Emozioni, sentimenti e solidarietà sociale

Una mamma affidataria non è una mamma per sempre ma è una figura alla quale il bambino farà riferimento nel corso della vita

1 Molti articoli della nostra Costituzione sono riferibili all’istituto dell’affidamento familiare quale strumento di sostegno e supporto alla famiglia in difficoltà, perché la famiglia rappresenta un valore che la nostra Carta Costituzionale tutela sia nella sua unità sia nei suoi componenti. C’è però un articolo specifico, al quale dobbiamo fare preciso riferimento: è l’art. 2, in cui il Costituente solennemente dichiara che “la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà… sociale”; l’istituto dell’affido risponde anche e soprattutto a questo principio. In effetti sia l’affido che l’adozione sono istituti da sempre praticati nel nostro Paese, perchè in Italia la cultura solidaristica tra famiglie vicine ha facilitato questa pratica: appariva naturale che, allorquando una coppia non riusciva a dare la giusta attenzione alla numerosa prole, spesso un’altra famiglia si facesse avanti per dare aiuto. Nel tempo però questa pratica aveva creato problemi giuridici e psicologici ai bambini coinvolti, perchè spesso contesi tra le due realtà familiari; e poiché d’altra parte cresceva a tutti i livelli nella società la consapevolezza, anche alla luce degli studi psicologici che si andavano diffondendo, della insostituibilità del contesto familiare ai fini di un corretto processo di crescita, il legislatore decise di intervenire per regolamentare la materia. Nel 1983, con la legge 184, questa pratica assurge ad istituto giuridico, e i Servizi territoriali e l’Autorità giudiziaria che si occupa di minorenni furono coinvolti nella sua applicazione e promozione. La legge, infatti, interviene a regolamentare un fenomeno già diffuso nella vita comune, divenuto quindi una pratica sociale, o perché intende porre ad essa limiti e paletti, oppure perché vuole formalmente promuoverla e maggiormente incentivarne la diffusione, ritenendo quella prassi percorribile ed efficace ai fini sociali. E poiché già negli anni ’70 la famiglia aveva mostrato cedimenti sul piano educativo-assistenziale e iniziava ad evidenziare sintomi di fragilità, il legislatore intese chiamare le famiglie più solide e forti, più coese e meglio strutturate sul piano relazionale, a sostenere quelle che lo fossero meno in un particolare periodo della loro vita, al fine di evitarne la disgregazione, e soprattutto per sottrarre i figli minori al conseguente disagio. Apparve, quindi, importante rafforzare questo spirito di solidarietà, e nello stesso tempo stabilire i binari necessari ad evitare confusione con l’istituto dell’adozione, già disciplinato nel ’67, ma bisognevole di ulteriori aggiustamenti, che vennero perciò stabiliti con la medesima legge. Questa prima regolamentazione dell’affido ha però creato incomprensioni ed ambiguità, soprattutto in relazione alla temporaneità del progetto e al ruolo dell’affidatario. In relazione alla temporaneità dell’affidamento, il dettato legislativo era molto chiaro; eppure esso fu inteso diversamente a livello nazionale, per cui molto spesso gli affidamenti si protraevano “come se” fossero adozioni, ripetutamente confermati e riconfermati, con rapporti labili e discontinui con la famiglia d’origine, prorogati sine die fino alla maggiore età, o definiti prima della maggiore età con un’adozione. L’affidatario poi non aveva un’identità precisa, perché non gli era riconosciuta la legittimazione a rappresentare il bambino nelle sedi opportune, ad esempio, davanti agli organi scolastici (una gita, un viaggio premio, la frequenza ad un corso specialistico), o a quelli sanitari (un ricovero ospedaliero, la necessità di autorizzare un intervento urgente), o alle Autorità giudiziarie (nell’ambito della procedura di adottabilità).

