MURI DI PACE

<<Mio nonno amava molto raccontare la storia di un antico re indiano ossessionato dal desiderio di scoprire il significato della pace. Qualcuno suggerì al re di consultare un certo saggio e il re lo fece. Senza una parola il saggio portò al re un chicco di grano: “Qui troverai la risposta alla tua domanda”, disse deponendolo sulla mano del re. Il re perplesso non voleva ammettere la sua ignoranza; così afferrò il chicco di grano e lo racchiuse in una piccola scatola d’oro che mise in cassaforte. Ogni mattina apriva la scatola e guardava il chicco di grano per trovare una risposta, ma inutilmente.

Alcune settimane dopo, un altro saggio rispose al suo dilemma: “E’ abbastanza semplice vostra grazia: come il grano rappresenta il nutrimento del corpo la pace è il nutrimento dell’anima. Se tenete questo chicco chiuso in una scatola d’oro alla fine morirà senza avere prodotto nutrimento o essersi moltiplicato. Tuttavia, se lo lasciate interagire con gli elementi – luce, acqua, aria e terra – maturerà e si riprodurrà e presto avrete un intero campo di grano che darà nutrimento non solo a voi ma anche a molti altri. Questo è il significato della pace. Deve nutrire la vostra anima e quella degli altri, deve moltiplicarsi interagendo con gli elementi”.>>

(Arun Gandhi, nipote del Mahatma).

 Premessa

Il nostro progetto trae spunto e motivazione da diverse esperienze, fatte dai promotori, in contesti apparentemente diversi (Centro di Prima Accoglienza della Giustizia Minorile, Istituto Penale Minorile, Unità di Strada, Centri d’Ascolto Scuole Medie Inferiori), ma confluenti nelle caratteristiche dell’utenza: adolescenti a rischio  o che già abbiano fatto ingresso nel circuito penale.
In particolare, l’esperienza che più ha sollecitato il nostro lavoro è stata la partecipazione (in un contesto di volontariato) alla realizzazione di un “evento” all’interno dell’Istituto Penale di Casal del Marmo. I lavori si sono sviluppati in due momenti: la mattina la mostra fotografica “Maestri di pace tra il XX e il XXI secolo- Gandhi, Luther King e Ikeda”, movimentata da una discussione in piccoli gruppi; il pomeriggio i ragazzi e le ragazze hanno interagito in un contesto musicale organizzato ad hoc con discoteca e rap.
In quell’occasione è risaltato in maniera evidente come alcuni contenuti (il  valore della pace come rispetto dei diritti umani e della dignità della vita, poter essere protagonisti attivi del cambiamento), veicolati dalla mostra, siano diventati più accessibili e accettati nel momento in cui il dj ha spontaneamente proposto ai ragazzi/e di “rapparli”, cioè di far vivere, direttamente dalla loro voce e dal loro corpo, nuovi modi di pensare, positivi e pacifici, diventandone, almeno per alcuni minuti, promotori. La partecipazione è stata sorprendente.

Obiettivo del progetto

L’obiettivo del nostro lavoro è proporre ai ragazzi uno spazio in cui diventi possibile prendere contatto con una modalità pacifica di comunicazione, laddove per pace intendiamo la base  su cui ogni essere umano può realizzarsi ed essere felice, in un dialogo continuo con l’ambiente circostante.

Più concretamente, all’interno di un laboratorio creativo (per la specificità dell’attività svolta) è possibile proporre e sperimentare anche nuovi modelli di relazione, creativi anch’essi, che favoriscono il fiorire di valori, quali il rispetto, la dignità umana, l’uguaglianza, la solidarietà, la preziosità e l’unicità di ciascun individuo, la valorizzazione di sé e dell’altro. Sostanzialmente il “valore” intrinseco nell’esistenza stessa. Si tratta di passare dal messaggio “Per valere devo essere il più duro, sottomettere gli altri e schiacciarli: la mia felicità è a scapito della tua” al messaggio “Se ti sostengo e ti rispetto arricchisco la mia esistenza di forza e valore, perché la tua felicità contribuisce dalla mia”.

