Se anche gli adolescenti bagnano il letto

Una delle possibili cause del problema va ricercata tra i genitori del paziente: circa il 75% degli enuretici ha il papà (in particolare) o la mamma che hanno o hanno avuto tale disturbo, per cui il soggetto nasce già con una predisposizione ereditaria

Marta, 16 anni e mezzo, studentessa, ha deciso di intraprendere un trattamento psicologico per ansia d’esame, infatti al momento di interrogazioni importanti si blocca, non riesce a concentrarsi e non ricorda più niente, in certi casi evita pure di uscire interrogata.

Durante la valutazione clinica e l’anamnesi che solitamente precedono la terapia  emerge che Marta, pur apparendo attraente non ha mai avuto esperienze sessuali complete né una relazione affettiva né alcuna avventura sentimentale. Anche se tali notizie anamnestiche ben poco correlano con il disturbo lamentato, al fine di ottenere una completa valutazione psicologica della ragazza, condizione essenziale per intraprendere un intervento mirato ed efficacie, ho deciso di approfondire le informazioni sulla sua vita affettiva e sessuale che mi apparivano infrequenti rispetto alle ragazze della sua età.

Alla fine del processo valutativo emerge che alla base di una inesistente, ma pur desiderata, vita affettiva c’è un sempre più imbarazzante disturbo che Marta si porta appresso sin dalla seconda infanzia: l’enuresi. Con l’idea dei genitori che “con il tempo tutto si sarebbe messo a posto” Marta varca la soglia della adolescenza e questo suo problema diventa vieppiù un qualcosa di vergognoso da nascondere a tutti e così sistematicamente evita ogni possibile approccio con l’altro sesso temendo che ad un certo momento, inaspettatamente, possa capitarle di non riuscire a controllare e a trattenere una eventuale, imbarazzante, perdita di orina. Dal momento che il disagio continuativamente esperito in varie situazioni sociali è più intenso di quello provato in classe durante le interrogazioni si concorda di intervenire dapprima sul disturbo più nascosto e più socialmente imbarazzante. Dopo alcuni mesi di trattamento Marta risolve il problema acquisendo maggior autostima così in seguito al successo conseguito, per un disturbo per il quale Marta si era ormai rassegnata, sono sufficienti solo un ridotto numero di sedute rispetto al previsto per poter affrontare il problema oggetto dell’iniziale richiesta d’aiuto. Oggi Marta affronta adeguatamente le situazioni d’esame, ha un buon rapporto affettivo con un ragazzo che la stima e l’enuresi è ormai per lei solo un vecchio ricordo legato all’infanzia di cui ogni tanto parla sorridendo, orgogliosa del percorso intrapreso per superarla.

Ma che cosa è in definitiva l’enuresi?

Si definisce enuresi la perdita involontaria, incontrollata e massiccia di orina da parte di un soggetto sano da cui ci si aspetta un controllo volontario della muscolatura preposta all’eliminazione dell’orina. Se non ci sono cause organiche che provocano tale problema, solitamente si tratta di enuresi cosiddetta essenziale o funzionale. Rientra, assieme all’encopresi (incontinenza fecale) tra i disturbi dell’eliminazione ed è un problema psicologo, di competenza dello psicoterapeuta.

In queste pagine si tratterà del disturbo enuretico riferito alla sola età evolutiva, non si parlerà dunque della donna gravida, della donne in menopausa né di altri soggetti incontinenti, ma si prenderà in considerazione quel periodo del ciclo evolutiva che va dalla seconda infanzia all’adolescenza in cui tale disturbo psicologico è più frequente.

Dopo il periodo dell’adolescenza il disturbo è si riscontra circa in 1 persona su 100, mentre al di sotto del quinto anno d’età il problema non sussiste: il bambino (si utilizza qui e oltre il genere maschile solo per convenzione, il riferimento è comunque e sempre ad entrambi i sessi) è ancora in via di graduale maturazione fisiologica e acquisizione  del controllo dell’apparato sfinterico, cioè della muscolatura che contrasta la fuoriuscita dell’orina. Anche se a 24 mesi quasi tutti i bambini dovrebbero aver acquisito il controllo sfinterico diurno e a 36 mesi buona parte rimane asciutta di notte, si considera il periodo dell’ultimo anno dell’asilo ed il primo delle elementari il più appropriato per un intervento terapeutico che non sia soltanto orientato a risolvere un esclusivo bisogno di quei genitori che vogliono il bambino “perfetto” o quanto meno “come” quello di altri genitori con cui sovente si fanno i confronti. Pretendere che il proprio figlio faccia pipì e popò a comando, prima che inizi a camminare, senza per altro un addestramento specifico e sensato, perché ‘altri’ lo fanno, rischia di originare un processo a catena per cui il bambino  non capace di controllo sfinterico alla richiesta genitoriale si sente frustrato, sviluppa avversione verso il vasino e risponde facendo i propri bisogni da altre parti. In tanti casi poi richieste genitoriali premature accompagnate da atteggiamenti di fastidio se non di colpevolizzazione verso il bambino  enuretico possono creare disturbi psicologici anche di carattere stabile.

