Babysitter digitali

L’indagine “Bambini e videogiochi” realizzata nel 2001 nel Friuli Venezia Giulia nelle province di Trieste, Udine e Venezia e in Sicilia nella Provincia di Catania prese in esame la fascia di età compresa tra gli otto e gli undici anni. A quanto già evidenziato dal rapporto di Telefono Azzurro si aggiungono i dati di una recente indagine condotta da Demoskopea che denuncia l’insorgere di fenomeni di dipendenza da tecnologia

Quando nel 2001 fu messo a punto il questionario Bambini e videogiochi, nell’ambito della ricerca partita nel 1999 sul rapporto tra bambini e televisione, cercavamo di indagare un fenomeno che era appena agli inizi. L’impatto delle nuove tecnologie sulle giovani generazioni, i vantaggi e i potenziali danni.
Da allora la rivoluzione tecnologia si muove a passi da gigante diffondendosi sempre di più nel quotidiano della famiglie. Computer, telefoni cellulari multifunzione, consolle per videogiochi sempre più potenti, lettori dvd portatili, le connessioni internet veloci e la tecnologia bluetooth ci costringono alla velocità di risposta, alla reperibilità continua, al consumo “forzato” di tecnologia. Se pensiamo ai primi videogiochi, al mitico Pong, definito dall’esperto di multimedialità e giornalista del Corriere della Sera, Marco Gasperetti “proto videogioco”, ci rendiamo facilmente conto dell’incredibile sviluppo tecnologico che ne è seguito. Tanto che oggi la categoria videogiochi è presente su molteplici supporti, dalle consolle, ai pc, ai telefoni cellulari. E’ evidente che il “rischio dipendenza” aumenta, di fronte ad un’offerta commerciale ampia e che, fin troppo spesso, non differenzia in modo adeguato rispetto ai diversi pubblici di acquirenti.

A distanza di quattro anni dalla pubblicazione del volume Videogiocando, è lecito domandarsi che cosa è accaduto, cosa è cambiato nella nostra vita e in quella dei nostri figli. Nelle ricerche che ho condotto in questi anni sul mondo dell’infanzia e delle nuove tecnologie ho cercato di mantenere un atteggiamento critico e costruttivo. La tecnologia è un fattore di sviluppo e di crescita formidabile, l’evoluzione della società occidentale lo dimostra. Ma quello che preoccupa da sempre è il modo in cui la tecnologia viene utilizzata, le finalità per cui viene impiegata, senza che questi interrogativi si pongano come un freno allo sviluppo, ma accompagnandolo attraverso una costante verifica, una riflessione che consenta di intervenire perché l’uso distorto venga eliminato oppure limitato, perché alle esigenze del profitto non si sacrifichino la salute fisica e mentale degli utilizzatori, in particolare dei bambini e degli adolescenti. Il videogioco può essere un formidabile strumento didattico, capace di sviluppare la velocità di riflessi, la capacità di ragionamento e consentire di convogliare fantasia creatività, ma anche aggressività nelle sceneggiature sempre più complesse dei videogiochi di ultima generazione. E proprio i giochi violenti, possono incidere in maniera pesante e dannosa sulla crescita dei bambini e degli adolescenti, proponendo modelli negativi, che assommati all’impatto di una realtà violenta e sopraffattrice come quella sempre più proposta dalla televisione (reality show di ogni genere, immagini giornalistiche cruente e senzazionalistiche), impongono alla famiglia e alla scuola di svolgere un ruolo proattivo capace di prevenire e accompagnare la scelta e l’utilizzo delle tecnologie ed in particolare dei videogiochi. Come affermammo anche nel volume, la scuola continua a perdere l’opportunità di utilizzare la tecnologia quale supporto all’apprendimento e di esercitare il ruolo di arena dell’apprendimento corretto delle tecnologie.

