“Ma Federich dov’è?” “Al computer”

Una domanda indicativa, quella che pone la protagonista di uno dei più bei racconti di Vincent Lefranc, Chat. È la madre a parlare, mentre cerca il figlio. Ma Federich se ne sta nella sua stanza, davanti al computer a scrivere,a raccontare, anche se non si capirà a chi. Una situazione che accomuna famiglie e ragazzi, dai quattordici ai vent’anni. Anche più, anche meno.

Una scena, quella del genitore che disperato cerca il figlio, che rende simili, tristemente simili.

Anche gli epiloghi sono inaspettatamente comuni. Genitori che si innervosiscono perché i figli vivono come rapiti, trascurando scuola e studio. I figli che si lamentano perché i papà e le mamme non li vogliono capire. E’ facile, in questo caso, scivolare nei luoghi comuni. Generalizzare, trascurando le situazioni meno esasperate. Quelle più eclatanti. Il punto di partenza però, sia per i ragazzi che dipendono da internet per un’ora alla settimana, sia per quelli attaccati al monitor sette ore ogni giorno, è il solito.

Internet va come il pensiero.

Ed è,  forse, proprio questa la sua vera forza. Fare in modo che tutto si realizzi nel più veloce dei modi. Riuscire a pensare una cosa, velocemente, e rendersi conto che è gia così.

Diventa allora facile scambiare il mondo reale con quello virtuale. E viceversa. Internet sostiene la tendenza, quella che cresce dentro, perché non conosce né il tempo, né lo spostamento. Le distanze temporali e geografiche sono annullate. Diventa così una banalità travolgente legarsi, a doppio nodo, allo schermo. Rimanere intrappolati nella rete. Affezionarsi all’unità centrale, al modem, alla stampante. Come fanno quei ragazzi che hanno costruito una rete, intorno a loro. Quelli che fanno la spesa, comprano cd, seguono le lezioni, conoscono una persona, a volte la sposano. Quelli che hanno scelto, come mediatore, il computer. Microsoft, Apple: poco importa. Quelli che hanno costruito una rete nella rete, ma non una rete sociale. Perché Internet è quel grande strumento che ti permette di conoscere tutto in un secondo. Di sfidare i luoghi e i tempi. Perché Internet è la fonte dei giochi. Annulla la vergogna, ampliando il luogo di familiarità. Estingue l’angoscia del confronto diretto. Nessuno ti vede. Nessuno sa chi tu realmente sia. Ti offre tutte le informazioni che vuoi e non chiede niente in cambio. Diventa un amico. Diventa una metropoli. Con mille facce, tutte diverse. Dove è possibile incontrarsi e conoscersi. Dove non ci sono mille muri, che si innalzano. Si sostengono.

 Ma è uno strumento, appunto. Che non deve sostituirsi al rapporto fra le persone, quelle in carne ed ossa. Perderemmo,altrimenti, il riferimento con noi stessi. Saremmo soli, senza guida. La vita presuppone una crescita che internet non ci può dare. Perché manca, eccome se manca, quella maturazione dovuta all’interazione con gli altri. Al confronto continuo e diretto. Manca la spinta, quando si è davanti al computer, a migliorarsi. Quella che parte dall’essere quotidianamente sottoposti al giudizio. Non c’è più l’abitudine a relazionarsi: è scomparsa veloce, come il pensiero. Viene a mancare il contatto fisico. E la fonte dei giochi, delle conversazioni, dei pensieri, cresce. Alimenta la fantasia dei ragazzi, che ne divengono dipendenti. Il contatto con la realtà, si trasforma.  

Ma se non aspettiamo più con ansia il postino;se non compriamo più le enciclopedie cartacee,se non acquisiamo più i quotidiani; se gli elenchi telefonici, i cataloghi di supermercati e libri marciscono nella cassetta della posta,forse la rete ormai ha contagiato anche noi, travolto il nostro modo di essere, l’importante è non annientarlo!

Flavia Piccini

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