E’ solo attraverso l’incontro e l’interazione tra le parti, il contatto con le emozioni, che sempre accompagnano l’atto creativo, che è possibile veicolare in modo più veloce taluni messaggi (contenuto) e modelli (relazione). Com’è noto, affinché ciò si realizzi in modo efficace è fondamentale la sperimentazione in prima persona, che qui proponiamo in un contesto creativo, di laboratorio. E’ grazie alla focalizzazione e all’integrazione dei vari livelli dell’esperienza (immaginativo, cognitivo, corporeo, emotivo e sensoriale), che i ragazzi potranno sperimentare una comunicazione reale, di comprensione, un “modello comunicativo” e relazionale alternativo a quello aggressivo-violento, un nuovo modello più funzionale allo sviluppo della personalità e alla “felicità”.
Col termine “felicità” si fa qui riferimento alla capacità di “produrre valore” (vedi modello teorico di seguito esplicitato), in termini di positività, di sviluppo delle capacità personali per sé e per gli altri, autovalorizzazione dei soggetti, sviluppo delle capacità creative. Al centro c’è l’individuo, il quale non deve apprendere qualcosa (informazioni, contenuti) ma deve apprendere a creare; non deve, quindi, essere riempito, ma deve essere sollecitato, in un processo dinamico nel quale il ragazzo deve rendersi attore protagonista per potere sperimentare la gioia della creazione.
La creatività e la capacità affettivo-relazionale sono insite in ciascuno, tuttavia il loro sviluppo è strettamente collegato alla possibilità di esercitarle, proporle, applicarle.
I laboratori si articolano a partire dall’esperienza personale e dalla sperimentazione delle capacità creative e relazionali, fornendo ai ragazzi un ambiente ad hoc. La produzione di un lavoro, che comporta lo sviluppo di nuove competenze, consente al soggetto di “mettere in figura” delle risorse alle quali prima non aveva accesso. Si propone ai partecipanti di attuare un processo inverso a quello logico, cioè di non partire dalle proprie capacità per fissare obiettivi o traguardi, ma di partire da questi per sviluppare nuove competenze. Ciò consente non solo di arricchire le competenze individuali, ma di guardare alle proprie potenziali risorse con più fiducia. Self efficacy (auto efficacia) e empowerment (potenziamento personale) sono un patrimonio personale di base, un modo di essere, competenze, una volta risvegliate, trasferibili ed usufruibili in altri momenti e contesti della vita. Il loro sviluppo rappresenta il vero obiettivo del laboratorio.

Modelli di riferimento
Il modello sistemico-relazionale e il modello pedagogico di Makiguchi rappresentano la cornice teorica, psicologica-filosofica di riferimento, da cui attinge e si sviluppa questo progetto.

Il modello sistemico-relazionale guarda  gli individui e i fenomeni come sistemi, spostando l’attenzione sul “tutto” piuttosto che sulle singole “parti” pur  non tralasciando di considerare gli attori interagenti nelle loro specificità individuali. Il modello relazionale si fonda sui presupposti dell’epistemologia della complessità, implica un approccio olistico e non molecolare alla persona, consentendo di guardare i fenomeni nella loro complessità e muovendo dal principio dell’interazione circolare e sistemica tra i diversi fattori e subfattori. In tal senso, il comportamento del soggetto viene visto all’interno dei sistemi nei quali è inserito, alla rete di relazioni che ha instaurato con il proprio sistema di appartenenza ed alle proprie modalità di reazione. E’ qui che l’incontro con il proprio mondo relazionale diviene fondamentale tassello d’analisi.