Così si ripropone lo stesso problema che esiste tra cittadino e amministrazione in Italia. Il popolo degli internauti cresce, siamo il primo Paese europeo per diffusione di telefoni cellulari, ma non siamo ancora in grado culturalmente di accedere ai servizi di e-government. La Pubblica Amministrazione e le Istituzioni in genere non sono in grado di accompagnare la corretta alfabetizzazione digitale dei cittadini e questo si ripercuote anche nell’ambito famigliare. Laddove i genitori dovrebbero accompagnare i propri figli ad un uso consapevole della tecnologia. Così il videogioco, diventa il “babysitter” del bambino e non un momento di aggregazione, di gioco condiviso del genitore con i figli. Un controllo non sempre attento dei contenuti e dei tempi di utilizzo rischiano poi di generare comportamenti e situazioni di forte pericolo. Tanto che il Rapporto di Telefono Azzurro e di Eurispes sulla condizione dell’infanzia nel 2004, sottolinea come siano in aumento le patologie indotte dall’abuso di videogiochi. In primis l’epilessia, a fronte di circa 10.000 casi censiti in Italia, il 3% di questi risulta essere causato da videogiochi. “Si stima che sia attribuibile ad essi il 10% di quei casi di epilessia che interessano soggetti tra i 7 e i 19 anni. I giochi delle moderne consolle con i loro dettagli grafici sempre più definiti e ricercati e con le loro storie avvincenti trasportano il giocatore ad un elevato livello di coinvolgimento che si conclude molto spesso in dipendenza da videogioco.

Dipendenza che va estendendosi con la diffusione sempre maggiore di videogiochi da casa. Comprensibile pertanto il volume d’affari della Sony che, solo nel 2003, ha venduto in Italia 1.000.000 di playstation”. A quanto evidenziato dal Rapporto di Telefono Azzurro si aggiungono i dati di una recente indagine condotta da Demoskopea denunciano l’insorgere di fenomeni di dipendenza da tecnologia. I dati pubblicati nel quadro della IV campagna “ Alla scoperta del corpo umano” realizzata nelle scuole medie inferiori su un campione di oltre 13.000 studenti mostrano percentuali davvero inquetanti:
• dipendenza da videogame 49%
• dipendenza da tv e cellulari 37%
Alla luce di quanto sopra esposto l’indagine “Bambini e videogiochi” realizzata nel 2001 nel Friuli Venezia Giulia nelle province di Trieste, Udine e Venezia e in Sicilia nella Provincia di Catania posero l’accento sul alcuni elementi e originarono degli spunti di riflessione che a distanza di tempo permangono, così come dimostrano le successive ricerche e indagini. La ricerca prese in esame la fascia di età compresa tra gli otto e gli undici anni, perché ritenevamo e riteniamo che sia questo il periodo in cui i bambini sono più esposti ai messaggi e ai modelli proposti dai diversi media . I punti analizzati riguardarono:
• il rapporto dei bambini con i videogiochi (dati quantitativi e qualitativi)
• il tipo di influenza esercitata dai videogiochi sulla condotta e sulla personalità infantile
• la presenza o meno di una dipendenza bambini videogiochi.
Il confronto dei dati tra le indagini, quella condotta nel Nord Est e quella realizzata nel Sud d’Italia sorpresero per alcuni aspetti. La realtà italiana che emerse da questa ricerca, e i numeri ci portarono ad affermare che era necessario cercare un nuovo modo per educare e stimolare i nostri figli, auspicando un uso attento e utile delle nuove tecnologie.

Ma andiamo a commentare subito i numeri. Un primo dato mi colpì. L’81,4% dei bambini siciliani intervistati possedevano dei videogiochi contro l’87,4% del Nord Est. Questo significa che il sud nei consumi di videogiochi non era affatto indietro. Un’altra percentuale in controtendenza rispetto al nord era quella relativa al possesso della playstation. Il 48,6 % dei bambini catanesi avevano in casa l’apparecchio e la percentuale più alta era di femminucce il 45,8% rispetto ai maschietti 18,3%. C’era un dato che giudicai inquietante e che purtroppo non è andato in controtendenza: quando fu chiesto in che momento della giornata usi i videogiochi? Al sud il 6,8% rispose la notte. Di più i maschi 9,8% ed il 2% le femmine. Un dato che superò di ben due punti quello del nord. Questo significa che nelle ore notturne sottraendosi al controllo dei genitori continuavano a giocare. Era un allarme che già avevamo lanciato qualche anno prima chiedendo ai genitori di togliere dalla stanza dei figli la televisione . Purtroppo constatiamo che le camere di bambini e adolescenti sono diventate sempre di più dei veri centri multimediali, alla televisione, che non è fatto sparita dall’arredo, si aggiungo: computer, playstation, lettore dvd, telefono cellulare di fianco al letto e quant’altro di tecno-ludico appaia in commercio. Altro punto dolente era quello della solitudine dei bambini. Il videogioco non era un gioco di famiglia. In Sicilia i bambini che giocavano da soli erano il 38%, una percentuale questa molto inferiore rispetto al Nord Est dove il 70,4% degli intervistati aveva confessato questo disagio. Fratelli e sorelle erano i compagni ideali, mentre papà e mamma erano latitanti.

