Uso e abuso dei videogiochi

La legge si limita a disciplinare l’installazione ed utilizzo di videogiochi negli esercizi pubblici. Queste leggi risultano pertanto insufficienti ed hanno di fatto lasciato il mondo dei videogiochi senza regole. L’adulto con la sua funzione educativa deve quindi farsi carico di mediare e di spiegare i messaggi di questi strumenti

I minori di oggi meglio delle precedenti generazioni conoscono ed utilizzano i videogiochi, ne studiano i segreti e sono più di altri esposti ai rischi che tali strumenti comportano. E’ evidente che i videogiochi con i loro ritmi, le loro potenzialità solleticano l’interesse degli adolescenti e preadolescenti per i quali la abilità ad usare i videogiochi meglio dei propri coetanei è una sfida oltremodo allettante per vincere la quale subiscono ore ed ore di bombardamento, di sollecitazioni pur di perfezionarsi ed acquisire maggiore abilità. Peraltro una recente indagine del Centro Studi Minori e Media di Firenze ha evidenziato che già gli studenti della scuola della infanzia hanno dimestichezza con i videogiochi al punto che un bambino italiano su quattro gioca anche tre ore al giorno, preferibilmente a videogiochi di combattimento. Non sarebbe certo corretto demonizzare tutti i videogiochi – spesso anche utili strumenti per favorire la conoscenza, l’apprendimento, la memoria – ma è doveroso evidenziare come larga parte di essi che tanto incidono sulla formazione di un ragazzo (sia per il numero di ore che ciascun giovane vi trascorre sia per la suggestività dei messaggi da essi trasmessi) esige una necessaria presenza e mediazione dell’adulto che con la sua funzione educativa deve farsi carico di mediare e di spiegare quei messaggi che il ragazzo riceve dai videogiochi. Siffatto compito in questa fase generazionale è oltremodo arduo ove si consideri che i ragazzi hanno rispetto ai loro genitori maggiore conoscenza e dimestichezza con i videogiochi e pertanto per gli adulti è difficile guidare adeguatamente i figli nella scelta e nella fruizione degli stessi, spesso limitandosi – i più attenti – a stabilire tempi massimi quotidiani e/o settimanali di gioco. Sicuramente il genitore è chiamato in prima persona a vigilare sul comportamento dei propri figli e certamente – in presenza di un vero e proprio vuoto normativo – la colpa di un acquisto sbagliato è ascrivibile in via principale al produttore del videogioco che ha a cuore solo il profitto, ma anche, sebbene in misura inferiore, al venditore distratto e al genitore poco attento.

E così i videogiochi, tollerati se non troppo spesso condivisi dagli stessi genitori, ai quali ci si accosta per solitudine, per curiosità, per non essere out, per avere un compagno di giochi altro non fanno che accrescere il disorientamento, l’incertezza, l’ansia, la perdita di riferimenti valoriali alimentando quel senso di profondo disagio soprattutto nel minore preadolescente il quale introita messaggi negativi, destabilizzanti e così apprende che possedere significa essere, che la violenza è fonte di potere, che il mondo si divide manieristicamente in buoni e cattivi e l’annientamento dei cattivi è l’unico modo per superare i problemi. I videogiochi con le loro ripetizioni seriali di immagini rimandano ad un senso di normalità delle situazioni rappresentate che come tali sono percepite acriticamente dai giovani. Nè si può ritenere privo di effetti devastanti l’abuso di videogiochi sulla scorta di una presunta maggiore maturità dei ragazzi di oggi rispetto al passato; maturità significa infatti non tanto e non solo conoscere tante cose, quanto piuttosto avere capacità critica, discernere la gerarchia di valori, sapere vincere le proprie pulsioni più banali, determinarsi liberamente senza recepire acriticamente i messaggi negativi del gruppo dei pari. In questa ottica i ragazzi di oggi sono molto più vulnerabili e sensibili e tale dato deve allarmare ancora di più ove si consideri che per aumentare le vendite e conquistare nuove fette di pubblico i grandi colossi sono ormai lanciati nell’impresa di tradurre in gioco gli aspetti più sordidi e biechi dell’animo umano e che limitazioni delle vendite non rappresenterebbero una sufficiente garanzia, per la possibilità di scaricare da internet videogiochi di qualsiasi tipo e contenuto sotto forma di copia pirata.