Il modello pedagogico di Makiguchi

Il pedagogista Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), vissuto in un periodo di grande rinnovamento della società  giapponese, contemporaneo ed affine a Dewey, morì in carcere, dove fu rinchiuso per la sua opposizione al militarismo del governo.
La sua “rivoluzione” pedagogica fu quella di definire lo scopo dell’educazione non a partire dalle esigenze della società, ma osservando la natura e le necessità degli esseri umani, come organismi sistemici  interrelati.
“In campo educativo, come in ogni altra sfera dell’agire umano il fine determina i mezzi (…) se la riflessione sul fine dell’educazione assume questa ottica più ampia, si giunge inevitabilmente a individuare nella felicità un fattore centrale dell’apprendimento stesso.
(…) che il fine dell’educazione è quello di rendere i bambini capaci di diventare degli individui responsabili, cellule sane dell’organismo sociale in grado di contribuire al benessere della collettività. In questo modo potranno trovare senso, scopo e felicità  nella propria  esistenza individuale”.
“ … noi non viviamo  da soli e non possiamo conquistare vera felicità se ragioniamo in termini egoistici. (…) è essenziale, dunque, che ogni vera idea di felicità racchiuda un serio impegno a partecipare alla vita sociale .” ( da “ L’educazione creativa” La nuova Italia Ed., ed. italiana, giugno 2000).
Per T. Makiguchi la felicità è una finalità propria della vita dell’essere umano, un’orbita verso la quale l’esistenza, con le particolari circostanze e caratteristiche di ognuno, tende naturalmente; prova ne è il contrario, cioè l’infelicità, espressa in vari modi fisici e spirituali, quando questo compimento esistenziale è frustrato o non raggiunto.

Un progetto educativo deve quindi contenere non solo un fine a breve raggio, ma deve risultare un mezzo, un’occasione non casuale, ma “provocata” per esplorare modi per costruire felicità, partendo dagli elementi vitali più vicini, ma non per questo noti alla persona, come la relazione con gli altri, la mutevolezza delle emozioni, la possibilità di trasformare situazioni critiche in situazioni creative ecc. Una sorta di “alfabetizzazione” sulla natura dei processi di relazione con se stessi e con gli altri.

Le intuizioni del pedagogista Makiguchi sono prese come punto di riferimento per allestire occasioni pratiche di relazioni multiple e di scopo comune tra ragazzi/e, sotto la guida di un esperto che funge da modello e con l’interazione di un tutor che interviene con varie modulazioni a seconda delle esigenze del vissuto, con lo scopo di facilitare la presa di coscienza delle varie esperienze e la trasformazione utile al fine da raggiungere.
La scelta di questi due modelli di riferimento è legata ad un importante punto di condivisione: la focalizzazione sulla relazione.
La  relazione tra soggetti ed oggetti, ove per oggetto si intende “altro da sè”  (una situazione, un evento, un altro soggetto…): è questo uno dei principi fondanti la teoria sistemico-relazionale ed è in questo spazio che Makiguchi individua la libertà individuale di creare valore o disvalore nell’esistenza.

In sintesi, la metodologia prevede la stretta e continua interazione tra sistema osservato e sistema che osserva e l’attenzione alla connessione con le proprie modalità di entrare in contatto con il mondo circostante. Più specificamente focalizzarsi sull’integrazione  tra i diversi  livelli dell’esperienza significa che un individuo può attraverso il canto, la pittura o l’espressione corporea, esprimere e trasmettere i suoi bisogni ed i suoi limiti, imparare ad ascoltare le emozioni che emergono dal suo prodotto, dare significato all’esperienza che sta vivendo.

I LABORATORI
La cultura hip hop

Questa è una cultura non è solo suono. Questa è una cultura non è solo moda.
Questa è una cultura, questa è storia vera, questa è per chi c’era e per chi non c’era.»

HippityHop (Per Spider-7 R.I.P.) – FlyCat

L’Hip-Hop è nato più o meno nel 1970, tutti i media lo avevano giudicato solo una moda passeggera, oggi, l’Hip-Hop esiste e aggrega tanti giovani in maniera trasversale sia per l’età che per l’estrazione sociale.
Tutto è nato negli U.S.A miscela di Black-music, soul, funk e R&B (Rhythm and Blues);
l’Hip-Hop in poco tempo si è letteralmente espanso in tutto il mondo, diventando un vero e proprio stile di vita, una cultura metropolitana variegata e complessa che comprende l’amore per la musica ritmata dal d.j.(attraverso lo scratch, il cut e il rap), per gli sports “da strada”, quali lo skate boarding, per l’arte metropolitana del graffitismo, per la break dance. Così l’hip hop, anche in Italia, ha affascinato i ragazzi e le ragazze coinvolgendoli in primis nel look (pantaloni over size, felpe, scarponi indistruttibili, cappelli), rendendoli visibili, diventando per loro un modo di essere e di comunicare alternativo a quello convenzionale, nel quale riconoscersi e ritrovarsi. Una possibilità di dar “voce” e “corpo” al loro desiderio di comunicare, creare, lasciare una traccia, vivere gli spazi di una metropoli troppo spesso aliena e depersonalizzante.

