Il riferimento delle buone pratiche terapeutiche

E’ inimmaginabile che in adolescenza si vada ad interventi farmacologici in assenza di interventi di ordine psicologico e psicoterapico sull’individuo e sul contesto. Ritenere che farmacoterapia e psicoterapia si escludano a vicenda è una posizione datata e non in linea con lo sviluppo delle conoscenze

Cercherò di sviluppare il tema propostomi con una serie di considerazioni e riflessioni personali che non facciano costante e sistematico riferimento al linguaggio scientifico e della medicina sperimentale, evidence based. Naturalmente questo linguaggio, che per percorso culturale e professionale mi è proprio e connaturato con il mio essere psichiatra, sta sullo sfondo e darà, almeno nella mia opinione e visione del problema, senso e significato a quanto in questo scritto andrò a proporre, nella speranza di contribuire efficacemente a renderlo comprensibile; mi auguro di riuscire a riportare all’interno della concretezza dei fatti un problema che appassiona moltissimo l’opinione pubblica, almeno quella attenta ai fenomeni della medicina e di tutte quelle scienze che si occupano della salute del singolo e della collettività. Comincerei con una premessa generale, tanto banale quanto fondamentale: l’uso di farmaci, siano essi psicofarmaci oppure siano semplicemente farmaci, è motivato dalla presenza di un disturbo o malattia, sensibile all’azione specifica di quella data sostanza/farmaco. Questo è un uso adeguato e rientra nelle buone pratiche terapeutiche; quando questa relazione non esiste si rientra nel campo dell’uso non adeguato e delle cattive pratiche terapeutiche, quel campo che con linguaggio anglosassone si definisce come malpractice, deontologicamente e giuridicamente censurata e punita. Ma se il problema viene proposto alla considerazione, questo ha sicuramente un significato; sarebbe errato e non istruttivo ributtare il problema e ricollocarlo nell’ovvio delle condizioni generali. Ho sempre pensato che se un problema viene proposto, detto problema va considerato. Se il problema è proposto, significa che ha un senso proporlo; dobbiamo cercare di definire, individuare ed esplicitare questo senso. “Psicofarmaci ed adolescenza” è un tema che svela una rilevante e pregnante criticità, e con questa convinzione mi avvicino a sviluppare le mie riflessioni.

Perché “Psicofarmaci e adolescenza” e non “Farmaci ed adolescenza”? La prima ipotesi che mi viene in mente è banale: perché sono uno psichiatra e posso di conseguenza parlare solo di “psicofarmaci”. Credo che questo rappresenti una parte, ma non il tutto della spiegazione. Nella nostra cultura c’è una profonda differenza – molto più ampia di quella tracciata dalle scienze farmacologiche – fra “psicofarmaci” e “farmaci”; sono profondamente convinto che al termine “psicofarmaci” vengono attribuiti significati personali e collettivi che vanno ben oltre quello che la farmacologia e le scienze sperimentali ci dicono e ci propongono. In questo sono coinvolte quelle attribuzioni di significato che permeano profondamente la percezione soggettiva e collettiva del disturbo/malattia a cui sono rivolti, il disturbo-malattia mentale appunto, andando a creare quel fenomeno culturale e sociologico definito come stigma. Un fenomeno non alieno, anzi altamente incisivo, nel determinare la storia della malattia mentale e delle persone affette. Non voglio addentrarmi nei meandri culturali e socio-culturali ed antropologici che stanno dietro al costruirsi e al mantenersi, storico ed attuale, di questo fenomeno, intendo solo proporre una mia profonda convinzione che mi auguro presto accada per il vantaggio di tutti i nostri pazienti, siano essi adolescenti o non adolescenti. La propongo ricorrendo ad un linguaggio non specialistico ma derivato da altri settori della conoscenza; mi auguro che presto anche gli “psicofarmaci” siano laicamente intesi e percepiti, al pari di quella condizione naturale ed esistenziale-esperienziale che ne sostiene l’esistenza, la malattia mentale. In altre parole cessino di essere “psicofarmaci” per essere unicamente “farmaci”.

