Il tasso di abortività in Italia è tra i più bassi del mondo

Ciò che fino ad oggi si viene enucleando è che la legge 194 è una buona legge. Le interruzioni volontarie di gravidanza negli ultimi 20 anni sono diminuite di circa del 47% e l’andamento negli anni 2003 – 2004 dice che le italiane abortiscono sempre meno mentre i picchi di aumento sono dovuti per il 50% alle cittadine straniere immigrate

Mancano circa 50 giorni alla fine della legislatura e la commissione affari sociali affronta una indagine conoscitiva per la verifica dell’applicazione della legge 194 in modo improprio, con un metodo infelice e con una visione strumentale delle cose. La prima domanda che sorge è come mai in 5 anni di fronte alle relazioni sullo stato di applicazione della legge fornite dal ministero della salute e il ministero di grazia e giustizia nonostante le richieste dell’opposizione di discutere nel merito lo stato applicativo non si sia mai sentita l’esigenza di affrontare gli approfondimenti, improvvisamente a fine legislatura si è voluto strumentalmente verificare, in tempi strettissimi ciò che invece avrebbe richiesto tempi e metodi seri al fine di approfondire l’applicazione reale dell’art 2 della legge 194.

L’indagine oramai è patita.
Partecipo puntualmente a tutte le audizioni e ciò che fino ad oggi si viene enucleando è che la legge 194 è una buona legge, infatti le interruzioni volontarie di gravidanza negli ultimi 20 anni sono diminuite di circa del 47%, l’andamento negli anni 2003 – 2004 dice che le italiane abortiscono sempre meno e che i picchi di aumento sono dovuti per il 50% alle cittadine straniere immigrate. Che cosa accade dunque? Il tasso di abortività in Italia è tra i più bassi nel mondo.

E’ andata formandosi negli anni, almeno tra le donne italiane, la cultura della contraccezione che occorre incentivare per prevenire l’aborto. Permane un tasso di recidività tra le donne di età compresa tra i 35 e i 45 anni, con più di due figli in condizioni socio-economiche medio basse e residenti in aree del paese in grosse difficoltà economiche e sociali. La realtà a cui le donne si rivolgono per chiedere la certificazione per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) sono per un terzo i consultori  familiari, per un terzo il medico di famiglia o medico ginecologo e per il rimanente terzo alle strutture sanitarie ospedaliere. Il dato più significativo è che laddove le strutture consultoriali sono in rete con le strutture ospedaliere e con i servizi sociali presenti sul territorio l’azione dei consultori rispetta pienamente l’art. 2 della legge 194, laddove le strutture  consultoriali soffrono della mancanza delle figure professionali stabilite per legge e che debbono operare nel consultorio oppure cono carenti in termini strutturali sul territorio oppure ancora vivono la presenza di medici ginecologi obiettori di coscienza non riescono ad espletare tutte le loro funzioni e quindi e più difficile applicare pienamente la legge.

Il problema dell’IVG mette in luce i punti chiave su cui occorre ancora lavorare molto se si vuole prevenire l’aborto e dare piena tutela sociale al valore della maternità nel rispetto dello spirito complessivo della legge e della volontà delle donne senza tentativi oscuri di coazione delle loro decisioni. Interventi chiave a mio avviso sono: una opera grande di educazione sessuale nelle scuole che viene ancora effettuata sporadicamente e solo su iniziativa di consultori e docenti volenterosi; ampliare l’offerta attiva di contraccettivi soprattutto alle donne straniere e alle immigrate clandestine anche per la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili; usare modalità di contenimento del costo della contraccezione per esempio con la distribuzione gratuita dei profilattici ai giovani; potenziamento del ruolo dei consultori che soli possono offrire alla donna e alla coppia una risposta complessiva al problema della paternità e maternità consapevole e responsabile; trovare un intima coerenza tra la piena applicazione della legge 194 e le politiche che si applicano in campo sociale sanitario. Non confondere le politiche per favorire la natalità con le politiche di controllo della fertilità. Non è un caso che in tutti questi 5 anni ai nostri emendamenti per il potenziamento della rete consultoriale, almeno 1 ogni 20mila abitanti per sbloccare le politiche di assunzione di personale necessario, per integrare il consulto nella rete dei servizi socio – sanitari per mettere in piedi vere e proprie politiche di sostegno alla famiglia non è stata data alcuna risposta.
Solo interventi spot.

Politiche del bonus bebè sono state le uniche risibili risposte che mettono in evidenza la contraddizione esistente tra chi retoricamente afferma la politica a sostegno della famiglia e la condanna della legge 194. Occorre un’intima coerenza e comportamenti politici consapevoli per far si che una buona legge non venga travolta da crociate safedische, che i consultori, servizi di frontiera, possano fare di più e meglio, che le politiche per la famiglia per essere attivate abbisognano di forti politiche pubbliche: poli della casa, poli dei servizi sociali, riconoscimento a tutte le donne lavoratrici di provvidenze in caso di maternità, poli di sostegno ai redditi medio bassi. Il problema è dunque prevenire l’aborto e quindi scegliere con coerenza la politica della contraccezione e favorire la natalità con politiche attive per le famiglie italiane. A 45 giorni dalla fine della legislatura e sorprendente la miopia di una maggioranza e di un governo che nascondendosi dietro una indagine  conoscitiva in realtà occultano le proprie responsabilità ed ancora una volta nella finanziaria 2006 tranne il bonus bebè tutto il resto è nebbia.

on. Grazia Labate
Componente XII commissione affari sociali

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