Parola chiave dell’ Hip Hop è “free style”, ovvero l’arte dell’improvvisazione,
non come mancanza totale di regole, ma come interpretazione soggettiva ed originale delle regole stesse.
Tutto ha avuto inizio dal breaking, ovvero, doveva esserci qualcuno che facesse basi per poter far ballare il breaker, cioè, colui che balla e fa evoluzioni spettacolari, è da questa necessità è nato il Dj. Spesso questa figura si è trasformata in “rapper” che canta, o meglio “rappa”, mettendo in rima quello che vede e quello che sente, la maggior parte dei testi tratta temi reali e vissuti. Free-style è quindi, la capacità di improvvisare, durante basi casuali fatte solitamente solo con la bocca: vere e proprie canzoni in rima riguardanti le situazioni o i pensieri che si stanno vivendo nel qui ed ora.
Altro personaggio tipico è il Writer, colui che dipinge o “teggha” (firma col suo nome “d’arte” qualsiasi tipo di superficie) solitamente con tecniche di Aerosol-art su muri, tetti, garage… insomma tutte le superfici “rivitalizzabili”.

Negli anni ’80 la break dance fu inserita nel programma del Black Power Movement (associazione nera molto famosa negli USA) per cercare di risolvere i problemi di violenza tra le bande rivali della gente di colore. La supremazia su un territorio, così, non venne più determinata da cruenti scontri tra bande, ma da sfide di break (a cui in seguito si aggiunsero rap, graffiti e skateboard, diventando delle vere e proprie olimpiadi metropolitane), in cui la squadra che mostrava maggiori abilità tecniche e migliori acrobazie vinceva sull’altra.
Riteniamo che queste attività e il messaggio contenuto in esse siano degli strumenti adeguati per educare alla pace, trasformare cioè la rabbia in espressione grafica, i vissuti in colore, la sfida in empowerment.

I graffiti o “Teg”

Da sempre i disegni sui muri sono stati strumenti comunicativi usati per narrare la  storia delle civiltà. Il disegno su spazi pubblici e privati assume per gli attori-autori una valenza affettiva e cognitiva altamente significativa e specifica.
La rappresentazione grafica, il graffito, soprattutto, non possono essere intesi come mere attività ludiche fini a se stesse, ma una vera e propria modalità alternativa di comunicazione (così come ogni tipo di arte), attraverso la quale il soggetto può manifestarsi con il proprio modo di essere, i propri vissuti e bisogni, la propria creatività. Tale processo consente la trasformazione dell’ambiente di contesto, promuovendo un cambiamento concreto e immediatamente visibile che, a sua volta, potrà diventare l’input, lo stimolo, per nuovi, altri, cambiamenti.
Il laboratorio prevede che i partecipanti, sulla base di una serie di indicazioni che gli esperti forniranno loro, si dedichino alla “decorazione” delle pareti che verranno messe a loro disposizione (possibilmente all’interno degli spazi da loro quotidianamente frequentati), o di altre superfici scelte ad hoc.

Break dance  e Rap

L’utilizzo della danza e del canto permettono di comunicare i propri contenuti emotivi attraverso l’espressione corporea, modalità di comunicazione più accessibile per ragazzi che non posseggono strumenti culturali affinati.
I laboratori prevedono che i partecipanti imparino i passi base della break dance e “rappino” giocando con la voce e il corpo, sperimentandosi nella creazione di versi e strofe, sulla base del filo conduttore del progetto che è l’educazione alla pace.
Durante l’intero percorso i ragazzi vengono seguiti da più figure professionali: alcune con compiti tecnici  (esperti, insegnanti di break dance e funk, rapper), altre (psicologi e/o tutor) addestrate alla gestione creativa e pacifica del conflitto, con il compito di mediare tra le varie esigenze e personalità che emergeranno e interagiranno durante i lavori.
I contenuti dei graffiti e degli altri lavori saranno stimolati sulla base del filo conduttore del progetto che è l’educazione alla pace.
Ciò viene attuato secondo il modello metodologico esplicitato nell’elaborato.