Certo non si può ritenere che l’uso, rectius l’abuso, di video giochi di contenuto altamente diseducativo da parte dei minori si ponga in un rapporto di causa-effetto rispetto all’aumento di criminalità, ma sicuramente, oltre ogni ragionevole dubbio, la quotidiana fruizione di scene di violenza esplicita, di perversione o di sadismo dei videogiochi, non aiuta la serena formazione della personalità dell’adolescente. Oltremodo allarmante è negli ultimi anni l’aumento di criminalità e di devianza anche in giovani in condizioni di benessere socioeconomico per i quali il reato commesso diviene indice rivelatore di un malessere – spesso ignorato da genitori troppo distratti – che trae origine principalmente da ragioni di natura relazionale e di tipo psicologico. Si va così dai gravi episodi di violenza in ambito scolastico (sopraffazioni di compagni di scuola, danneggiamenti delle strutture pubbliche, imbrattamento di edifici, vere e proprie intimidazioni del corpo docente) alla violenza negli stadi, ai lanci di pietre dal cavalcavia, ai furti di capi firmati, al bullismo inteso come abituale comportamento di prevaricazione, ancora in parte sommerso, ad omicidi per futili motivi. Tale fenomeno comporta pertanto la necessità per il giudice minorile di confrontarsi con ambienti omologhi ai propri e non solo con quei contesti di disagio socio-economico-culturale tradizionalmente inteso come deviante; è in questo doloroso confronto che spesso si scopre soprattutto tra i figli del benessere come sia diffusa l’idea di una tendenziale normalità della devianza, di un forte relativismo morale, del culto della forza, della violenza come mezzo di comunicazione e soluzione di conflitti, e come per tali giovani manchi la percezione del disvalore del fatto e della gravità delle conseguenze. Senza pertanto volere sposare una demonizzazione indiscriminata dei videogiochi – ferma restando la pericolosità di alcuni soltanto dei loro contenuti che unitamente ai mass media contribuiscono al bombardamento quotidiano destabilizzante per i ragazzi – è doveroso riflettere sulle cause che hanno determinato, più che un aumento della criminalità minorile, nuove forme della stessa da parte di giovani per bene e chiedersi in che misura sia necessario un intervento normativo in materia, atteso il vuoto attuale.

Dal 1995 ad oggi si sono succedute tre sole leggi che hanno definito e disciplinato il gioco di rischio e azzardo Legge 425/1995 (6 ottobre 1995) – Legge 388/2000 (23 dicembre 2000) – Legge 289/2002 (27 dicembre 2002) – Legge326/2003 – Legge 350/2003. Tali leggi si limitano tuttavia a disciplinare la installazione ed utilizzo di videogiochi negli esercizi pubblici, nelle sale pubbliche da biliardo o da gioco, e nei punti di raccolta delle scommesse ove possano essere installati apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici da trattenimento e da gioco di abilità. Queste leggi risultano pertanto assolutamente insufficienti ed hanno di fatto lasciato il mondo dei videogiochi senza regole premurandosi solo di far emergere i guadagni che normalmente venivano percepiti in nero e tassando gli utili, senza però alcun serio controllo sui contenuti né sulla attività di vendita al pubblico e comunque sulle attività di produzione, duplicazione, noleggio o cessione a qualsiasi titolo di supporti audiovisivi destinati al gioco, atteso che tale settore risulta sottratto al sistema delle autorizzazioni di polizia. Certamente significativa è stata l’adesione delle aziende europee del settore al PEGI (PAN European Game Information), il primo sistema europeo di classificazione dei videogiochi per fasce di età e per contenuti audiovisivi ai fini della classificazione di ciascun videogioco, prevedendo l’utilizzazione di due o più simboli correlati tra loro e stampati sulla confezione che consentono di rendere riconoscibile il contenuto del gioco e le fasce di età per le quali esso è adatto, sotto il controllo di un “Advisory board” che vigila sulla corretta applicazione delle regole cui le aziende produttrici hanno aderito.

Tuttavia trattasi di organismo europeo a cui i produttori volontariamente sottopongono i propri prodotti e le cui indicazioni hanno mero valore consultivo. Con ogni evidenza una normativa comune a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea sarà pressochè impossibile da raggiungere ed ogni singolo stato avrà pieno potere nel determinare quali siano i giochi da limitare e pertanto la decisione finale sul divieto di vendita sarà rimessa ai singoli stati, pur magari alla luce di una lista nera che possa guidare le decisioni in merito. Sarebbe pertanto doveroso prevedere dispositivi interni di contrasto volti ad accertare se la commercializzazione e la diffusione di giochi a contenuto osceno, applicati su software per consolle od elaboratori elettronici o comunque su specifico supporto audiovisivo, integri, per le particolari modalità attuative, gli estremi dei delitti sanzionati dall’art. 528 c.p. o dell’illecito amministrativo di cui alle fattispecie depenalizzata prevista dall’art. 725 c.p., In questa ottica sarebbe necessario altresì potenziare le iniziative di contrasto al fenomeno dell’abusivismo nel commercio ambulante al fine di arginare il fenomeno della diffusione di videogiochi non adatti a minori, atteso che tali forme di abusivismo spesso si accompagnano ad altre manifestazioni criminali, quali la pirateria audiovisiva ed informatica che, frequentemente, ha ad oggetto l’illegale riproduzione e commercializzazione di giochi per consolle ed elaboratori elettronici destinati ad uso familiare. Oltremodo vantaggiosa sarebbe infine la creazione – auspicata da più parti – di una Authority che determini standard per le modalità di vendita di videogiochi in modo da censurare quelli portatori di messaggi di intollerabile violenza e che comunque si proceda, non già a crociate contro i videogiochi né ad una vera e propria caccia alle streghe, bensì ad adottare con serietà e competenza iniziative costruttive nell’interesse dei minori

Valeria Rosetti
Sostituto Procuratore presso il Tribunale per i minorenni di Napoli

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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