In un gesto la disperazione di una vita

Fragilità e comunicazione

In ogni parte del mondo ci sono state madri che hanno abbandonato i loro bambini. Solo una rete di solidarietà può salvare donne troppo sole dal commettere un gesto irreparabile

Il biglietto era nascosto fra le fasce: “Mi chiamo Monique, ho otto giorni. Per favore, trattatemi bene”. A Parigi c’è un piccolo museo in un monastero dove un tempo davanti al portone si abbandonavano i neonati: medaglie tagliate a metà, nastri, santini. Segnali per un futuro, ipotetico riconoscimento.

E’ avvenuto, avviene in ogni epoca, in ogni parte del mondo. La letteratura sul fenomeno dell’abbandono è sterminata. A Venezia, dal 1335 alla fine dell’Ottocento, in quello che un tempo si chiamava lo Spedale della Pietà e ora Istituto provinciale dell’infanzia Santa Maria della Pietà, furono portati decine di migliaia di bambini. Solo fra il 1754 e il 1899 – quando la ruota fu abolita – sono stati raccolti 32 mila segnali di riconoscimento. Tuttora custoditi in un grande armadio.

“Scherzo della natura” è la bizzarra formula usata dai sociologi, “madre snaturata” dai giornalisti. Quindi “mostri”, nel senso etimologico della parola. Ma con i “mostri” non si fa un passo avanti sulla strada della comprensione. Pensando da essere umano a essere umano, si può essere certi che nessuna mamma abbandona il suo bambino battendo le mani. E’ un gesto che racchiude tutta la disperazione di una vita. Persone isolate, fragili, spesso ignoranti del minimo know-how di sopravvivenza. Incapaci di utilizzare la tremenda complessità e sofisticazione della nostra organizzazione sociale.

E’ il punto di partenza da cui ci siamo mosse, noi della Commissione pari opportunità, insieme al Ministro, per la nostra Campagna informativa multilingue. Qualcosa che faccia suonare il campanello della speranza, non solo alle orecchie della mamma, ma anche del suo compagno, di chi le sta vicino. Una volta su tre la nonna è complice. Ed è agghiacciante pensare a queste due donne con un neonato tra le mani, l’essere più tenero, più indifeso al mondo, visto come il Nemico da cui liberarsi a ogni costo. Incapaci di prospettarsi in un futuro che comprenda quel piccolo essere appena uscito alla luce, che sconvolgerebbe la loro già miserrima quotidianità.

Solitudine, ignoranza e paura sono gli avversari della nostra iniziativa, che non si ritiene né esaustiva né risolutiva, con tutto il suo milione di opuscoli, le 60 mila locandine, le inserzioni su quotidiani e periodici. Come non lo sono, non lo saranno altri dieci, cento, benvenute campagne, altri dieci, cento Numeri Verdi. Purché siano anche salvamadri. Nella consapevolezza che salvare solo il figlio, ratificando, semplificando il suo distacco definitivo dalla donna che l’ha portato nel ventre sarebbe una sconfitta. Il tentativo, se non di soluzione, di approccio, non può essere che globale. Questo si può cercare di ottenere informando meglio gli stessi medici, infermieri, operatori sociali. Tutta l’opinione pubblica.

Fermiamoci un momento a pensarci davvero. Noi che, con tutte le nostre giuste collocazioni sociali, le nostre sicurezze, prima di entrare in un ospedale per un problema a un’unghia del mignolo del piede, pensiamo subito a chi conosciamo, chi ci può presentare, “raccomandare”, consideriamo chi arriva all’accettazione socialmente nuda, magari senza una parola di italiano, con una busta chiusa in mano con i dati anagrafici. Quanti troverà preparati ad accoglierla, ricoverarla, assisterla, in anonimato? In corsia – se ci arriva – quale trattamento le sarà riservato da infermiere e vicine di letto?

In teoria, la procedura è semplicissima. La regola è contenuta nell’articolo 250 del codice civile: “La donna ha il diritto di essere aiutata e informata sul fatto che può partorire senza riconoscere il figlio e senza che il suo nome compaia sull’atto di nascita del bambino”. Poi sarà l’ospedale a segnalare al Tribunale dei minori che c’è un altro bambino da adottare.

Una strategia di “semplificazione” dell’abbandono sarebbe un arretramento fallimentare. Per questo non mi sembra auspicabile il ritorno alla “ruota” dei Medici, che istituzionalizzerebbe l’abbandono, lasciando allo sbaraglio una donna che con tutta evidenza ha vissuto tra noi senza incrociare una rete di solidarietà.

Puntare al rafforzamento di questa rete, con più nodi che buchi, è il compito di tutti noi. Prima che sia troppo tardi.

 

Lùcia Borgia
vicepresidente della Commissione
per le pari opportunità fra uomo e donna

 

Anna Clemente Rosi, Franca Zambonini, Lùcia Borgia, Magda Brienza, Massimiliano Fanni Canelles
Camera dei Deputati 13 Luglio 2005

 

BOX INFORMATIVO

Lo scorso mese di luglio è stata lanciata dal Ministro per le pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, e dalla Vicepresidente della Commissione nazionale per le pari opportunità, Lùcia Borgia, la campagna di sensibilizzazione contro l’abbandono dei neonati, a conclusione di un lavoro di studio e documentazione già avviato dalla Commissione lo scorso anno.
La campagna consiste in una brochure informativa in quattro lingue: inglese, francese, spagnolo ed arabo, in cui si richiamano le norme vigenti in Italia a tutela delle donne che intendono partorire in anonimato e gli aiuti, economici e sociali, che la legge prevede a sostegno della maternità.
E’ stata prevista una diffusione capillare di:
– 1.000.000 brochure
– 60.000 locandine
inviate a diffusione capillare su tutto il territorio nazionale precisamente a:
– 200 ASSL (Aziende per il Servizio Sanitario Locale)
– 4000 Ospedali siti in tutti gli ambiti territoriali
– 2200 Consultori Familiari
– 300 Associazioni Femminili
– 20 Commissioni per le pari opportunità Regionali
– 60 Commissioni per le pari opportunità Provinciali
– 70 Commissioni per le pari opportunità Comunali
– 20 Consiglieri Regionali
– 400 Consiglieri Provinciali
– 100 Assessori Comunali alle Politiche Sociali e Sanitarie
– 21 Assessori Regionali alle Politiche Sociali e Sanitarie
– 200 Centri Caritas
– 5000 Centri di Ascolto e Parrocchie
Si raccolgono anche segnalazioni che provengono dagli operatori della Croce Rossa, dalle organizzazioni di volontariato, da tutti coloro che hanno un contatto diretto con l’emergenza.

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