Un rischio di genere

I disturbi alimentari sono diventati, nell’ultimo ventennio, una vera e propria emergenza socio-sanitaria per gli effetti devastanti che hanno sulla salute e sulla vita di adolescenti e giovani adulti. Essi appaiono frequentemente associati ad altri disturbi psichiatrici, come depressione, abuso di sostanze e ansia. Inoltre, le persone che ne sono affette soffrono spesso di notevoli complicazioni a livello fisico, come patologie cardiache e insufficienza renale 

Il comportamento alimentare è un comportamento complesso, controllato da numerosi fattori che comprendono l’appetito, la disponibilità di cibo, le abitudini familiari, culturali e generazionali, nonché, non da ultimo, la volontà. Gravi disturbi di tale comportamento portano a disordini, sia di tipo fisico come riduzioni estreme e dannose dell’apporto calorico giornaliero oppure grave sovra-alimentazione, sia psicologico come sentimenti di disagio o eccessive preoccupazioni riguardo al proprio peso o al proprio aspetto. Più precisamente, il termine disturbo dell’alimentazione fa riferimento a disordini persistenti del comportamento alimentare o dei comportamenti finalizzati al controllo del peso corporeo, che danneggiano in modo significativo la salute fisica e il funzionamento psicologico di un individuo e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta.
I disturbi alimentari, di cui anoressia e bulimia nervosa sono le manifestazioni più note e frequenti, sono diventati nell’ultimo ventennio una vera e propria emergenza socio-sanitaria per gli effetti devastanti che hanno sulla salute e sulla vita di adolescenti e giovani adulti. Essi appaiono frequentemente associati ad altri disturbi psichiatrici, come depressione, abuso di sostanze e disturbi d’ansia. Inoltre, le persone che ne sono affette soffrono spesso di notevoli complicazioni a livello fisico, come patologie cardiache e insufficienza renale che possono condurre alla morte, il che rafforza la necessità di riconoscere i disturbi alimentari come malattie reali e trattabili. Sono stati individuati alcuni fattori specifici che più facilmente mettono la popolazione a rischio di contrarre tali disturbi. Innanzitutto il genere: a rischio sono maggiormente le ragazze, dato che il 90-95% dei pazienti appartiene al genere femminile, mentre solo una percentuale stimata tra il 5% e il 15% delle persone con anoressia o bulimia sono maschi. In secondo luogo, l’età: in generale i disturbi alimentari si sviluppano frequentemente durante l’adolescenza e la prima età adulta; in particolare, la fascia più colpita è quella fra i 12 e i 25 anni, all’interno della quale è critico soprattutto il periodo d’età compreso fra i 14 e i 18 anni.

Per citare un dato importante, risulta che nei paesi occidentali, inclusa l’Italia, 8-10 ragazze su 100 che hanno tra i 12 e i 25 anni soffrono di un qualche disturbo del comportamento alimentare. Una possibile ragione è facilmente rintracciabile: questa è l’età in cui il corpo si trasforma, diventando di conseguenza oggetto di particolare attenzione e, nel contempo, cominciano a essere particolarmente interessanti ed efficaci i complimenti o le critiche dei coetanei. Ancora, il rischio di sviluppo di patologie alimentari è maggiore in giovani che vivono situazioni familiari critiche (ad es., malattie croniche, disturbi psichici, relazioni familiari problematiche) o in famiglie in cui si dà particolare attenzione al peso e alle forme corporee da parte dei genitori o di fratelli/sorelle. Anche la cultura è un fattore predisponente, risultando tali disturbi tipici del sistema di vita occidentale. Infine, molti studi su famiglie e su gemelli suggeriscono un’alta percentuale di ereditarietà, per cui attualmente la ricerca è diretta a individuare i geni predisponenti i disordini alimentari, anche se si ritiene che più geni possano interagire con l’ambiente e con altri fattori individuali nell’aumentare il rischio.
In considerazione di tale complessità, il nucleo patogenetico che caratterizza i disturbi alimentari (bassa autostima, depressione, sofferenza causata da una mancata corrispondenza tra peso reale e peso ideale) risulta pertanto determinato da un insieme di aspetti biologici, individuali e socio-culturali che, interagendo fra loro, costituiscono il terreno predisponente, precipitante e di mantenimento di tali disturbi (Dalle Grave, 2003). Il che permette di concludere a favore di una visione multifattoriale delle loro cause.
Oltre ad anoressia e bulimia, è presente un’ampia ed eterogenea categoria di disturbi dell’alimentazione atipici, cioè disturbi clinicamente significativi ma che non soddisfano tutti i criteri diagnostici dell’anoressia e della bulimia nervosa: alcune persone, ad esempio, iniziano con una forma di anoressia ma poi, incapaci di mantenere il basso peso, scivolano verso comportamenti bulimici. Secondo l’American Psychiatric Association (A.P.A.), la metà dei pazienti anoressici finisce con l’avere anche sintomi di bulimia e, in qualche caso, i pazienti bulimici sviluppano comportamenti anoressici. Il presente contributo si occupa in modo specifico della bulimia nervosa, concentrando l’attenzione su aspetti teorici e clinici.