2. L’affido, sin dalla sua prima regolamentazione, nel 1983, è stato configurato come consensuale o conflittuale. Se i genitori, o l’unico genitore che aveva effettuato il riconoscimento, o il tutore del bambino, danno il consenso all’affidamento a terze persone, l’affido viene disposto dai Servizi socio-sanitari del territorio e si definisce “consensuale”; se invece gli esercenti la potestà, cioè le persone sunnominate, non acconsentono, l’affido viene disposto dal Tribunale per i minorenni, avendo ritenuto valido il progetto di affido presentato dai Servizi, e si definisce “conflittuale”. Purtroppo questa linea di confine, che può sembrare molto chiara, nei fatti ha creato non poche difficoltà interpretative, perchè la realtà non è mai così netta, ma sempre poliedrica e sfaccettata. Se, ad esempio, ci troviamo di fronte due genitori eroinomani che consentono all’affido del loro figlio ed alle misure di sostegno, il concetto di temporaneità rispetto alla situazione familiare “vacilla”, la prognosi sul superamento del problema in tempi conciliabili con la tenera età dei figli è il più delle volte negativa, e comunque non è facile. Perciò la radicata dipendenza dalla droga, come anche una lunga detenzione, o una malattia mentale, dell’unico genitore, in assenza di figure familiari sostitutive, renderà sicuramente non praticabile il rientro in famiglia in tempi brevi dei figli. In questi casi, anche in presenza di consenso all’affido, non siamo di fronte ad una situazione di difficoltà risolvibile in tempi presumibilmente ravvicinati, ma siamo di fronte ad una situazione di grave disfunzione dell’ambiente familiare, e la risposta a questo dramma non può essere l’affido. In definitiva, se la prognosi, alla luce dell’esperienza professionale degli operatori e della disponibilità o meno sul territorio di adeguate misure di sostegno, è infausta, nel senso che appare impossibile ristabilire, in tempi abbastanza ravvicinati, un corretto ambiente familiare, funzionale alla crescita dei figli minorenni, la situazione, in quanto gravemente pregiudizievole per il minore, deve essere portata a conoscenza del Tribunale dei minorenni, il quale deciderà quale percorso avviare nell’interesse superiore del bambino, se un progetto di affidamento o di adozione. Non va dimenticato che la finalità dell’istituto dell’affido è quella del rientro nella famiglia d’origine, per cui i Servizi sono tenuti a vigilare affinché nel tempo dell’affido l’animus affidandi della famiglia affidataria non si converta in animus adottandi. Anche a tal fine la famiglia affidataria deve essere sostenuta e supportata dai Servizi territoriali durante l’intero periodo dell’intervento, per essere sentita dalla famiglia d’origine davvero come risorsa e modello valido e funzionale di riferimento, e non come entità appropriativa. È anche auspicabile che attorno alla famiglia affidataria sia presente una rete di famiglie che abbiano già esperienza di affido, e che quindi possono sostenere e dare aiuto in qualsiasi momento di difficoltà del percorso.