Pertanto, se verso i 5 anni il bambino continua a bagnare il letto (enuresi notturna) oppure, ciò è molto meno frequente, non controlla la minzione durante le ore del giorno (enuresi diurna) allora il disturbo diventa di rilevanza clinica e va iniziato un trattamento terapeutico.

L’enuresi notturna è solitamente il disturbo  più frequente, è presente nel 10% dei bambini di 6 anni, e spesso sviluppa in chi ne soffre una varietà di fastidiose problematiche a questa associate sia sul piano organico (possibili irritazioni e cistiti) sia sul versante psicologico di tipo cognitivo (bassa autostima, svalutazione globale) emozionale (sensi di vergogna o colpa) e comportamentale (evitamenti di situazioni interpersonali con conseguente limitazione della vita sociale). Si consideri che tali effetti psicologici si fanno vieppiù intensi con il trascorrere dell’età e se il disturbo non viene adeguatamente affrontato rischia di accrescere e a volte di esasperare le tipiche crisi del periodo adolescenziale. E’ pertanto consigliabile prender per tempo contatto con uno psicoterapeuta competente che inizierà con il fare una valutazione clinica del problema, spesso utilizzando diari, schede comportamentali e precise misurazioni sulle minzioni che coinvolgono attivamente anche i genitori. Una delle procedure iniziali è di verificare con una accurata anamnesi o con opportune analisi cliniche se l’enuresi lamentata è sostenuta da cause organiche o da accertato ritardo mentale. In entrambi i casi gli episodi enuretici vengono allora visti come sintomi di problematiche ben più severe che necessitano interventi principalmente di tipo medico. Infatti per circa il 10% dei casi sofferenze organiche sono la causa di emissione involontaria di orina. Tra queste le più ricorrenti sono disturbi neurologici, lesioni sfinteriche, diabete, malformazioni o alterazioni dell’apparato urinario, cistiti croniche o recidivanti, allergie verso certi cibi (come ad esempio fragole o crostacei) o additivi alimentari che irritano le pareti della vescica. In tali casi più che di enuresi si tratta propriamente  di incontinenza urinaria.

In sede di valutazione clinica è importante definire se gli incidenti enuretici sono esclusivamente notturni o si manifestano anche nel corso della giornata, se sono accompagnati da encopresi o meno, se  hanno carattere saltuario o continuativo. Inoltre, al fine di scegliere e predisporre specifiche strategie di intervento è necessario sapere se l’enuresi è stata continuativamente presente sin dalla nascita. Ci possono essere infatti casi (circa il 20%) in cui il bambino o il ragazzo aveva imparato a non bagnare più il letto e poi, dopo un intervallo di almeno 6 mesi, aveva ripreso a farlo. In tale situazione definita di enuresi secondaria le cause vanno solitamente ricercate all’interno del nucleo familiare in cui il soggetto vive. Episodi stressanti per il paziente, bambino o adolescente che sia, come ad esempio la nascita di un fratellino, litigi, separazione o seconde nozze dei genitori, lutti, inserimento in collegio, ospedalizzazione, assenza temporanea della madre, ma anche problemi scolastici, come difficoltà ed insuccessi nello studio o incomprensioni e scontri con i professori possono determinare la ricomparsa del fastidioso disturbo. Comunque particolare attenzione  merita l’atteggiamento dei familiari verso il comportamento enuretico. Ci può essere un atteggiamento punitivo, di ostilità (“sei un vergognoso perché bagni il letto” o “alla tua età non dovresti farlo”) oppure di rifiuto e tante volte si riscontra, dopo vari tentativi infruttuosi, pure rassegnazione (“passerà col tempo”).

Come mai il bambino (o il ragazzo) bagna il letto? Quali possono essere i meccanismi che determinano gli incidenti enuretici?

