Le ripercussioni su famiglie e poveri

Alla lotta all’esclusione sociale l’Inghilterra, rispetto all’Italia, destina 17 volte tanto: l’1,7% del Pil, contro il nostro 0,1%. In Europa, la media è dello 0,9%: nove volte più dell’Italia, che avrà pure problemi di spesa, ma è un dato di fatto che questa spesa non abbia mai seriamente toccato da vicino i poveri.

Lo scenario
La crisi finanziaria internazionale sta avendo gravi ripercussioni economiche e sociali nel nostro Paese e in tutta l’Europa. È così pesante da far dire a qualche analista che si è giunti al capolinea del modello liberista che ha governato la globalizzazione nell’ultimo quarto del secolo scorso e nei primi anni del nuovo. Guardando a questi fatti dal punto di vista dei poveri, sorgono spontanei interrogativi e riflessioni. Il rischio che l’intervento pubblico a salvataggio degli istituti di credito, certamente non immotivato, finisca per gravare solo sulle spalle del contribuente. Una sorte anche più pesante incombe sui poveri del “Sud” e dell’”Est” del mondo. Molto probabilmente vedranno chiudersi le porte degli aiuti internazionali allo sviluppo e delle altre misure che permetterebbero di raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio: cancellazione del debito estero dei Paesi in Via di Sviluppo, fissazione di regole commerciali più eque che non penalizzino i più poveri e accantonamento di tutte le altre azioni previste.

In Italia: famiglie a rischio
La questione centrale resta dunque la lotta alla povertà. In Italia riguarda milioni di volti e storie di cittadini e famiglie, che sempre più si trovano in situazione di precarietà o rischiano di cadervi. Una questione che non può essere affrontata con colpi di genio e ad effetto, ma solo con un piano nazionale strutturato e permanente. Un piano che l’Italia non ha e non ha mai avuto. Insieme alla Grecia e all’Ungheria siamo in Europa l’unico Paese non dotato di misure basilari di intervento. Più che in altri paesi europei, da noi vi sono grandi differenze fra chi vive in un discreto benessere, chi lotta tutti i giorni per non oltrepassare la soglia della povertà e chi dentro la povertà ci sta da tempo e non intravede nulla di nuovo nel futuro. Qualunque emergenza (malattia, incidenti d’auto, il sopraggiungere della ‘non autosufficienza’ di un anziano ecc…), pone sempre più persone a rischio di caduta nella povertà e nella necessità di ricorrere a prestiti. Le famiglie indebitate sono passate, negli ultimi due anni dal 24,6% al 26,0%. Il rischio povertà incombe in modo particolare su famiglie numerose, con cinque o più componenti, famiglie con figli minori, famiglie con anziani soprattutto se “non-autosufficienti” e famiglie separate o divorziate con una donna a capo famiglia. Il paese appare dunque come un paese vulnerabile, con tante, troppe, fragilità: un’imbarazzante divergenza tra nord e sud, che invece di diminuire aumenta, la tragica carenza di innovazione, le elevate disuguaglianze sociali ed economiche. Il reddito si concentra ai vertici ed è diluito alla base.

Questione di scelte. Che fare?
Rispetto all’Italia, l’Inghilterra destina alla lotta all’esclusione sociale 17 volte tanto: l’1,7% del Pil, contro il nostro 0,1%. In Europa, la media è dello 0,9%, nove volte più dell’Italia. Che avrà pure problemi di spesa, ma è un dato di fatto che questa spesa non abbia mai seriamente toccato da vicino i poveri. Questa è una questione di scelte, quindi di politica, di ricerca convinta e di decisa costruzione del bene comune. Assistiamo, in questi giorni, a montagne di soldi pubblici che, con il giusto accordo di tutti, corrono al capezzale della grande finanza e delle imprese in crisi per tentare di mettere in atto un salvataggio. Perché non fare altrettanto per soccorrere concretamente chi sta nel bisogno grave e lotta quotidianamente per sopravvivere all’indigenza e alla precarietà? Perché non tentare una vera e seria alleanza tra politica, società, terzo settore e associazioni di volontariato? Purtroppo, come già evidenziato, le misure finora adottate dai vari governi che si sono alternati sono risultate inefficaci. Pensiamo, ad esempio, alla recente Social card proposta dall’attuale governo: è uno strumento positivo, ma non sufficiente. Va in favore degli anziani ultra 65enni o dei minori di tre anni ed è finanziata dai contributi di enti economici e aziende e non dalla fiscalità generale. Ancora una volta uno strumento parziale ed emergenziale che lascia fuori le persone in situazione di disagio estremo. Servirebbero, invece, risposte multidimensionali, complesse e integrate, di tipo economico, sociale, sanitario, previdenziale, fiscale ed occupazionale.