Una seconda considerazione riguarda l’adolescenza. Sarebbe di estremo interesse chiederci se esiste una opinione oggettiva e condivisa di cosa sia e di che cosa rappresenti l’adolescenza. Credo che andando a fare questa indagine potremmo avere molte sorprese. Il termine di adolescenza verrebbe sicuramente definito in maniera diversa e non sovrapposta nei singoli soggetti, nei singoli gruppi, nelle singole etnie e nelle singole culture. In altre parole il termine adolescenza non definisce unicamente una entità naturale, ma anche una entità conoscitiva che partendo dalla natura si articola attraverso le singole soggettività e le singole culture. Oltre ad essere una entità naturale è sicuramente e pesantemente una entità antropologico-culturale. Ci pare fondamentale avere chiaramente in mente questo aspetto definitorio, quando ci avviamo a comprendere fenomeni che a questa entità conoscitiva fanno riferimento. L’adolescenza – all’interno del ciclo vitale – è una fase di sviluppo che identifica lo “spazio/tempo” di passaggio dalla fase dell’infanzia a quella della età adulta. Non esiste nessun fattore esterno ed oggettivo, sia naturale che sociologico, che ne definisca l’inizio e la fine, in maniera sicura, precisa, stabile nel tempo e nelle culture. Di volta in volta questi fattori sono stati individuati e descritti ma avevano unicamente senso in quel preciso momento storico, in quella precisa cultura, per quello specifico progetto ed obiettivo operazionale. Mai questi fattori hanno avuto significati generali e sistematici; quando è stato fatto, questo è stato sistematicamente dis-confermato dalle osservazioni successive. In quello “spazio/tempo” avvengono quei complessi processi di trasformazione che porteranno l’individuo, in un percorso processuale, alla costruzione definitiva della propria identità, psichica e fisica. In quella fase si costruisce la propria immagine, e non solo quella fisica, “esterna” ma anche quella psichica, “interna” ed infine quella sociale, “collettiva”; e soprattutto, si va a definire quella coerenza, sintonia, armonia fra queste tre sotto-declinicazioni della identità personale.

L’adolescenza è una fase di sviluppo altamente instabile; tutti gli individui in quella fase di sviluppo sono altamente vulnerabili, sistematicamente contesto-dipendenti, in una posizione esistenziale fortemente ambigua, continuamente oscillante fra il “bisogno/necessità” di “indipendenza” e quello di “dipendenza”. Questa è la fisiologia e la psicopatologia della adolescenza: ogni adolescente è così, se non fosse così, non sarebbe adolescente. Distorsioni di questo processo per blocco, per rallentamento o per accelerazione inducono il passaggio alla patologia della adolescenza; l’adolescenza in queste condizioni si concluderà con il raggiungimento di una identità personale che – pur in assenza di patologia – sarà necessariamente disfunzionale e distorta: una condizione di vulnerabilità che il soggetto si porterà per tutta la vita, che verrà sistematicamente rimessa in gioco di fronte ad ogni evento della vita, atteso od inaspettato. Non è questa una condizione di malattia/disturbo; ne deriva che di fronte a sofferenze individuali e/o del contesto (quello familiare ma non solo) l’utilizzare farmaci o psicofarmaci rientra nella condizione che abbiamo prima definito come malpractice; non avrebbe senso e non risulterebbero sicuramente efficaci, anzi potrebbero essere anche dannosi e non solo neutrali ed inerti. Gli interventi saranno inevitabilmente di tipo psicologico, educativo e sociale tarati sul contesto e sui bisogni reali. Metterli in atto e monitorarli rientra nel campo delle buone pratiche. Ogni intervento va monitorato nei risultati; non si può a priori definire un intervento anche di ordine psicologico o psicosociale come efficace! Prendersi cura della adolescenza e degli adolescenti rientra nel campo della promozione della salute, sia essa fisica che mentale. Il non farlo induce un alto rischio di sviluppo di malattia/disturbo nella età adulta. L’intervento professionale nell’ adolescenza e negli adolescenti è di alta specializzazione, richiede alta e specifica competenza, non può essere affrontato unicamente in maniera generalista. L’adolescenza è un “mondo” del tutto particolare che va conosciuto nella sua profondità al fine di rendere ogni intervento efficace ed adeguato. Ci piace proporre, in chiusura, una annotazione che sicuramente richiederebbe una maggiore attenzione: in questo contesto – nella personale opinione, peraltro condivisa – si inserisce l’uso di sostanze (le droghe, attuali e passate, ma anche tanti altri comportamenti che poi nella nosologia vanno a definire le dipendenze senza sostanza) risulta sicuramente psicopatologicamente comprensibile all’interno della condizione esistenziale della adolescenza: da un lato sono funzionali, dall’altro si creano quelle condizioni di dipendenza ed addiction.