Una delle possibili cause dell’enuresi va ricercata tra i genitori del paziente: circa il 75% degli enuretici ha il papà (in particolare) o la mamma che hanno o hanno avuto tale disturbo per cui il soggetto nasce già con una predisposizione ereditaria che però non significa che necessariamente diventerà enuretico; inoltre, sempre in famiglia ci possono essere stati verso il proprio figlio interventi educativi troppo rigidi per quanto riguarda le abitudini igieniche tali da provocare enuresi notturna oppure c’è stata eccessiva attenzione verso il bambino per qualche episodio enuretico accidentale così che questi tenda a ripetere nel tempo tale comportamento disfunzionale per poter ricevere ancora simili manifestazioni affettive.

Dal punto di vista fisiologico l’orina prodotta continuativamente dai reni, attraverso gli ureteri, entra e si accumula nella vescica che si gonfia in rapporto alla quantità di orina raccolta. Il trattenimento dell’orina nella vescica e la sua fuoriuscita, in direzione dell’uretra, sono comandati dallo sfintere, la valvola che tiene chiusa la vescica. Pertanto il bambino o il ragazzo che bagna il letto non ha ancora acquisito, a livello cerebrale, il controllo volontario sull’attività dello sfintere. In altri casi, l’enuresi è causata da una scarsa capienza (ridotta capacità funzionale) della vescica per mancata maturazione fisiologica (vescica immatura) e ciò comporta che la vescica non possa reggere la quantità di orina (circa 200 cc) che si produce e si accumula in vescica di notte durante le 8 ore dedicate al sonno. A volte l’incidente notturno è dovuto  al sonno troppo profondo o sonno alterato. In tutti i casi qui considerati (strategie educative sbagliate, mancato sistema di controllo interno, ritardo di maturazione vescicale) per la psicologia comportamentale si tratta di mancato apprendimento di specifiche abilità da parte del paziente e dei suoi genitori. Pertanto lo psicoterapeuta di formazione cognitivo-comportamentale interviene sul disturbo enuretico con un insieme di procedure e tecniche per far apprendere al soggetto il controllo sfinterico e, se necessario, viene pure “insegnato” come aumentare la capacità di contenzione della vescica; verso i genitori lo psicoterapeuta interverrà attraverso un programma di “parent training” con lo scopo di favorire il disapprendimento di comportamenti fin ora risultati disfunzionali e l’apprendimento di comportamenti adattivi che rendano possibile una rapida soluzione del problema enuretico. L’efficacia di tali interventi, oggi largamente consolidati da ampia casistica, portano alla risoluzione, a breve termine, senza effetti collaterali, dell’ 85% dei pazienti enuretici perfino in quei casi dove vi sia predisposizione ereditaria.

Tuttavia non ostante l’alta probabilità di guarire dall’enuresi, in tempi brevi, con benefici effetti pure sull’aumento della propria autostima, molti genitori  ancora sono restii ad iniziare un trattamento di tipo psicologico. Come per molti altri disturbi di rilevanza psicologica ciò può essere dovuto alla diffusa idea, che con il tempo il problema si risolva, spontaneamente e senza sforzo alcuno, come per i genitori di Marta, oppure alla convinzione, piuttosto radicata, che basta la sola “buona volontà”. In tanti casi è molto più comune il ricorso a farmaci, spesso pure senza prescrizione, o ai più svariati “rimedi naturali” piuttosto che affidarsi alle cure di uno psicoterapeuta esperto anche perché non tutti sanno che ‘cosa fa’ e ‘come lavora’ uno psicoterapeuta. C’è pure l’idea erronea che l’enuresi, come d’altra parte anche altre psicopatologie (segnatamente l’alcolismo, il gioco d’azzardo, la cleptomania, certi disturbi sessuali, le manifestazioni psicotiche, tanto per citarne le più evidenti), sia un disturbo da tener vergognosamente e segretamente nascosto tra le quattro pareti della propria abitazione così come faceva la stessa Marta, restìa a parlarne spontaneamente anche con il terapeuta che non senza difficoltà le ha fatto affiorare il problema.

Infine, anche nel caso dell’enuresi, come del resto in molte altre situazioni, il paziente arriva solitamente allo studio dello psicoterapeuta dopo anni di sopportazione quando presentandosi a disturbo incipiente le probabilità di risoluzione potrebbero essere molto più elevate evitando pure il rischio di incorrere, coll’inoperoso trascorrere del tempo, in possibili esacerbazioni o complicazioni psicopatologiche.

Paolo G. Zucconi
Neuropsicologo clinico specialista in psicoterapia cognitiva e comportamentale 

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