Iperattivo? No, disturbato

Nella forma congenita, le manifestazioni caratteristiche dell’Adhd possono essere imputabili ad una anomala organizzazione dei processi attentivi. Nell’instabilità acquisita, una ipotesi patogenetica potrebbe dipendere dal contrasto tra le caratteristiche di alta vitalità ed affermazione del bambino e le caratteristiche limitanti in senso evolutivo dei modelli ambientali

Prima di affrontare le problematiche poste per la terapia dell’instabilità psicomotoria sono indispensabili alcune premesse sull’evoluzione dei processi attentivi in rapporto con i modelli e le situazioni ambientali. Un bambino con grande carica energetica e quantità di movimento viene definito «iperattivo», per contro i termini «instabile psicomotorio» e «ipercinetico» definiscono un comportamento disturbato da un alterato processo di attenzione e risposta agli stimoli ambientali con ipereccitabilità e impulsività, caratteristiche che definiscono la sindrome in trattazione. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 1990 adotta per la sindrome il termine «ADHD» (Attention Deficit Hyperactivity Desorder), definizione che se rimarca l’importanza del disturbo dei processi attentivi e dell’iperattività motoria, non menziona la rilevanza della relazione con l’ambiente, caratteristiche meglio definite dal termine «instabilità psicomotoria» La sintomatologia può essere presente fin dai primi mesi di vita (forma congenita) oppure comparire nel corso del 2°- 4° anno di vita (forma acquisita), con netta prevalenza nel sesso maschile.
Nella forma congenita, le manifestazioni caratteristiche possono essere imputabili ad una anomala organizzazione dei processi attentivi. Nell’instabilità acquisita una ipotesi patogenetica potrebbe dipendere da un contrasto tra le caratteristiche di alta vitalità ed affermazione del bambino e le caratteristiche limitanti in senso evolutivo dei modelli ambientali, per atteggiamenti svalutativi, rigidi o eccessivamente limitanti nel processo di autonomia. A tale conflittualità potrebbe essere imputabile l’affermarsi dell’instabilità, come risposta ad un ambiente contraddittorio alla spinta evolutiva caratteristica di quel bambino, situazione che determinerebbe una particolare reattività nei confronti dell’ambiente familiare e sociale (Russo R.C. 1986, 2000).

La comparsa in questo periodo è comprensibile in quanto proprio nel 2° anno di vita il bambino presenta una instabilità psicomotoria fisiologica a causa dell’esplodere delle proprie potenzialità in un continuo anelito di autonomia e di conquista che viene contenuto dai limiti posti dalle figure parentali e dal loro bisogno di mantenere la funzione di protezione e di guida. Nei primi mesi di vita il bambino, per il suo livello maturativo, è particolarmente protetto dal pericolo di una inflazione di stimoli, ma con l’acquisizione delle competenze diminuisce progressivamente il filtraggio automatico ed aumenta la capacità di selezione attentiva per gli stimoli ambientali anche in rapporto all’orientamento dei modelli genitoriali.
Col progredire dell’età tutte le informazioni in arrivo vengono selezionate sulla base del valore biologico, delle esperienze precedenti, delle motivazioni individuali e dei condizionamenti ambientali; il processo attentivo che ne deriva è regolato dal fine gioco di questi fattori. La sintomatologia assume aspetti diversi a seconda dell’età. Nelle forme congenite il lattante presenta con frequenza uno stato di eccitabilità, d’ipermotricità e d’irritabilità, facile il pianto, frequenti i disturbi gastro-intestinali e il ritmo del sonno disturbato. È ben comprensibile come le figure parentali possano vivere con apprensione e ansia queste prime fasi della vita e instaurare facilmente comportamenti inadeguati a loro volta potenzianti lo stato di eccitabilità del lattante.

Nel periodo dall’anno ai tre anni le acquisizioni motorie, le attività cognitive ed il linguaggio vengono acquisite nella norma, ma il comportamento inizia a manifestare la difficoltà ad essere contenuto e adeguatamente rapportato alle situazioni. I bambini in questo periodo sono in attività continua, non stanno mai fermi, l’attenzione è molto esaltata e qualsiasi stimolo tende a distogliere la concentrazione dall’attività in corso. È in questo periodo che iniziano a presentarsi le problematiche relazionali: la loro esuberanza motoria, la facile distraibilità ed i danni involontariamente provocati, determinano facilmente da parte dei genitori l’imposizione di regole inadeguate alle caratteristiche neurofisiologiche del bambino; è un continuo incalzare di rimproveri e di richiami ad un comportamento più tranquillo. Dai tre ai sei anni l’instabilità assume toni più marcati: nell’ambito scolastico il rapporto con gli altri coetanei è sempre molto desiderato e ricercato, ma l’eccessiva esuberanza e lo scarso controllo motorio generano problemi di relazione che spesso sfociano nel rifiuto dell’instabile da parte dei compagni, determinando nell’instabile dispetti, provocazioni e spesso anche manifestazioni di aggressività, sempre motivate e indirizzate all’individuo che le ha provocate. I richiami continui del personale educativo e l’atteggiamento rifiutante dei compagni rafforzano l’instabilità e le manifestazioni di rivalsa creando così un circuito chiuso auto-sostenente che risulta difficile interrompere. La latenza diventa il periodo più delicato dell’instabile per il profondo conflitto tra il bisogno di realizzarsi nell’ambito sociale e la mancata accettazione dell’ambiente; di norma l’apprendimento è valido, salvo atteggiamenti di opposizioni e rivalse anche tramite l’impegno scolastico. Nella fase prepubere e adolescenziale i sintomi motori si riducono, ma può permanere una instabilità emotivo-affettiva, la difficoltà di relazione e i frequenti cambi d’interesse. Spesso si verifica una ripresa di motivazione scolastica con netto miglioramento della resa. In altri casi l’adolescenza rappresenta per l’instabile una fase di adattamento positivo del comportamento, pur permanendo grande carica nelle attività motivanti. Le manifestazioni del comportamento dell’instabile dipendono molto dal tipo d’interrelazione e dalle modalità educative dei modelli familiari e sociali che influiscono sul processo di adattamento di filtraggio degli stimoli e di autocontrollo.