A lungo considerata una variante dell’anoressia o, al contrario, come una particolare forma di obesità, la bulimia nervosa è stata riconosciuta come disturbo psichiatrico autonomo a partire dalla terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (A.P.A., 1980). Il termine bulimia ha origine dalla fusione di due parole greche: bous (bue) e limos (fame), che, tradotte letteralmente, significano “fame da bue”. Insieme all’anoressia, fa parte dei Disturbi dell’Alimentazione ed è pertanto caratterizzata dalla presenza sia di gravi alterazioni del comportamento alimentare che di una percezione distorta del peso e della propria immagine corporea. Le somiglianze tra l’anoressia e la bulimia comprendono la preoccupazione per la dieta, il cibo e il peso, il disagio quando si è a tavola con altri e la ricerca dell’approvazione sociale. Le differenze riguardano la negazione del problema e il peso.

L’anoressica nega a sé e agli altri che esista una qualsiasi difficoltà o un comportamento alimentare anormale; la bulimica, invece, mentre nega l’esistenza del problema in pubblico, con gli altri, lo riconosce in privato, dentro di sé. L’anoressica è sempre sottopeso (almeno il 15% al di sotto del peso corporeo consigliato), mentre la bulimica può essere sottopeso, normopeso o sovrappeso. Infatti, il peso corporeo, malgrado le abbuffate alimentari, può essere mantenuto costante, o addirittura ridotto, a causa della messa in atto di comportamenti compensatori, come il vomito, l’uso di lassativi o l’esercizio fisico.
La bulimia nervosa è molto più frequente dell’anoressia nervosa, come risulta da una recente indagine che rileva un’incidenza di 12 casi annui su 100.000 soggetti rispetto agli 8 casi di anoressia. La patologia è prevalentemente appannaggio del sesso femminile: una percentuale tra l’1 e il 3% delle donne soffre di bulimia nervosa nel corso della vita, mentre la percentuale è nettamente inferiore o inesistente nei maschi. L’età di esordio si situa nella tarda adolescenza o nella prima età adulta, con età media intorno a 20 anni e un range compreso tra 11 e 45 anni. Differisce pertanto sotto questo aspetto dall’anoressia nervosa, colpendo maggiormente donne adulte che si affacciano al mondo del lavoro e si distaccano dalla propria famiglia, in concomitanza cioè con due eventi critici che possono mettere a dura prova l’identità personale.

I casi che insorgono prima della pubertà e prima del menarca sono più frequentemente associati a psicopatologie e hanno una prognosi psichiatrica più sfavorevole. La razza più colpita è quella bianca, di classe socio-economica medio-alta, ma sono riportati casi appartenenti a diversi gruppi razziali e a diverse classi sociali. Nei soggetti con bulimia nervosa vi è un’aumentata incidenza di sintomi depressivi (ad es., ridotta autostima) o Disturbi dell’Umore (Distimia e Depressione Maggiore) che nella maggioranza dei casi seguono la bulimia nervosa o sono concomitanti con il suo sviluppo; inoltre vi è un’aumentata frequenza di sintomi d’ansia (ad es., ansia nelle situazioni sociali) o di Disturbi d’Ansia propriamente detti.

Circa un terzo degli individui con bulimia nervosa manifesta un abuso di sostanze o qualche forma di dipendenza, in particolare da alcool e da sostanze stimolanti, il cui uso di solito inizia nel tentativo di controllare l’appetito e il peso. Circa la metà dei casi di bulimia nervosa inoltre rivela tratti personologici che incontrano i criteri per uno o più Disturbi di Personalità, di cui il più frequentemente diagnosticato è il Disturbo Borderline di Personalità.

