La bancarella delle intelligenze

L’evoluzione del bambino oggi non ha a che vedere con i ceti sociali o con i titoli di studio, ma riguarda la crescita in senso generale. Anche il bambino disagiato porta lo stesso livello di evoluzione del bambino che vive in una famiglia media ma, diversamente da quest’ultimo, il bambino disagiato vive una condizione di costrizione che non gli permette di esprimersi

I bambini di oggi non sono i bambini di trenta anni fa. I bambini di oggi sono soggetti pensanti: osservano e attraverso le loro domande mettono in difficoltà l’adulto che spesso non è in grado di fornire una risposta. Trenta anni fa un bambino di tre anni  attraverso il gioco assorbiva informazioni per crescere, oggi un bambino di tre anni esprime la sua intelligenza e il suo sapere attraverso il gioco, ragionando e riflettendo sulle cose, notando le contraddizioni. Ieri assorbiva le contraddizioni, oggi le mette in discussione perché oggi il bambino si esprime. Il suo stato psicologico ha un’evoluzione superiore a quello del proprio genitore e questo è il motivo per cui i bambini spesso non sono compresi dai loro genitori. I bambini di trenta anni fa sono i genitori di oggi, con le lacune e i tormenti vissuti nella loro infanzia. A volte alcune famiglie non comprendono i propri figli e per questo motivo alcune istituzioni si sono prese la briga di sostituirsi ai genitori legittimi. Così hanno nominato un gruppo di lavoro di professionisti, regolarmente remunerati, il cui intervento professionale ha lo scopo di creare dei genitori sostitutivi e ibridi che devono educare bambini dietro compenso.

Oggi in una famiglia media, pur con i problemi e le contraddizioni del vivere, un bambino evoluto di un anno, se seguito e non ostacolato, è in grado di prendere in mano la forchetta e portarla alla bocca. Trenta anni fa questo non era possibile. Ciò dimostra l’evoluzione psico-fisica del bambino. Un bambino di sei anni oggi è in grado di esprimere in modo chiaro il suo pensiero, mettendo spesso in disagio l’interlocutore. L’evoluzione del bambino oggi non ha a che vedere con i ceti sociali o con i titoli di studio ma riguarda la crescita in senso generale e completo. Anche il bambino disagiato porta lo stesso livello di evoluzione (in senso generico) del bambino che vive in una famiglia media, ma diversamente da quest’ultimo, il bambino disagiato vive una condizione di costrizione che non gli permette di esprimersi. La condizione di “castrazione” della personalità, non permette al bambino di sperimentare il suo percorso e di crescere. Se la condizione familiare pesante non facilita la crescita, lo strapparlo dalle sue radici per collocarlo temporaneamente in un’altra famiglia, produce danni ulteriori sulla vita del bambino. Questi danni agiscono nel tempo e producono una deviazione dal suo percorso iniziale. Il bambino disagiato non viene spesso riconosciuto per quello che è; passa da una famiglia che lo maltratta ad una istituzione che lo sballotta tra una figura professionale e l’altra, e che oggi propone una famiglia alternativa: La famiglia professionale. Con questo progetto si frena l’evoluzione del bambino che viene a contatto con nuovi schemi a lui sconosciuti e che gli iniettano un dubbio comportamentale.

Questo dubbio gli crea un conflitto interiore, deleterio per lo sviluppo della sua identità. Non dimentichiamo che il bambino di oggi sarà un genitore domani. Oppure cosa sarà? Cosa può significare per un bambino, che già sta male per disagi familiari, essere inserito in una famiglia a lui sconosciuta, a sua insaputa? Dieci anni fa gli inserimenti nelle famiglie affidatarie da parte di bambini in condizioni disagiate avvenivano secondo modalità diverse. Prima di ricorrere alla famiglia affidataria l’ente pubblico attivava una serie di servizi a favore della famiglia disagiata per permetterle di porsi in modo più adeguato nei confronti delle esigenze dei figli. Solo nel momento in cui i servizi attivati non producevano una risposta sufficientemente adeguata perché la famiglia presentava al suo interno delle dinamiche pesantissime e difficilmente arginabili, si ricorreva alla famiglia affidataria. Le persone che accoglievano questi bambini erano spinte dalla solidarietà e percepivano solo un rimborso spese. Oggi le persone che vogliono diventare genitori professionisti devono sottoscrivere un contratto professionale per il quale ricevono un compenso-stipendio. Come si formano questi “professionisti”? Facendo degli incontri presso delle associazioni remunerate per il servizio e facendo dei colloqui di supervisione con professionisti remunerati.

I bambini dati in affidamento secondo questo progetto sono neonati, bambini e ragazzi in situazioni problematiche. Allora mi chiedo : un neonato in un ciclo di sei anni con quante nuove famiglie viene a contatto e quali sono i fini per l’affidamento di un neonato? Dal momento che la famiglia è la base di formazione del carattere del bambino, cosa accade nel suo carattere in evoluzione quando è costretto a cambiare diverse famiglie? Se le prime parole che il bambino dice sono mamma e papà, come chiamerà i genitori “professionisti”? (Forse li chiamerà professori o istruttori?). Non è meglio affiancare un vero professionista, come ad esempio un educatore, che lavori all’interno della famiglia d’origine per educare i genitori e i figli? Costerebbe meno e aiuterebbe molto il bambino. Inoltre chi controlla, a tutela dei diritti dei bambini, i criteri di selezione dei futuri genitori “professionisti” e gli abbinamenti dei bambini? In una visione così catastrofica dal punto di vista psicologico per il bambino, mi chiedo se il tutore dei minori è messo a conoscenza della drammaticità degli eventi che stanno accadendo a Trieste all’interno dei quali i bambini sono trattati come merce di scambio tra liberi cittadini,  professionisti privati e le istituzioni. Di questo passo tra breve troveremo i bambini in vendita alle bancarelle come i cuccioli di cani o in affitto su un giornale. Chi difende questi bambini? La mancanza di un avvocato per i bambini pone di fronte ad un vuoto legislativo che deve essere necessariamente riempito. I soggetti politici propongono progetti di legge che riguardano i bambini dimenticando che loro oggi sono i bambini di ieri. La popolazione adulta ha diritto ad un avvocato, anche d’ufficio, mentre la popolazione infantile non ha questo diritto e dunque non ha il diritto di difendersi e di proteggersi.

Una società che non protegge e non educa i propri figli è una società deputata al declino culturale.

Valentina Peloso Morana
Psicologa-Psicotepeuta

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