Dobbiamo proibire ed evitare assolutamente l’utilizzo di queste sostanze e questi comportamenti come unica soluzione all’evitamento del rischio di sviluppo di malattia, oppure dobbiamo mettere in moto altre strategie? Sicuramente dobbiamo fare in modo che quello che rappresenta una esperienza adolescenziale, non diventi malattia, dipendenza ed addiction; il tutto naturalmente all’interno di un sistema regolatorio che sia coerente con questo progetto di promozione della salute e non di evitamento della malattia e del rischio di malattia. Il riferimento culturale di questa mia posizione è quella del risk mangement al fine della promozione e tutela della salute. Per chiudere un’ultima questione: esiste la patologia psichiatrica in adolescenza? Una affermazione categorica ed inconfutabile: sicuramente sì! Molto probabilmente non esiste una patologia psichiatrica specifica ed unica della adolescenza. Il fenomeno della presenza di patologia psichiatrica in adolescenza è un fenomeno estremamente complesso ed articolato che va conosciuto. Non è sicuramente questo il luogo per affrontarlo in maniera approfondita. Intendo solo proporre le tracce conoscitive essenziali:
1. Nella adolescenza transitano tutti quei disturbi/malattie che erano presenti nella fase di sviluppo precedente. Non transitano come “oggetti inerti”, ma vengono presi dal vortice delle trasformazioni tipiche del processo di sviluppo adolescenziale, si trasformano in qualche cosa di altro ed in questo processo vanno a costruire fenomeniche e costrutti psicopatologici del tutto tipici che poi approderanno all’età adulta, come nuova patologia. Intervenire ed incidere su questi processi trasformativi è fondante per impedire la degenerazione e la catastrofe in età adulta;
2. Nella adolescenza vengono messe in gioco tutte quelle vulnerabilità – biologiche e/o psicologiche – che i singoli individui si portano dietro lungo il percorso della loro storia esistenziale; quelle vulnerabilità, in quella fase specifica, possono trasformarsi in fattori di rischio di sviluppo di malattia mentale; nella adolescenza si evidenziano quelle entità molari di malattia che diventeranno nel tempo – attraverso un processo di strutturazione successiva e progressiva – le tipiche malattie psichiatriche dell’adulto;
3. Ed infine, nella adolescenza c’è l’insorgenza “prima” delle malattie psichiatriche dell’adulto; non sono entità molari di malattia, sono essi stessi stati di malattia, sono già malattia; vanno riconosciuti e decodificati ed occorre prontamente intervenire con gli strumenti più adeguati. Il non farlo si traduce in gravissimo danno per la salute attuale e futura. Hanno fenomeniche diverse e non sempre sono facilmente riconoscibili; vengono confuse con “qualche cosa di altro” e come “qualche cosa di altro” considerate, affrontate e trattate. Le conseguenze di questo atteggiamento sono difficilmente misurabili, sicuramente non sono ininfluenti per la salute futura del soggetto.

Chiudiamo le nostre riflessioni: l’utilizzo di psicofarmaci in adolescenza ha un senso se esiste, e viene chiaramente dimostrata, una specifica malattia mentale, i.e. quelle condizioni cliniche, psicopatologiche e neurobiologiche per cui gli psicofarmaci sono stati costruiti e sviluppati. Ricordiamo che le malattie mentali si presentano e sviluppano per “fasi”: ne deriva pertanto che la scelta di una farmacoterapia è anche in funzione della specifica fase di sviluppo della malattia. Se queste condizioni non esistono, l’utilizzo di psicofarmaci ha il significato dell’intervento non adeguato, della malpractice e dello sviluppo di tutte le conseguenze dell’uso incongruo di farmaci. A completamento ancora una riflessione: abbiamo detto che il soggetto in fase adolescenziale è “contesto dipendente “. Ne deriva automaticamente che un intervento terapeutico in adolescenza non può essere assolutamente disgiunto e sganciato dal trattamento del contesto e delle dimensioni non biologiche e naturali delle malattie, sulle quali incidono efficacemente gli psicofarmaci. E’ – nella nostra opinione – inimmaginabile che in adolescenza si vada ad interventi farmacologici in assenza di interventi di ordine psicologico e psicoterapico sull’individuo e sul contesto. E’ questa – sempre nella nostra opinione – la posizione corretta da assumere nel trattamento dei disturbi psichiatrici in corso di adolescenza; per fare questo dovremmo rinunciare per sempre alla posizione dicotomica che contrappone come entità auto-escludentesi, farmacoterapia e psicoterapia. E’ una posizione datata, non in linea con lo sviluppo delle conoscenze. Il trattamento farmacologico dei disturbi mentali in adolescenza non è – al momento – evidence based; mancano gli studi necessari perché questo possa accadere. Ci auguriamo che la ricerca in questo campo possa rapidamente svilupparsi e crediamo che se le posizioni culturali che ho cercato di tracciare diventeranno prevalenti, questo possa rapidamente accadere. Nel frattempo trattiamo pure gli adolescenti con malattia mentale con psicofarmaci quando necessario e clinicamente dimostrato, ma poniamo il massimo di attenzione al monitoraggio clinico in una visione tipica della ricerca empirica.

Marcello Nardini
Professore ordinario di psichiatria
Facoltà di medicina e chirurgia
Università degli Studi di Bari

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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