3. Diventa perciò di fondamentale importanza la selezione della famiglia affidataria, che deve essere fatta con professionalità e oculatezza estreme, evitando possibilmente le famiglie prive di figli, perchè il non avere sperimentato la genitorialità mette gli affidatari in una situazione di fragilità emotiva, difficilmente contenibile rispetto ad un bambino che arriva in casa e vuole protezione ed affetto. L’affidamento è un progetto per un percorso di vita che vede coinvolte due famiglie e i Servizi del territorio, un progetto che viene validato dal Giudice tutelare nel caso di affidamento consensuale e dal Tribunale per i minorenni in caso di affidamento conflittuale. Modalità e termine caratterizzano il percorso al quale le due famiglie si devono attenere per la buona riuscita dell’affidamento; essi sono modificabili in itinere, perché l’affidamento è un percorso educativo, un progetto suscettibile di cambiamenti nel caso si verifichino nuove situazioni che li impongano nell’interesse superiore del minore. Per modalità s’intende la disciplina delle relazioni tra la famiglia di origine e quella di affidamento. Le modalità varieranno a seconda della situazione concreta: se, ad esempio, i genitori esercitano la potestà potranno interloquire diversamente rispetto al caso in cui siano stati limitati nell’esercizio della stessa, o addirittura dichiarati decaduti. Nel 2001 è intervenuta la legge n. 149 a modificare l’istituto dell’affidamento, prendendo atto delle difficoltà interpretative emerse nell’applicazione della normativa precedente. Ai sensi della nuova legge la durata dell’affidamento consensuale in nessun caso può superare i due anni. L’esperienza infatti aveva fatto registrare – come già detto – proroghe su proroghe di affidamenti disposti dai Servizi, in riferimento a situazioni familiari gravissime sottratte nei fatti al Tribunale per i minorenni, organo istituzionalmente preposto a valutare le situazioni di pregiudizio in danno dei bambini da parte dei genitori. A questo proposito la norma prevede la possibilità di un’unica proroga, che deve peraltro essere decisa dal Tribunale per i minorenni, decisione che viene presa valutando il rischio che l’interruzione dell’affidamento possa arrecare danno psicologico al minore. Si registra, pertanto, un chiaro e notevole disfavore nei confronti del cosiddetto affidamento sine die. La legge 149 ha inoltre riconosciuto all’affidatario la tanto attesa legittimazione ad intervenire nei diversi contesti di vita del minore affidato, per assicurarne la piena tutela, ed ha anche previsto per lui un sostegno economico. Ritengo lo strumento dell’affidamento familiare più adeguato per i preadolescenti e gli adolescenti che per i bambini in tenera età, per i quali mi sentirei – come giudice minorile – più garantita, nelle situazioni dubbie, dall’intervento di una casa famiglia. L’esperienza mostra inoltre che molti ragazzi non accettano più il ruolo tradizionale della famiglia, perché si sono sentiti ripetutamente traditi dalla propria; di conseguenza, anche se dichiarati adottabili in quanto abbandonati, non accetterebbero mai una famiglia adottiva, ma accettano una famiglia di appoggio, perchè comunque sentono il bisogno di riferimenti di persone e di protezione. In questi casi può essere appropriato l’affidamento anche ad un single.

4. Per sperimentare gli effetti positivi della solidarietà è importante trasmettere la cultura dell’affido, perché questo istituto entra in contatto con tutte le realtà significative della vita sociale: le famiglie, la scuola, il quartiere, la parrocchia. Se riusciremo in questo intento potremmo contrastare più efficacemente i fenomeni di violenza, di disagio che attraversano tutti i livelli della società occidentale. Quando un giovane, un bambino diventa vittima, noi adulti abbiamo l’obbligo di agire non solo sul piano professionale e istituzionale, ma anche come singole persone. Solo in questo modo potremo ridurre l’ondata di disgregazione e di violenza che ci sta attraversando. Rendersi oggi disponibile per un affidamento significa quindi partecipare e lavorare per una società migliore, perchè capiremo e faremo capire ai nostri figli cos’è il disagio sociale, e quanto siamo fortunati a non esserne stati attraversati; e con il nostro operare saremo in grado di far comprendere ai componenti della famiglia più debole come la società non si chiuda ai loro bisogni, ma ci utilizzi come risorsa non solo a loro vantaggio ed a vantaggio dei loro figli, ma a vantaggio dell’intero contesto sociale. L’affido, dunque, non è il primo passo per possedere i bambini ed espropriarli ai genitori naturali -come qualcuno ancora pensa- ma uno strumento sociale per aiutarli a crescere, per educarli ed istruirli, con l’obiettivo finale di renderli, a conclusione del percorso di affido, a genitori meno inadeguati, perché questi ultimi, aiutati e sostenuti dai Servizi territoriali nel corso del periodo di affidamento, avranno acquistato maggiore consapevolezza del proprio ruolo, responsabilizzandosi ai loro doveri. Una mamma affidataria non è, dunque, una mamma per sempre; è però una figura che spesso resta nella storia personale di un bambino come una delle persone più care, alla quale egli farà riferimento nel corso della sua vita. Possiamo allora dire che l’affido è una sorta di assistentato sociale di tipo comunitario, che permette di accogliere con spirito di solidarietà i bambini del quartiere o della città. L’affidamento è un lievito, perché è espressione di un atteggiamento culturale di apertura alla diversità e di sostegno al bisogno; in una società povera di relazioni significative, che danno senso alla vita, costituisce un modello che può essere di riferimento per la diffusione e l’elaborazione del valore costituzionale della solidarietà, unico efficace antidoto ai rigurgiti di violenza e di morte.
Relazione al convegno “Affidamento Minorile” di:

Melita Cavallo
Capo Dipartimento Giustizia Minorile,
Ministero della Giustizia

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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