Che cos’è oggi la famiglia

La Costituzione definisce la famiglia come una società naturale fondata sul matrimonio e all’epoca non si dubitava che questo avvenisse fra un uomo ed una donna. Oggi, invece, la nozione stessa di famiglia è stemperata in molte accezioni: famiglia nucleare, famiglia di fatto, convivenza more uxorio, famiglia mononucleare.

 

Esaminare i nuovi modelli di unione familiare o para-familiare richiede prima che ci si ponga un quesito preliminare: che cos’è, oggi, la famiglia? Certo, oggi la famiglia non è più quella primitiva, quando si formava per imposizione del più forte. Non è neppure più quella romana, quando il pater familias esercitava sui sottoposti – figli, moglie, mogli dei figli, servi, domestici – un potere assoluto, potendo anche mettere a morte taluno di loro senza incorrere in sanzioni giuridiche. La famiglia non è neppure quella disegnata nell’ottocento dal codice Napoleone e dalle altre grandi codificazioni che lo presero ad esempio. All’epoca, in presenza di una disobbedienza grave, era consentito al padre far incarcerare i figli e questi ultimi, sebbene di sesso maschile, non potevano contrarre matrimonio senza il consenso del padre fino ai venticinque anni, per quanto la maggiore età si raggiungesse al compimento dei ventuno. Il padre, inoltre, esercitava il ius corrigendi pure sulla moglie. Anche il codice civile italiano del 1865 riprendeva questi modelli. Tutto questo è certamente finito con la Costituzione repubblicana e poi con la riforma del diritto di famiglia. La Carta fondamentale ha riconosciuto la piena parità dei genitori, cancellando ogni residuo della potestà maritale (art. 29, co, II, Cost.), ed ha dettato norme a tutela anche della prole che, se inadeguatamente curata, può essere sottratta ai genitori (art. 29, co. II, Cost.). Con la riforma del diritto di famiglia (1975), alla patria potestà si è sostituita la potestà dei genitori. Nel modello costituzionale, la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio (art. 29, co. I, Cost.), e all’epoca non si dubitava che essa avesse il suo nucleo nell’unione di un uomo e di una donna.

Negli ultimi decenni, la nozione stessa di famiglia si è però stemperata in una pluralità di accezioni. I sociologi parlano con frequenza di famiglia nucleare, per evidenziare che la famiglia odierna, a differenza di quella antica, comprende, nella concezione comune, solo i coniugi ed i figli con loro conviventi, e non gli altri parenti. Si parla anche di famiglia di fatto, e ci si dovrebbe mettere d’accordo su cosa voglia dire. Giuridicamente, la nozione sembra oggi poter essere riferita a persone di sesso diverso che hanno generato dei figli e sono conviventi, ma non risultano legate da vincolo di matrimonio. Ove vi sia la convivenza, ma non vi sia la prole, la giurisprudenza pare tuttora orientata a definire il legame come una convivenza more uxorio, mentre, in alcune sentenze un po’ risalenti, anche di legittimità, la relazione affettiva di un uomo e di una donna che non hanno figli e non convivono ma, quando si incontrano, si comportano da marito e moglie, era stata definita “relazione ancillare”. Ma si parla di famiglia anche con accezioni singolari, come la famiglia mononucleare. Io sono sposato da alcuni anni e precedentemente abitavo da solo. Ebbene, nei registri dello stato civile del mio Comune di residenza risultava iscritta la famiglia Paolo Di Marzio, che però era composta da una sola persona. Si può, in questi casi, parlare ancora di famiglia? Si aprono, inoltre, nuovi scenari: l’Olanda, ed in sostanza anche la Spagna ed altri Paesi, consentono il “Matrimonio” tra persone dello stesso sesso. In forme diverse, anche la Francia e parte degli Stati Uniti ammettono che due omosessuali conviventi, i quali stipulano una sorta di contratto matrimoniale, debbano essere considerati una famiglia. Da noi, il legislatore rivaluta il modello di famiglia allargata e, nella recente legge sull’affido condiviso (n. 54 del 2006), ha previsto che, in caso di separazione dei coniugi, i figli debbano conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun genitore (cfr. il nuovo testo dell’art. 155, co. I, C.c.).

