Proclamazione dei diritti e pianificazione degli interventi

Da un’azione incentrata sui minori in difficoltà gli operatori sociali sono passati alla creazione di piani operativi contribuendo così all’evoluzione di strategie che mirano da un lato al superamento del disagio e dall’altro a dar soccorso all’agio

Tradizionalmente più incline a sperimentare progettualità innovative, l’ambito minorile ha sempre ricevuto una particolare attenzione da parte degli operatori sociali e, in particolare, degli assistenti sociali. Se nel passato questi professionisti hanno contribuito, in modo significativo, allo sviluppo di una cultura sensibile ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in seguito sono stati chiamati a tradurre valori e diritti in piani di intervento in favore dell’infanzia e dell’adolescenza. Da una centratura sui minori in difficoltà e da una frammentazione degli interventi in favore di specifiche categorie (illegittimi, madri nubili, ecc.) il pensiero e le relative strategie di intervento hanno progressivamente abbracciato una prospettiva promozionale, capace di sviluppare, senza soluzione di continuità, interventi finalizzati a superare il disagio ed interventi di soccorso all’agio. Ad imprimere un  importante impulso in questa direzione sono state sicuramente la Convenzione sui diritti del fanciullo e la legge 28.8.1997 n. 285 “Disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”. Peculiare e, per certi aspetti, anticipatrice della legge 13.11.2000 n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.  Nella Regione Friuli Venezia Giulia, che già prevedeva il concorso di una pluralità di attori sociali nell’erogazione dei servizi (L.R. 33/88), la pianificazione in favore dell’infanzia e dell’adolescenza prevista dalla L. 285/97 ha consentito di passare da prassi di collaborazione a modalità di programmazione partecipata e da interventi coordinati ad interventi integrati. Le iniziative avviate nel corso di circa sei anni si collocano in un continuum che va dalla promozione e prevenzione ai percorsi di sostegno ai minori e alle famiglie che vivono situazioni di disagio. In continuità con queste iniziative si collocano i progetti sviluppati nel biennio 2003-2005, progetti che, collocandosi tra agio e disagio, anticipano quella riflessione più ampia rispetto all’offerta dei servizi nell’area materno-infantile richiesta dalla L. 328/2000. Il ritardo nell’applicazione di quest’ultima legge a livello regionale, è stato compensato, nell’area materno-infantile, dall’elaborazione di una progettualità, volutamente connotata da aspetti di integrazione che hanno interessato in particolare l’area sociale e sanitaria e, per certi aspetti, l’area educativa e che oggi costituiscono esperienza preziosa ai fini della predisposizione dei Piani di Zona.

Il percorso di programmazione partecipata e di costruzione di risposte integrate non è stato privo di difficoltà. Se l’idea di progettare insieme non è scontata, lo è ancor meno l’idea di integrare le risposte al bisogno. È evidente, infatti, che l’atto di nominare l’integrazione, di per sé, non è garanzia di risultato: perché ciò accada è necessario un atto intenzionale, volontario che consenta di sviluppare un dialogo generativo di universi simbolici condivisi. Si tratta, cioè, di riuscire a condividere saperi afferenti a formazioni diverse (ad es. psicologi ed assistenti sociali), di identificare prassi e stili operativi comuni, di delineare una strategia a livello di vertice istituzionale, capace di perseguire obiettivi condivisi e di sostenere la definizione di strategie operative integrate. Le esperienze condotte a livello regionale, in particolare sul versante del disagio, della multiproblematicità, dell’abuso e del maltrattamento, appaiono orientate in questa direzione: superati gli steccati delle singole culture professionali, gli operatori sembrano aver recepito, da un lato, la necessità di una valutazione più articolata e multiprofessionale delle situazioni di disagio che coinvolgono i minori, dall’altro l’esigenza di sviluppare progetti di intervento personalizzati che affrontino in modo globale le esigenze dei minori e delle loro famiglie e si pongano su un piano di continuità e coerenza con le proposte educative offerte dal territorio. Ciò ha contribuito a delineare uno scenario in cui si abbandona una logica di responsabilità per competenza in favore di una corresponsabilità rispetto alle strategie ed ai risultati da conseguire. Questo passaggio, che, nelle progettualità del biennio 2003-2005, ha trovato uno specifico riconoscimento formale da parte delle istituzioni coinvolte, costituisce un precedente di rilievo rispetto all’attuale costruzione del welfare locale: nel predisporre il Piano di Zona, infatti, soggetti pubblici e del privato sociale, famiglie e cittadini singoli e/o associati sono chiamati ad assumersi la responsabilità di dare concretezza ai diritti che la società adulta ha riconosciuto ai minori.

In questo processo di pianificazione e progettazione gli assistenti sociali della Regione – e, tra questi, in particolare coloro che lavorano nei comuni – assumono un ruolo centrale: investito di compiti di coordinamento e messa in rete delle risorse, il servizio sociale dovrà svolgere un ruolo di promotore della partecipazione e di facilitatore della comunicazione tra amministratori, operatori sociali e sanitari, soggetti del terzo settore e cittadini. La possibilità di coinvolgere in modo significativo la comunità locale nel suo complesso consentirà, soprattutto nell’area minorile, di rileggere percorsi già in atto, migliorare i servizi e le prestazioni, valorizzare le risorse esistenti e, alla luce della lettura integrata e partecipata dei bisogni del territorio, progettare implementazioni e, dove possibile, creare nuovi servizi o prospettare efficaci interventi a favore dei minori, dei giovani e delle loro famiglie.

Elisabetta Kolar, Vice presidente
Gabriella Totolo, Presidente
Ordine degli Assistenti Sociali della Regione Friuli Venezia Giulia

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