Una distorsione tra richiesta e offerta di aiuto

l’ADHD è ritenuto uno dei più frequenti problemi comportamentali dell’età evolutiva, bisogna quindi valutare la gravità dei sintomi e giudicare la rilevanza clinica delle loro molteplici manifestazioni. Sarebbe auspicabile che venissero generalizzati a tutti i percorsi assistenziali dei bambini con disturbi neuropsichiatrici istituendo un unico registro nazionale per l’uso di tutti gli psicofarmaci nel corso dell’età evolutiva

Le recenti analisi sulle prescrizioni dei farmaci rimborsabili dal SSN ai bambini italiani non ricoverati in ospedale confermano che tre minori ogni mille (circa trentamila in Italia) risultano in terapia con psicofarmaci, in particolare antidepressivi SSRIs (farmaci che bloccano il reuptake della serotonina). La prevalenza maggiore è per le adolescenti di 14-17 anni: pari all’1%. Prevalenze d’uso ancora lontane da quelle documentate per gli Stati Uniti, il Canada, ma di poco inferiori a quelle olandesi. Sicuramente preoccupanti se si considera che le prescrizioni di antidepressivi nei bambini italiani sono triplicate nei primi anni 2000 (ora sono stabili). Farmaci che non dovrebbero essere prescritti prima dei 18 anni; con l’eccezione della sertralina e della fluvoxamina per la sindrome ossessiva compulsiva e, a partire dal giugno 2006, della fluoxetina per la depressione. La preoccupazione a livello nazionale circa un potenziale abuso di psicofarmaci ai minori è motivata anche dalla necessità di considerare il consistente “sommerso” rappresentato dall’uso di benzodiazepine, che in Italia non sono rimborsabili dal SSN e quindi “sfuggono” al monitoraggio. Una forma contenitiva al già ampio impiego di psicofarmaci per i bambini è rappresentato dalla mancanza sul mercato nazionale degli psicostimolanti (l’unico è il modafenil per la narcolessia).

Lo scenario sarà presto mutato con l’arrivo in farmacia del metilfenidato (Ritalin® della Novartis) dopo che nel 1989 la ditta (allora era la Bayer) decise di sospenderne la commercializzazione. Una procedura iniziata il 16 ottobre 2000 con una petizione di alcuni pediatri di famiglia e neuropsichiatri infantili presentata all’allora Ministro Veronesi affinché si adoperasse per rendere disponibile il farmaco. Il metilfenidato, uno psicostimolante che aumenta il rilascio e il reuptake della dopamina, rappresenta oggi il farmaco di scelta per il trattamento del Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività (ADHD). Con l’immissione in commercio del metilfenidato coincide anche quella della atomoxetina (Strattera® della Lilly), un inibitore selettivo della ricaptazione della noradrenalina. Sebbene oggi ci sia un consenso nella comunità scientifica nel definire la ADHD, ampia diversità c’è invece nel valutare la gravità dei sintomi e nel giudicare la rilevanza clinica delle loro molteplici manifestazioni. Due sono i criteri diagnostici oggi utilizzati per inquadrare e valutare i sintomi associati all’ADHD: l’ICD-10 (sistema diagnostico proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) e il DSM-IV (proposto dall’American Medical Association). Il primo presenta criteri più restrittivi del secondo, e consente quindi di identificare un numero minore di bambini: quelli con ADHD di maggior gravità. Seguendo un’impostazione fondamentalmente gerarchica l’ICD-10 tende infatti ad escludere diagnosi multiple; così, p.es., applicando il DSM-IV, un bambino potrebbe essere diagnosticato con ADHD e disturbo della condotta, mentre applicando l’ICD-10 gli verrebbe diagnosticato solo il disturbo di condotta. Ed ancora: per la diagnosi di disturbo ipercinetico l’ICD-10 prevede la presenza sia di inattenzione che di iperattività e impulsività.

Quindi bambini con ADHD con deficit prevalentemente dell’attenzione o di tipo iperattivo/impulsivo vengono considerati sub-clinici secondo l’ICD-10. Alla scelta del sistema diagnostico da utilizzare, che è condizionata anche da attitudini scientifico-culturali (p.es., in Europa si preferisce il primo, negli Usa il secondo), conseguono quindi differenze consistenti nell’iter complessivo diagnostico-terapeutico a cui il bambino può essere sottoposto. Numerosi sono i potenziali fattori eziologici associati all’ADHD e tra questi, quelli genetici, perinatali, psicosociali, ambientali, dietetici, strutturali cerebrali e neurobiologici. È per questi ultimi tuttavia che sono disponibili oggi maggiori evidenze circa un loro ruolo nel caratterizzare le manifestazioni cliniche dell’ADHD. In particolare, a livello della corteccia frontale e dei nuclei della base, le cui funzioni sono modulate da dopamina, noradrenalina e serotonina, in pazienti con ADHD sono state dimostrate anomalie strutturali e funzionali del sistema dopaminergico. Il ruolo della dopamina supporta infatti le manifestazioni di scarsa attenzione e iperattività, come la serotonina l’impulsività, e un eccesso di noradrenalina le manifestazioni di aggressività. Esistono, infatti, numerose evidenze che farmaci in grado di modulare i sistemi dopaminergico e noradrenergico sono in grado di migliorare iperattività, impulsività e attenzione. Non esiste invece nessuna evidenza di efficacia clinica sui sintomi dell’ADHD degli antidepressivi SSRIs. Sebbene l’ADHD sia ritenuto, a livello internazionale, uno dei più frequenti problemi comportamentali dell’età evolutiva, le stime della prevalenza variano considerevolmente (da 1 a 24%) a seconda del contesto geografico e sociale, dell’età e del sesso della popolazione osservata (è più frequente nei maschi che nelle femmine con un rapporto 5-9/1), dei criteri diagnostici utilizzati e dall’esperienza degli operatori. Indipendentemente dall’età di insorgenza, anche presunta, dell’ADHD il bambino arriva all’osservazione dello specialista solo in età scolare: sono proprio gli insegnanti che segnalano l’anomalo comportamento dell’alunno nel contesto scolastico.