Questa legge, tra l’altro, trova applicazione anche in presenza di filiazione naturale ed in tal senso la libertà di vivere i rapporti familiari secondo un modello di totale libertà ne riceve un vulnus, perché, quando vi sia prole, l’ordinamento richiede che si applichino quasi per intero le stesse regole, anche se i genitori non hanno contratto matrimonio. Deve poi tenersi conto che da noi anche la c.d. famiglia di fatto riceve, a tutt’ oggi, una limitata disciplina e tutela legale. Un appiglio normativo si rinviene nell’art. 317bis C.c., che si preoccupa di regolare i rapporti tra genitori di figli naturali conviventi. Se non c’è prole, però, questa disciplina non si applica, e pertanto un uomo ed una donna, pur conviventi, non sarebbero ancora una famiglia di fatto. Qualche riconoscimento della famiglia di fatto e della stessa convivenza more uxorio si rinviene, nella disciplina di alcuni istituti giuridici, ad opera di una giurisprudenza “integratrice”, anche costituzionale. Il Giudice delle leggi, infatti, ha riconosciuto il diritto a succedere nel contratto di abitazione al convivente (Corte Cost. n. 404/’88). La Cassazione, poi, riconosce il diritto del superstite alla riparazione del danno biologico subito per la scomparsa del convivente. L’ordinamento penitenziario ammette che il detenuto possa intrattenersi nei propri periodici colloqui con il convivente. Anche a livello di pubblica amministrazione qualcosa si muove: ad esempio, è riconosciuto ai magistrati un punteggio aggiuntivo per poter lavorare in un ufficio giudiziario vicino al domicilio del convivente. Se si guarda al diritto costituzionale, però, ai sensi dell’art. 2 della Carta, la famiglia di fatto è comunque una formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo e dovrebbero probabilmente esserle assicurate maggiori tutele. Ancor più complesso diviene il discorso quando si parla dei nuovi modelli di organizzazione familiare, come i Pacs o, se si preferisce, i Dico. Allo stato, invero, se ne può dire poco, perché se politicamente non si decide la direzione in cui andare, ed entrambi gli schieramenti sembrano divisi al loro interno, è difficile ipotizzare quale potrà essere l’inquadramento normativo di questi nuovi istituti.

Anche qui occorre guardare all’esperienza di altri Paesi. Nel mondo anglosassone si prevede da tempo che i conviventi, di qualsiasi sesso, possano stipulare dei patti, una sorta di gentlemen’s agreements ma giuridicamente vincolanti, per disciplinare la loro vita in comune. In origine si trattava di ripartire l’onere di pagare le utenze (telefono, acqua, fornitura di elettricità), oppure disciplinare il contributo in termini di lavoro domestico (lavatura, stiratura, cucina, etc.) del convivente che stava a casa. Successivamente si è giunti, in molti Paesi, a domandare il riconoscimento dei diritti dei conviventi da parte della collettività, quindi dello Stato. Sono nate così le unioni omosessuali parificate ai matrimoni ed i Pacs, che tendono ad assicurare ai conviventi, anche se dello stesso sesso e pure in assenza di matrimonio, una tutela giuridica analoga a quella prevista per i coniugati. Da noi le rivendicazioni avanzate sono state finora quelle, agevolmente prevedibili perché ricalcate sui riconoscimenti operati dalla giurisprudenza in favore dei conviventi more uxorio di sesso diverso, del diritto a succedere nel contratto di locazione dell’immobile, e del diritto alla riparazione del danno biologico in favore del superstite nei confronti del responsabile della scomparsa del convivente. L’accresciuta attenzione per queste problematiche ha però evidenziato che le aspettative sono superiori a questi riconoscimenti minimali, ed alcuni sostenitori dell’opportunità di assicurare un riconoscimento normativo ai diritti di chi si lega in un’unione omosessuale hanno cominciato, ad esempio, a domandare il riconoscimento al convivente del diritto alla pensione di reversibilità. Certo, la materia merita di essere esplorata, ma deve pure tenersi conto che la pensione di reversibilità comporta oneri per lo Stato, quindi per chiunque paga le tasse. Queste tematiche, pertanto, devono essere affrontate in un ampio confronto che coinvolga non solo i politici ed i giuristi, ma tutti i cittadini, e sembra prevedibile che trovare un’intesa ampiamente condivisa non risulterà agevole. Appare comunque inevitabile che in questo momento di evoluzione, e perciò di scarsa chiarezza anche in ordine al concetto stesso di famiglia, il legislatore sia in difficoltà nel dettare le migliori regole per la disciplina delle unioni familiari e para-familiari.

Paolo Di Marzio
Magistrato del Tribunale di Napoli

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