Qualche esempio:
• è indifferibile l’adozione di una misura universale di sostegno al reddito;
• nel mezzogiorno occorre investire subito in servizi pubblici essenziali;
• il fondo nazionale per le politiche sociali va potenziato, in modo tale che regioni ed enti locali siano stimolati ad attivare o a rendere sempre più accessibili i servizi sul territorio;
• va approntato un rigoroso piano di definizione e attivazione progressiva dei livelli essenziali delle prestazioni in tutto il territorio nazionale, a partire dal diritto a un reddito minimo, dal segretariato sociale, dal diritto a un’accoglienza di prima necessità in caso di perdita della dimora;
• va assunta come priorità la tutela della non autosufficienza di anziani e portatori di handicap, emergenza per molte famiglie italiane;
• davanti alla crisi degli alloggi, non può essere abbandonata la logica dell’intervento pubblico, in termini di sostegno agli affitti, garanzia ai proprietari che accettino di locare i loro immobili a canone concordato, mantenimento, riqualificazione e potenziamento del patrimonio di edilizia pubblica a favore delle famiglie meno abbienti. In questa cornice si inserisce l’8° Rapporto “Ripartire dai poveri” realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Zancan. Le proposte formulate nascono proprio dalla consapevolezza che occorre prendere in mano il problema complessivamente, evitando di farne una questione marginale e settoriale. Le due proposte di azione si collocano in questa prospettiva. La prima nasce dalla constatazione che le relativamente poche risorse (rispetto ad altri paesi) che dedichiamo alla spesa per assistenza sociale possono comunque dare un contributo significativo, se orientate e qualificate. La seconda proposta nasce dalla transizione, in qualche modo storica, che vede il nostro Paese da anni interrogarsi sul proprio assetto istituzionale e costruire nel tempo condizioni federaliste per una più sostanziale condivisione di solidarietà da parte delle istituzioni, a tutti i livelli, centrale e locale.

Uno sguardo sul campo: i centri d’ascolto
Da un monitoraggio su 80.000 persone che nel 2007 si sono rivolte a 362 Centri d’ascolto Caritas a livello diocesano, zonale e parrocchiale, è emerso che i due terzi sono cittadini stranieri. In gran parte provengono dall’Europa orientale, in particolare dalla Romania, o dal continente africano, soprattutto dall’Africa settentrionale; quasi i due terzi dei cittadini stranieri sono risultati in possesso di permesso di soggiorno o in attesa di riceverlo. Ai centri di ascolto del nord e del centro si sono presentati soprattutto stranieri, mentre in quelli del mezzogiorno si è verificata una crescita della presenza di Italiani. Tale dato è da mettere in relazione soprattutto alla forte presenza di immigrati nelle regioni centro-settentrionali, ma anche alle maggiori difficoltà economiche della popolazione italiana nelle regioni meridionali. Fra gli utenti italiani si riscontra una maggiore incidenza di problemi familiari dovuti a separazioni e divorzi. Il livello di istruzione degli utenti italiani è inferiore a quello degli stranieri: tale dato conferma la relazione tra scarso livello di istruzione e povertà e il fatto che gli immigrati siano generalmente in possesso di un bagaglio formativo di un certo livello. Tra i problemi riscontrati, il più grave riguarda la condizione generica di povertà e la mancanza di lavoro. La maggioranza delle persone si sono rivolte ai centri di ascolto per chiedere beni e servizi materiali per far fronte alle necessità quotidiane, ma molte persone hanno formulato richieste di sussidi economici e lavoro. Gli interventi effettuati dai centri hanno inoltre riguardato problemi familiari e di salute. I dati rilevati manifestano la persistenza della povertà “classica”, legata alla mancanza di lavoro, all’insufficienza (o alla mancanza) del reddito, alle difficoltà abitative, alle difficoltà relazionali e di salute.

Povertà, impoverimento, esclusione sociale
Anche alla luce di questi dati occorre distinguere il fenomeno consolidato della povertà dal processo di impoverimento generale che ha colpito negli ultimi anni la classe media e medio-bassa. Si è registrato nel corso degli ultimi anni un notevole deterioramento nella disponibilità di risorse economiche. Tale situazione ha costretto la maggioranza delle famiglie a modificare tenore di vita, qualità e quantità dei consumi, fruizione del tempo libero, ecc… Questo non significa che tutte siano diventate oggettivamente povere. Povera è la persona che non dispone di risorse e di strumenti per la propria autorealizzazione e che, insieme, non riesce ad inserirsi vitalmente e attivamente nell’organizzazione sociale, offrendo il proprio contributo alla realizzazione del bene comune. Il termine ‘esclusione’ esprime proprio il mancato inserimento nella vita sociale. In alcuni casi dipende da una scelta personale, come in particolari situazioni di “barbonismo”. In altri, l’esclusione è conseguenza di limitazioni fisiche o psichiche. Molto più frequentemente siamo in presenza di esclusioni subite da parte della società, nel senso che queste persone non contano, non sono recepite come portatrici di valori, non sono prese in considerazione, sono considerate inutili e, anzi, un peso per la società. In sostanza, anche se il concetto di povertà non coincide con quello di esclusione sociale, l’esperienza ci dice che molto spesso i poveri sono tagliati fuori dai processi decisionali e dalla cittadinanza attiva. La prevalente funzione pedagogica, che sta alla base di ogni progettualità e azione della Caritas, ci chiede di rispondere a questa crisi educando. Facendo cioè crescere nella quotidianità forme sempre più diffuse di denuncia, di responsabilità, di coinvolgimento e di impegno per la giustizia e la solidarietà.

Vittorio Nozza
Direttore della Caritas Italiana

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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