La 194 non fu un atto di cinismo, ma la risposta a un’esigenza sociale

L’aborto è un momento tragico per la vita della donna, un momento nel quale, anche quando è sostenuta ed accompagnata dall’aiuto delle strutture sociali e dalla famiglia, essa vive sempre un dramma ed una sofferenza

Nelle scorse settimane sono sorte polemiche infuocate intorno alla legge 194, la legge che regolamenta l’interruzione di gravidanza.
Le polemiche sono sorte a seguito dell’intervento del Ministro Storace che ha segnalato la necessità della presenza di volontari del movimento per la vita nei consultori.

Da lì è partita una serie interminabile di interventi che hanno fatto da premessa al sorgere di una commissione parlamentare avente lo scopo di verificare lo stato di attuazione della legge 194.
Questa, in breve, la storia dell’ultima polemica sull’aborto.
Il mio giudizio su tutto questo è noto e per argomentare parto proprio dalla legge.
Personalmente, ritengo l’aborto un momento tragico per la vita della donna, un momento nel quale anche quando è sostenuta ed accompagnata dall’aiuto delle strutture sociali e dalla famiglia è sempre un dramma ed una sofferenza.

Quando, poi, questo evento viene vissuto da giovani donne o da cittadine straniere extracomunitarie clandestine si trasforma quasi sempre in una fatto tragico e luttuoso.
Tutto ciò avviene nella intima solitudine della donna davanti alla scelta di perdere in maniera traumatica ciò che completa naturalmente la sua vita, cioè un figlio.

Di fronte a questo, la scelta del legislatore di introdurre a suo tempo la 194 non fu un atto di egoismo o di cinismo, ma la risposta ad una esigenza di carattere sociale, ribadita anche con un referendum popolare.
I limiti imposti dalla legge 194 ritengo siano tollerabili e coerenti nel contemperare le esigenze di non impedire di fronte a situazioni chiare e ben definite il ricorso alla interruzione volontaria della gravidanza e la difesa della vita, che è e deve restare un caposaldo della struttura sociale e politica nella nostra epoca.

Il tema della verifica della completa applicazione di una legge non può essere terreno di scontro proprio poichè è una prerogativa del Parlamento, in virtù della funzione legislativa di esso. Non vedo, quindi, la necessità di alimentare polemiche in tal senso.
Diverso è il mio pensiero di fronte alla richiesta del Ministro Storace per l’inserimento nei consultori di volontari del movimento per la vita.
Quando una donna ricorre al consultorio ha la necessità di trovare persone competenti, serene e capaci, per quanto possibile, di aiutarla, di comprendere il suo drammatico momento, di non colpevolizzarla per gli atti compiuti o subiti, di non vessarla psicologicamente.

Appare evidente, e dal loro punto di vista è corretto, che i rappresentanti del movimento per la vita non vedano il ricorso all’aborto come una possibilità di scelta della donna ma come un delitto.
Faranno, quindi, in modo di salvare la vita, con ciò prescindendo dalla condizione della donna che con il nascituro è l’altro attore della vicenda.
In sostanza, il timore che il consultorio possa diventare un momento di ulteriore difficoltà per la donna, un momento dove si possa consumare un altro dramma per lei a causa del condizionamento che potrebbe subire, è da parte mia molto forte.

Con ciò non intendo affermare o sostenere la negatività del movimento per la vita, ma penso che la loro posizione non aiuti una donna davanti alla richiesta di aiuto che, in quel momento, potrebbe interessare tanti aspetti: sanitario, economico, sociale.
Penso che la 194, pur riguardando un tema così delicato, sia stata e resti una conquista non solo delle donne  ma di tutta la società italiana.
E a chi afferma, un po’ cinicamente, che non può parlarsi di conquista di fronte alla soppressione di una vita, rispondo che le vite in gioco, davanti alla scelta di ricorrere alla interruzione di una gravidanza, sono due.
Ed entrambe vanno difese.

 

on. Alessandra Mussolini
Deputato europeo
Segretario nazionale Azione Sociale

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