La terapia
L’impostazione del lavoro dipende molto dall’epoca d’inizio delle manifestazioni e dall’età del bambino. Nelle forme congenite, segnalate nei primi due anni di vita è indicato un «handing» atto a consigliare le modalità più idonee di rapporto di stimolo e di cure. Fin dai primi mesi è opportuno impostare un ritmo biologico regolare con adeguata cadenza dei pasti, dei riposi e delle stimolazioni, al fine di evitare un caotico sovrapporsi di stimoli e risposte con ulteriore sovraccarico di tensioni. Dal 12° al 24° mese, fase dell’esplosione di grande attività motoria e desiderio di conquista, è importante predisporre l’ambiente in modo da favorire questo bisogno ed evitare nel contempo il rischio di danni corporei e materiali. Indispensabile permettere tempi lunghi di attività motoria alternati a brevi periodi di stimolo per attività cognitive con gli oggetti. Importante è il sostegno parentale, progressivamente modificato e dilazionato in rapporto all’età e al miglioramento, che dovrà essere protratto a lungo, fino alla fine del periodo psicomotorio ed a volte anche fino alla fine della latenza. Dai tre anni in avanti l’indicazione di scelta è l’intervento psicomotorio individualizzato, sempre associato ad un supporto ai genitori e alla collaborazione con le educatrici della scuola materna e in seguito con le insegnanti delle elementari. Il metilfenidato, brevettato nel 1954, è uno psicofarmaco, analogo alle amfetamine, ad azione stimolante il sistema nervoso centrale, con effetto riducente il comportamento impulsivo degli instabili. Nelle diverse ricerche sul farmaco è stato evidenziato il problema della potenziale assuefazione, negli effetti di disturbi neurologici a distanza, nell’effettivo rischio di scompenso del sistema dopaminergico. Un dato che è stato invece sottovalutato è l’effetto di modifica della struttura della personalità che viene coercita dallo psicofarmaco. Da non sottovalutare che il metilfenidato è già entrato nell’uso dagli adolescenti come droga eccitante. La legge Fini-Giovanardi, oltre la dose di 180 mg. di metilfenidato, considera la quantità come possesso illecito di sostanze stupefacenti, pertanto punibile come spaccio.

Considerazioni conclusive
Le caratteristiche di numerosi casi di instabilità psicomotoria, la loro storia personale, le dinamiche intra ed extra familiare, la tipologia dei modelli di riferimento evolutivo, i principi educativi, gli effetti dei distrattori e la diversa influenza delle motivazioni, confermano la complessità dei processi attentivi, tali da non poter essere ridotti semplicemente ad un disturbo unicamente dipendente dall’individuo, ma bensì ad un complesso gioco plurifattoriale la cui risultante è il comportamento dell’instabile. Il problema dell’instabile non può più essere considerato esclusivamente a carico dell’individuo, ma va preso in carico come problema evolutivo che coinvolge sia in senso eziopatogenetico che terapeutico il complesso sistema bambino-ambiente. L’uso dei farmaci atti a modificare l’organizzazione neurometabolica e quindi anche quella neuropsicologica, se da una parte limita l’instabilità dell’individuo e tranquillizza la famiglia e le figure sociali, dall’altra parte camuffa la reale complessità della problematica e individua l’instabile come unico responsabile del disturbo. Inoltre l’uso degli accennati farmaci psicoanalettici modificando l’organizzazione metabolica, falsano la reale espressività della persona e tendono ad instaurare la dipendenza farmacologica. È nata anche un’associazione “Giù le Mani dai Bambini”che protesta contro l’uso indiscriminato degli psicofarmaci. Tale associazione ha ottenuto il consenso di oltre 200.000 persone “addette ai lavori”.

Roberto Carlo Russo
Neuropsichiatria infantile, psicoterapeuta. Docente presso Università di Pavia, Dipartimento di clinica neurologica e psichiatrica,
Direttore scientifico del CSPPNI
Centro studi di psicomotricità psicologia
e neuropsichiatria infantile – Milano

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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