Domande e risposte sulla giornata mondiale contro l’omofobia

È il 17 maggio del 1990 quando l’Assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità cancella l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Quindici anni dopo, su iniziativa di Louis-Georges Tin, curatore del “Dictionnaire de l’homophobie” è nata La Giornata Internazionale contro l’omofobia. Questi sono sei punti dell’intervista a lui rivolta tratti dal sito www.omofobia.it.

1. Quali sono gli scopi pratici di questa Giornata? Il nostro primo scopo pratico è suscitare iniziative. Potranno assumere forme molto diverse: un dibattito a scuola, una mostra in un caffè, un’animazione di strada, una trasmissione radiofonica, una proiezione in un circolo di quartiere, una tavola rotonda organizzata da un partito politico, un concorso letterario lanciato da un giornale, una campagna di sensibilizzazione condotta da un sindacato, eccetera. Il secondo scopo della Giornata è coordinare e rendere visibili le iniziative. Questo progetto ha un terzo obiettivo: iscrivere la Giornata nel calendario nazionale del maggior numero di paesi e poi, perché no, farla adottare a livello internazionale.
2. È meglio parlare di omofobia o di LGBTfobia? La parola «LGBTfobia» permetterebbe di tener conto delle lesbiche, dei gay, dei bisessuali e dei trans. Purtroppo, si rischia di perdere in leggibilità quello che si vorrebbe guadagnare in visibilità. Al giorno d’oggi, la parola «omofobia» è conosciuta, e riconosciuta, in un gran numero di paesi. La parola «LGBTfobia», invece, è pressoché sconosciuta in quasi tutti i paesi del mondo. È per questo che preferiamo la formula «Giornata Mondiale Contro l’Omofobia», a patto di ricordare continuamente al grande pubblico che la nostra battaglia non riguarda solo l’omosessualità maschile, ma che si tratta anche delle lesbiche, dei bisessuali e dei trans. In questo contesto, l’espressione LGBT ci sembra molto utile per mettere in rilievo la varietà dei problemi affrontati. In effetti, l’omofobia riguarda le lesbiche (lesbofobia), i gay (gayfobia) e le persone bisessuali (bifobia). Ci impegniamo inoltre a combattere contro la transfobia, che, pur distinguendosi dall’omofobia in quanto riguarda l’identità di genere e non l’orientamento sessuale, rinvia comunque a dispositivi sociali che sono spesso vicini alle logiche omofobe in senso stretto.
3. E le altre discriminazioni? Questa Giornata contro l’Omofobia non rischia di occultarle? No. È vero che bisogna considerare la Discriminazione come un fenomeno generale; ma bisogna anche combatterla nelle sue forme specifiche – e l’omofobia è una di queste forme. La lotta all’omofobia sfocia necessariamente nell’affermazione dei diritti sessuali in generale, che si tratti di sesso, di identità di genere o di orientamento sessuale. Per questo si ricollega alla battaglia contro il sessismo; e del resto non è un caso che le persone più sessiste siano spesso anche le più omofobe. Ma si ricollega anche alla lotta contro l’Aids e contro tutte le infezioni sessualmente trasmissibili, dato che non si può praticare l’autonomia sessuale senza un minimo accesso all’informazione e alle cure. La lotta all’omofobia sfocia infine nell’affermazione dei diritti umani in generale. Del resto, le associazioni LGBT si impegnano spesso ben al di là delle problematiche sessuali, e agiscono all’unisono con altri movimenti sociali. In queste condizioni, la Giornata Mondiale Contro l’Omofobia favorirà l’avvicinamento tra le associazioni LGBT e le associazioni di difesa dei diritti umani.
4. In che cosa la Giornata Mondiale si distingue dalla Marcia dell’Orgoglio LGBT? Questi due eventi si distinguono appunto nella misura in cui si completano a vicenda: – a livello di principio: le Marce mettono l’accento sull’orgoglio delle lesbiche, dei gay, dei bisessuali e dei trans che rifiutano l’obbrobrio; la Giornata Mondiale, invece, mostra che la vera vergogna è l’omofobia, che va decostruita nelle sue logiche sociali e combattuta concretamente. – a livello pratico: attraverso la Marcia dell’Orgoglio, scendiamo nelle strade per far sentire la nostra voce alla società civile; attraverso la Giornata Mondiale, entriamo nella società civile per portare il dibattito dentro le istituzioni, le scuole, i quartieri, eccetera. Come si vede, le due strategie sono perfettamente simmetriche e complementari.
5. Parlare di omofobia non significa crogiolarsi in un atteggiamento da vittime? È poco probabile che le vittime dell’omofobia abbiano voglia di crogiolarsi in un simile ruolo. Gli atti e i discorsi omofobi sono una realtà che non si può (più) ignorare. Il nostro scopo è appunto denunciare le violenze passate e presenti per prevenire, o almeno limitare, le violenze future. Il problema non è l’omosessualità, ma l’omofobia: dobbiamo dunque concentrare i nostri sforzi in questo senso.
6. La Giornata Mondiale assumerà ovunque la stessa forma? È poco probabile. Dato che l’omofobia assume forme molto diverse a seconda degli spazi geografici e sociali, anche le risposte all’omofobia saranno sicuramente molto diverse. In molti paesi del Sud il problema consiste nel matrimonio coatto (eterosessuale, naturalmente), soprattutto per le donne; in molti paesi del Nord è il divieto del matrimonio (omosessuale, naturalmente) a essere al centro del dibattito. In certi ambienti gli uomini sono esclusi o linciati sulla pubblica piazza, mentre le donne sono imprigionate o punite nel silenzio dei ginecei. In certi casi l’omofobia agisce in nome di Dio, in altri in nome della Scienza. A volte l’omosessualità è condannata ma i transgender sono «tollerati», a volte è il contrario. A seconda dei casi, la bisessualità è considerata un male minore o il colmo del vizio, eccetera. Infine, al di là delle iniziative locali o nazionali, due fatti attirano la nostra attenzione nella misura in cui coinvolgono le istanze internazionali. Il primo riguarda la recente risoluzione presentata dal Brasile alla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite per far riconoscere i diritti delle persone LGBT. Il secondo fatto è un po’ meno recente, ma non meno significativo: il 17 maggio 1990, l’Assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità cancellava l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Così facendo, intendeva mettere fine a più di un secolo di omofobia medica. Di conseguenza ci auguriamo che, in accordo con questa logica storica, anche l’Alto Commissariato per i Diritti Umani e la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite condannino l’omofobia nelle sue manifestazioni politiche, sociali e culturali riconoscendo questa Giornata.

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