Con i bambini catanesi giocava l’11% dei babbi ed il 2,1% delle mamme. Questo conferma una tendenza nazionale che i videogiochi sono dei giochi e non il gioco di famiglia. Un a tendenza che si è trasformata in una radicata realtà. E questo, come ha scritto anche Giovanni Bollea, significa che i nostri figli in preda al consumismo non giocano più a tombola o a risiko, ma stanno da soli. Chiediamoci è soltanto colpa dei bambini, o anche di quei genitori che arrivano nei negozi e chiedono i videogiochi più semplici con delle spiegazioni comprensibili per non perdere neppure il tempo di studiarne insieme al figlio il funzionamento? Per quanto riguardava il tempo che i bambini dedicavano ai videogioco i risultati scaturiti mostrarono una sostanziale equivalenza tra nord e sud. Il 7,1% dei bambini siciliani giocava dalle 2 alle 3 ore, contro il 7,5 del Veneto e Friuli Venezia Giulia. Con un 60,5% di bambini che dichiarava di giocarle tutte di seguito. A questo punto possiamo fare alcune semplici valutazioni e chiederci cosa è cambiato rispetto al 2001. Facciamo un rapido calcolo: quante ore i bambini trascorrevano in una giornata davanti la tv o in compagnia del videogioco. E quante ore invece parlavano, anche delle trasmissioni tv o dei videogiochi con i genitori? Un altro elemento deve farci pensare: nel nord est i bambini che dichiaravano di immedesimarsi nel protagonista toccavano una percentuale del 44%, a Catania il 72%. Ed il rapporto rimaneva invariato alla domanda: cerchi mai di imitarlo? Il 38, 3 di veneti ed i friulani cercava di imitarlo contro il 51,2% dei catanesi. Concludo questa breve riflessione con un dato che fatico ancora oggi a spiegarmi. Soltanto il 26,5 % dei bambini siciliani dichiarava di preferire i giochi all’aperto contro il 52,2% di quelli del Nord Est. Ma i catanesi si rifacevano quando soltanto il 23,1% preferiva i videogiochi contro il 41% dei coetanei. E’ davvero strano. Non amano più giocare per strada, come facevano noi, ai nostri tempi, ma non amano neppure tantissimo i videogiochi anche se li usano e li posseggono.

Numeri e commenti adesso li mettiamo a disposizione delle Istituzioni. Ma prima di farlo voglio sottolineare una cosa che dico sempre in tutti gli incontri con genitori, operatori, sindaci o assessori. Non dimentichiamoci delle due f: famiglia e formazione. La famiglia deve recuperare un suo ruolo fondamentale. Genitori e nonni, devono aiutare il bambini nel processo evolutivo, non rappresentando le nuove tecnologie come delle diavolerie incontrollabili. Ribadisco, ci sono degli ottimi videogiochi per sviluppare la memoria, imparare l’inglese o la matematica. Ma ci sono anche dei videogiochi in cui guadagni più punti se uccidi tuo padre (naturalmente in maniera virtuale) o diventi ricco se riesci a creare un esercito di schiavi che lavorano per te. E poi la formazione. In Italia dobbiamo scoprire la magia e l’importanza della formazione permanente che non si esaurisce con qualche corso dell’Università della Terza Età, ma le Istituzioni devono, come si sta già facendo in alcune regioni, programmare dei corsi di formazione per genitori sulle nuove tecnologie e dei corsi di aggiornamento per gli insegnanti. A Catania tra i bambini intervistati il 28,2 % usa il computer per studiare ed il 54% per giocare. In Veneto e Friuli Venezia Giulia i dati non sono più confortanti perché il 76,1% lo usa per giocare ed il 38% per studiare. Questo dato va ribaltato ma è possibile soltanto se il computer diventa patrimonio di tutta la famiglia e non soltanto dei più piccoli per farli star buoni. Mi piace concludere con una massima di Isac Asimov , che nel 94 ha pubblicato per Mondadori Io Robot, “la disumanità del computer sta nel fatto che, una volta programmato e messo in funzione, si comporta in maniera perfettamente onesta”.

Francesco Pira
Giornalista, professore di Comunicazione sociale, teoria e tecniche
delle relazioni pubbliche e della comunicazione
Ha collaborato la Dottoressa Vania Pistolozzi

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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