Il progetto  è rivolto ai ragazzi e alle ragazze ristretti nell’Istituto Penale di Casal del Marmo di Roma, presso i locali messi a disposizione dalla struttura.
I laboratori si articolano lungo un periodo di sei mesi (ca),  suddivisi in incontri settimanali di tre ore.

Conclusioni

Il primo progetto “Muri di pace” si è svolto nell’arco di un periodo di 6 mesi ed è stato realizzato in parte con un contributo della Regione Lazio ex legge 22/99 e in parte con risorse dell’associazione Elios onlus (vedi www.associazionelios.it) .
Il progetto ha previsto tre laboratori : rap e murales, rivolti ai ragazzi, e danza hip hop, rivolto alle ragazze (separati su richiesta dell’Istituto).
I laboratori hanno avuto cadenza settimanale ed hanno visto coinvolti un alto numero di minori (con notevole turn over a causa della breve permanenza degli stessi presso l’IPM). Per quanto riguarda i due laboratori maschili hanno partecipato circa 45 ragazzi e quello femminile circa 25 ragazze.
Gli operatori erano due (a volte tre) per ogni laboratorio, una psicologa e un esperto della materia, con, ovvie, differenti funzioni.
A conclusione del progetto sono stati prodotti vari graffiti sul muro di cinta dell’IPM (di cui le foto qui riprodotte) e testi di rap (di cui uno in coda) realizzati dai ragazzi stessi, un filmato con una coreografia danzata dal gruppo di ragazze.
Nonostante la difficoltà di lavorare con gruppi sempre diversi di minori, i lavori fatti e i risultati ottenuti da un punto di vista relazionale, sono stati molto buoni.
Alla fine del periodo di lavoro abbiamo inoltre realizzato una festa-concerto-rap, molto gradita ai ragazzi, che hanno potuto, se lo desideravano, esibirsi.
Per quanto riguarda l’obiettivo principale del progetto, cioè l’educazione alla pace, attraverso la conversione dell’atto aggressivo in atto creativo, abbiamo avuto modo più volte di interagire con i partecipanti in situazioni fortemente aggressive e di gestire, insieme a loro, in modo nuovo e creativo la rabbia o il conflitto. Il nostro stesso comportamento con loro (modeling) è stato improntato su questo obiettivo.
Tra i risultati raggiunti, che non erano tra i nostri obiettivi espliciti, ma decisamente auspicabili, possiamo considerare, di assoluto rilievo, l’ottima collaborazione creata con gli educatori e i dirigenti della struttura, che ci ha consentito di lavorare, condividendo informazioni e strategie educative. Questa sinergia ha prodotto il miglior risultato possibile.
Anche nel rapporto col personale penitenziario ci sono stati episodi significativi, sia di collaborazione sia di confronto sulle modalità relazionali, anche qui, ponendo in figura il rispetto della persona e la possibilità di evitare escalation di aggressività.
Least but not last, è stata, per noi tutti dell’équipe, una grande soddisfazione avere stabilito dei rapporti umani significativi e autentici con la maggior parte degli esseri umani con i quali abbiamo lavorato, fossero essi minori reclusi, agenti o educatori, questo è il motivo che ci spinge a ripetere questa esperienza e a desiderare di farla diventare continuativa.

  

Dott.ssa Donaggio V.*, Dott.ssa Macrì C.**


* Presidente Associazione Elios Onlus, Psicologa, Esperta in Teoria e tecniche delle dinamiche di gruppo.

** Vicepresidente Associazione Elios Onlus, Psicoterapeuta, Specialista in Criminologia clinica e psichiatria forense, Collaboratrice del prof. C. Serra, Università “La Sapienza” di Roma.

Associazione Elios onlus  per contatti www.associazionelios.it

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