Psicoterapeuti e scelte che pesano

Decidere se dare un neurolettico, un antipsicotico, un antidepressivo o un ansiolitico ad un giovane o giovanissimo è problematico perché è difficile e scivoloso effettuare un inquadramento nosografico in una situazione che distingua con accortezza il profilo di personalità del bambino o del ragazzo da un quadro psicopatologico già instaurato

La somministrazione di psicofarmaci ai bambini e agli adolescenti è indubbiamente una delle questioni più delicate che la psichiatria contemporanea si trovi ad affrontare, sollevata in particolare da casi di prescrizione di farmaci di sintesi (ad esempio il Prozac o il Ritalin) a bambini anche molto piccoli. Prescrivere psicofarmaci ai minori esige infatti criteri di massima cautela e protezione, perché tali farmaci sono sostanze psicoattive, ossia che agiscono sul Sistema Nervoso Centrale, andando a interferire con i processi affettivi, emozionali, motivazionali e comportamentali di soggetti che sono ancora in fase di sviluppo e di maturazione sia dal punto di vista biologico che dal punto di vista psicologico. Questo è esattamente il motivo per cui si deve porre particolare attenzione nei confronti della somministrazione di farmaci ai giovani e giovanissimi, e questo sia rispetto ai tipi di sostanze da assumere, sia rispetto alle dosi e alle modalità di assunzione. Ciò che rende, inoltre, particolarmente complessa la prescrizione di farmaci a bambini e adolescenti è la questione della diagnosi. Infatti, ammesso e non concesso che esista un profilo eziologico e fisiopatologico certo nella genesi dei disturbi psichici e della sofferenza mentale, occorrerebbe che si potessero stabilire precisi nessi causali e rapporti di causa-effetto ben definiti e lineari prima di poter decidere quale terapia farmacologica debba essere prescritta in un certo caso.

In realtà, la cosa più difficoltosa nel caso dei bimbi e degli adolescenti è fin dall’inizio la puntualizzazione della diagnosi. Infatti, in una psiche e in una struttura mentale in fase di sviluppo il quadro è sostanzialmente –e inevitabilmente- dinamico e magmatico, in costante progresso e quindi ciò che in un momento appare essere la ‘fotografia’ presente e sincronica di un evento (poniamo, un certo sintomo o un certo comportamento) è difficilmente conciliabile con una diagnosi puntuale e precisa. Questa è la ragione per la quale decidere se dare un neurolettico, un antipsicotico, un antidepressivo o un ansiolitico a un giovane o giovanissimo è spesso problematica, proprio perché è difficile e scivoloso effettuare un inquadramento nosografico in una situazione che distingua con accortezza il profilo di personalità del bambino o del ragazzo da un quadro psicopatologico già instaurato. Questo non significa che non esistano le psicosi giovanili, e che si manifestino acutamente proprio a partire dalla tempesta puberale; ma certamente la difficoltà diagnostica è maggiore che nell’adulto. Diverso è quando il quadro comportamentale è tale da poter compromettere in modo irreparabile la socializzazione e il rapporto con il mondo esterno, in particolare per ciò che riguarda l’ambito scolastico. Questa è l’unica ragione che spinge gli psichiatri a pensare che, di fronte a casi di ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder, cioè il caso del cosiddetto bambino iperattivo e irritabile), puntualizzata la differenza tra inquietudini esistenziali, rapporti genitoriali e profilo di personalità, quando non vi sia altro modo per garantire una cessazione totale del disfunzionamento sociale e un’espulsione dal contesto scolastico, anche un ragionato intervento farmacologico, sempre valutato in termini di rapporto rischio-benefici, possa e debba essere preso in considerazione.

Anche perché frequentemente non vi è contesto educativo, con o senza insegnanti d’appoggio, che possa rendere praticabile il mantenimento nell’ordine scolastico di giovani portatori di questo disturbo, che certamente ha una base psicodinamica ed emozionale di origine, ma anche sicuramente un’implicazione biologica e psicobiologica dalla quale non si può prescindere. Quindi, senza abusi, senza scorciatoie e senza atteggiamenti pseudo-salvifici o miracolistici dell’uso del farmaco, talvolta un ombrello farmacologico può prevenire forme di marginalizzazione, di esclusione e di sostanziale clinicizzazione del disturbo con conseguente espulsione dal contesto sociale al limite della disabilità, attuando un intervento che, se ben ponderato, può non avere successivi pesanti effetti collaterali. In questo senso nel caso di giovani e giovanissimi il farmaco è da considerarsi uno strumento cui avvalersi con grande prudenza, e soltanto quando non si riesca a intervenire efficacemente con terapie del comportamento e supporti psicologici che aiutino il minore a gestire con maggiore funzionalità i propri vissuti emotivi, il proprio modo di comportarsi e di relazionarsi con gli altri. Guai a chi invece pensa di poter facilmente ‘sedare un bimbo troppo vivace’ pur di non prendersi in carico la fisiologica fatica di accompagnarlo lungo un sano -e non per questo facile, o lineare- cammino di sviluppo.

Alessandro Meluzzi
Medico chirurgo specialista in psichiatria
psicologo – psicoterapeuta
Rossana Silvia Pecoraia
Dottore di ricerca in scienze cognitive
e psicologa clinica

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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