soprattutto, chiuse in un unico baule trasportabile di villaggio in villaggio. Il turismo comincia ad entrare nei programmi di intervento dell’associazione basandosi sulla bellezza naturalistica del territorio e sulla vicinanza alla capitale Bamako. “Agli inizi – racconta Thérese – i ragazzi ci avvicinavano soltanto per capire come fare ad ottenere il visto ed andare a fare fortuna in Francia.

Oggi non è più così, ora apprezzano quello che l’istruzione può apportare anche in termini di opportunità di lavoro. È nata, ad esempio, un’associazione di guide di arrampicata con 8 dipendenti regolarmente assunti. In un villaggio vicino, a Bankoumana, sulle rive del Niger, stiamo lavorando ad un progetto di accoglienza turistica sul fiume, con tanto di canoe, guide e campement”. Oggi, queste persone riescono a vivere lavorando per un turismo locale, individuale e scolastico: la risorsa forse più importante per arrecare solidità ad un piano di sviluppo turistico sostenibile è il basarsi anche sulla domanda locale e non soltanto sui turisti che arrivano da lontano. La prossima scommessa? Alimentare i guadagni con la filiera turistica. Il mango è l’oro del Mandè, ma non ci sono oggi delle capacità industriali per il trattamento della frutta: durante il tempo della maturazione, la raccolta non è sufficiente ed i manghi marciscono o sono mangiati dagli animali. Non a caso, stanno lavorando ad un progetto di essiccatori solari per il confezionamento di mango secco. Il turismo, però, non porta soltanto benefici. Salutandoci, Thérese ricorda che “il turismo deve essere controllato. Non bisogna far diventare la regione Mandè come i Paesi Dogon, dove i bambini corrono dietro ai turisti e tutta la comunità vive al servizio dei turisti.” Assaporando un piatto di “fonio” al ristorante di Aminata Traoré a Bamako, programmo la prossima tappa di questo viaggio alla scoperta del turismo solidale in Mali: il centro di Teriya Bugu.

Dai Castelli di Francia alle rive del Bani
Negli anni ’50, Padre Bernard Verspieren lascia il castello di famiglia nel nord della Francia per fare il missionario in Africa. Ed è nel 1963 che, durante una battuta di caccia lungo le rive del Bani, incontra un pescatore Somono, Lamine Samaké. Il missionario ed il pescatore decidono di unire gli sforzi per aiutare la popolazione locale nella lotta contro la terribile siccità che in quegli anni colpisce il Mali. Padre Bernard ha molte amicizie influenti in Francia e riesce a far convergere su questo progetto non solo finanziamenti, ma idee e soprattutto tecnologie all’avanguardia. Oggi, Teriya Bugu, («la casa dell’amicizia» in lingua bambara) è un centro di turismo solidale modello, con un hotel, un ristorante, una sala conferenze da 100 posti ed una serie di attività agricole e comunitarie sulle rive del fiume Bani, a pochi chilometri da Sègou, sulla strada fra Bamako e Mopti. Un’incredibile oasi nella brousse con più di 200.000 alberi, una fattoria ecologica, un villaggio di 500 persone con una scuola, un dispensario, una biblioteca, un museo e persino una piccola piscina. “L’albero di kaicedra è molto prezioso da queste parti – racconta Pierric Raulin, direttore del centro di Teriya Bugu – perché con il suo legno si costruiscono ottime piroghe.

Mai nessuno però oserebbe abbattere il kaicedra che si trova nel nostro centro, perché è proprio alla sua ombra che nacque l’amicizia fra il missionario francese ed il pescatore maliano ed il sogno cominciò a diventare realtà”. Teriya Bugu, attualmente gestito da una ONG maliana (AEDR), è anche un centro di energie rinnovabili (biogas, solare fotovoltaico e termico) totalmente autosufficiente. Dopo la morte di Padre Bernard nel 2003, la comunità locale ha assunto un ruolo centrale nel nuovo piano di sviluppo. “La figura carismatica del Padre – dice Pierric – era talmente forte che nelle riunioni a volte le persone non intervenivano per timore reverenziale. Oggi c’è una presa di coscienza collettiva e si può dire veramente che Teriya Bugu sia gestita dai suoi abitanti!” Il centro ospita turisti di passaggio, ma anche seminari e gruppi di lavoro che in questo luogo trovano la calma e la serenità per discutere, fra un assaggio di miele e marmellate locali a colazione ed un’escursione in piroga sul Bani al tramonto. Il gusto un po’ kitch delle statue di giraffe e coccodrilli a grandezza naturale, a fianco delle installazioni per la produzione di biogas, ed i pannelli solari passano inosservati di fronte a tutto il resto. Insomma, una sosta a Teriya Bugu, nel cammino che porta da Bamako alla mitica Djennè ed ai Paesi Dogon, si impone, per un viaggio solidale in Mali. Per info: www.tb-mali.com

Il turista alla caccia di etnie
Benedetto o maledetto? Meglio non giudicare, dipende dai punti di vista. Certo è che l’etnologo francese Marcel Griaule è stato l’elemento scatenante del mito e, involontariamente, anche dello sviluppo turistico della Regione Dogon. Immortalare per immagini un’etnia millenaria è ormai un sogno low cost a portata di tutti, con voli charter che ti fanno atterrare direttamente a Mopti (dalla Francia almeno) e macchine digitali a tracolla in cui non hai neanche più il costo di sviluppare le pellicole! Ma l’impatto ambientale e, soprattutto, culturale, rischiano di essere devastanti, specie se il territorio in questione diventa Patrimonio Mondiale dell’Unesco e viene segnalato su tutte le guide turistiche! Non a caso, l’argomento verrà trattato in uno degli ateliers del prossimo Forum Internazionale del Turismo Solidale, che si svolgerà a Bamako nel prossimo mese di ottobre (www.tourisme-solidaire.org).

Il Pays dogon è una federazione di villaggi, con un capo elettivo (hogon), costituiti da clan di famiglie patrilineari con residui di istituzioni matriarcali. Compito del turismo responsabile in un’area come questa è far si che il tutto non si trasformi in un safari etnologico, un “usa e conserva” di facciata, dove lo scambio e l’incontro con i legittimi abitanti diventano un optional per turisti intelligenti. Anche nella terra dei “guardiani del cielo” esistono proposte turistiche alternative, sicuramente meglio integrate nel territorio ed attente a favorire uno sviluppo sostenibile. Ad esempio, la visita di Walia, un villaggio Dogon fuori dai circuiti del turismo classico, vi permetterà di scoprire come un viaggio solidale possa essere una bellissima vacanza che aiuta anche una cooperativa di donne a sviluppare un’attività artigianale ed un intero villaggio a sviluppare progetti sociali.

Enrico Marletto
Presidente “Viaggi Solidali” Cooperativa Sociale Onlus
direttore responsabile della testata “Viaggi Solidali Magazine

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