A casa e nelle relazioni famigliari invece le difficoltà risultano meno evidenti, anche se non scompaiono del tutto. I sintomi sono quindi facilmente influenzati dall’ambiente in cui il bambino si trova. Non disponendo di misurazioni biologiche per l’ADHD, la diagnosi è basata su criteri clinici di valutazione dei sintomi comportamentali. Essendo questi ultimi una pletora le difficoltà diagnostico-differenziali sono numerose, come pure differenti possono essere le valutazioni dei singoli operatori. A tale proposito sono stati stilati appositi protocolli diagnostici che prevedono, oltre alla visita medica e neurologica, all’esame psichico e alla valutazione delle capacità cognitive e di apprendimento del bambino, anche un’intervista strutturata ai genitori e agli insegnanti, ed eventualmente anche ad altri adulti con cui il bambino ha rapporti relazionali prolungati. In tale contesto, risulta quindi essenziale l’esperienza dell’operatore che si prende cura di un bambino con sospetto ADHD, proprio a partire dall’inquadramento diagnostico, che necessita di più di un incontro per essere correttamente. Due sono le modalità terapeutiche per l’ADHD: comportamentale, con vari interventi psicosociali; farmacologica, con psicostimolanti. Le linee-guida prevedono una terapia multimodale: inizialmente interventi psicosociali (modifiche comportamentali, terapia cognitiva, terapia di famiglia, etc.), con l’aggiunta (e non la sostituzione) della terapia farmacologica nei casi gravi o non responder alla sola terapia psicologica. Risulta tuttavia ampia la variabilità per quanto concerne la durata della terapia, l’osservazione, il tasso di efficacia e i criteri utilizzati per la sua stima.

Con l’introduzione sul mercato italiano del metilfenidato e della atomoxetina, per prevenirne un uso irrazionale, l’Agenzia nazionale del Farmaco (AIFA) ha dato mandato all’Istituto Superiore di Sanità di istituire un “registro nazionale dell’ADHD nell’età evolutiva” per il monitoraggio dei percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali e della valutazione degli effetti avversi dei farmaci impiegati. Un comitato scientifico ha stilato un apposito protocollo diagnostico-terapeutico di riferimento (essenziale per iniziare la terapia farmacologica che sarà decisa da un neuropsichiatria infantile di uno dei centri di riferimento individuati dalle singole Regioni) che prevede l’interazione concordata e partecipata dei vari operatori sanitari, dei servizi territoriali, dei centri di riferimento regionali, dei genitori e degli insegnanti. La durata prevista per il registro è di due anni: poi si vedrà. La finalità del registro dell’ADHD è quella di garantire un approccio assistenziale omogeneo a livello nazionale e di prevenire l’abuso di prescrizioni di farmaci inappropriate. Il lavoro sinora svolto per l’ADHD e il percorso metodologico seguito sono pressoché unici, non solo nel panorama nazionale. Sarebbe auspicabile che venissero generalizzati a tutti i percorsi assistenziali dei bambini (e delle relative famiglie) con disturbi neuropsichiatrici istituendo un unico registro nazionale per l’uso di tutti gli psicofarmaci nel corso dell’età evolutiva. Nel 1979 Susan Sontag con Malattia come metafora evidenziò che per alcune condizioni morbose, in particolare quelle che per la loro complessità non conosciamo-controlliamo e che affrontiamo con percorsi diagnostico-terapeutici scarsamente basati sulle prove di efficacia, chi è coinvolto “proietta sulla malattia-disagio ciò che pensa del male” e “proietta sul mondo la malattia stessa”. E’ forse questo che sta accadendo anche per i disturbi dell’età evolutiva e non sarà certo il solo psicofarmaco a prevenire e ancor meno a curare questa distorsione tra richiesta e offerta di aiuto di un bambino o adolescente e la sua famiglia.

Maurizio Bonati
Responsabile laboratorio per
la salute materno infantile
Istituto di ricerche farmacologiche
“Mario Negri”, Milano

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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