L’esordio della malattia è spesso associato a una dieta dimagrante: il 34,88% delle pazienti indica la comparsa della bulimia dopo un periodo di restrizione calorica, iniziato per lasciarsi alle spalle una storia di sovrappeso rispetto ai coetanei; mentre, in altri casi, vi è un vissuto di perdita o di separazione. Indipendentemente dall’inizio, comunque, la condotta bulimica sembra assumere nel tempo un’esistenza autonoma, diventando un pattern abituale nella vita della persona, fatto di abbuffate, alternate a periodi di digiuno o di rigide restrizioni, che andranno progressivamente a sostituire del tutto i pasti regolari.
L’esordio avviene in concomitanza a fattori precipitanti. Un percorso tipico di sviluppo della malattia comincia con l’insoddisfazione per il peso e le forme corporee, spesso sollecitata dalle critiche di amici o da confronti perdenti con compagni di classe o colleghi di lavoro, e continua con la decisione di iniziare una dieta. Di solito, la dieta funziona molto bene e la persona comincia a ricevere rinforzi positivi dall’esterno, i quali da una parte aumentano la sua autostima, dall’altra la confermano nella convinzione che la dieta è la cosa giusta da fare. Emerge quindi un fattore perpetuante che porta alla creazione di un circolo vizioso, rendendo difficile l’interruzione della malattia.

In un primo momento, è evidente che la dieta rappresenta per la persona una buona alleata e le conseguenze di un comportamento alimentare scorretto non appaiono ancora evidenti. Per questa ragione, la richiesta al medico o allo specialista arriva solitamente molto tardi, in genere dopo che sono trascorsi dai 3 ai 6 anni dall’esordio della malattia, quando il disturbo è ormai cronicizzato e complesso, e i meccanismi regolatori di fame/sazietà e della defecazione sono già alterati. Una volta che le conseguenze negative sia psicologiche che organiche si fanno sentire, la persona smette di essere euforica come nei primi mesi della dieta. Continua tuttavia nella decisione di non riprendere peso, dato che, se lo facesse, tornerebbe a sentirsi di nuovo “orribile”, inaccettabile, non adeguata. Tuttavia, non riuscendo più ad ascoltare il proprio corpo per sapere quando ha fame e quando è sazia, vive nel terrore di aver mangiato troppo, si pesa continuamente o evita di pesarsi, sempre con la paura di deludere se stessa e gli altri o di non essere così brava come prima, in sostanza avendo come unico parametro di riferimento/valutazione della propria vita il cibo e il cibo soltanto.
Oltre a queste conseguenze psicologiche che alimentano la malattia, la paziente può presentare diversi disturbi di carattere medico, dovuti essenzialmente all’uso delle metodiche di eliminazione. I disturbi più frequenti e più gravi sono gli squilibri idroelettrolitici presenti in circa il 50% delle pazienti, i cui sintomi sono debolezza e apatia, sete, ritenzione idrica con edemi a braccia e gambe, vertigini, spasmi, irregolarità del battito cardiaco. La stimolazione meccanica del vomito può inoltre causare ferite superficiali nella parte posteriore della gola, che a loro volta possono provocare infezioni, dolori e raucedine; così, il ripetuto contatto che l’acido cloridrico prodotto dal vomito ha con i denti porta a una erosione irreversibile dello smalto dentario. Sotto il profilo endocrino, risultano molto frequenti le irregolarità del ciclo, mentre solo poche pazienti risultano del tutto amenorroiche. Di minore entità medica, ma con una rilevante ricaduta sul piano psicologico, è l’aumento delle dimensioni delle ghiandole salivari, in special modo le parotidi, che, oltre a causare una maggiore produzione di saliva, conferisce al volto un aspetto tondo e paffuto, il che porta le pazienti a percepire la propria faccia “grassa” e a pensare che anche il resto del corpo sia così, finendo ovviamente per aumentare la loro preoccupazione per forme e peso e perpetuare il problema.

 Tiziana Aureli
Professore straordinario, dipartimento di scienze biomediche,
Facoltà di psicologia Università degli studi “G. d’A” di Chieti-Pescara
Elisabetta Bascelli
dipartimento di scienze biomediche
Facoltà di psicologia Università degli studi “G. d’A” di Chieti-Pescara

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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