Gli aspetti oscuri della maternità negata

Nel decennio 1993-2003 l’uccisione dei neonati è aumentata del 41 per cento rispetto al decennio precedente. Nello stesso periodo il numero complessivo di omicidi è, invece, rimasto sostanzialmente invariato

Per maternità negata intendiamo quella di una donna che porta in sé il figlio, supera la decisione dell’aborto, arriva al termine della gravidanza, partorisce in segreto prendendo una decisione terribile: quella di abbandonare il proprio figlio in condizioni precarie mettendone a rischio la sopravvivenza. Può accadere però che la madre arrivi al gesto estremo di uccidere il piccolo.

Alcuni dati ci dicono che nel decennio 1993-2003 l’uccisione dei neonati è aumentata del 41% rispetto al decennio precedente, all’interno del numero complessivo di omicidi che, invece, è rimasto sostanzialmente invariato nel tempo.

I sociologi leggono il fenomeno attraverso diverse motivazioni che vanno dalla malattia alla difficoltà sociale. Per tutte le madri che abbandonano il figlio, vale l’appellativo di “scherzo della natura”, molto crudele nel caso dell’infanticidio.

Le cronache riportano ogni mese la presenza di neonati vivi e morti, rinvenuti tra i rifiuti. E’ una piaga sociale che viene riproposta con cruda frequenza, ma che non rappresenta la reale entità del fenomeno perché dietro quelli ritrovati, ce ne sono altri ed altri ancora che finiscono nei contenitori di raccolta dei rifiuti o negli angoli delle strade, lasciando senza risposta la domanda “E gli altri?”. Gli altri che hanno pianto debolmente e nessuno ha sentito e sono morti soffocati dai miasmi in pochi minuti o, ancora peggio, sono finiti vivi negli ingranaggi dei mezzi di trasporto delle immondizie? E non fanno parte dei circa 300, tra vivi e morti, che costituiscono il dato generale annuo.

E’ evidente che la risposta penale si rivela del tutto insufficiente al reale contenimento del fenomeno per la complessità delle cause che lo sottendono. Sono sicuramente tragedie umane toccanti fatte di paura, vergogna, smarrimento, situazioni personali inconfessabili e inimmaginabili, tra le quali l’incesto è fra i più pesanti da affrontare.

Secondo la psicologia per molte donne, la maturità biologica non va di pari passo con quella psicologica, mentale, degli affetti e delle emozioni, così che a questa immaturità vanno rimandate la maggior parte delle tragedie che si consumano nel chiuso delle case quando la violenza è perpetrata nei confronti della donna, quando si ha timore per il futuro del figlio che arriverà, che forse comporterà la perdita di un posto di lavoro irregolare e precario.

Il problema dell’abbandono posto all’attenzione del legislatore ha introdotto la possibilità del “parto anonimo” nelle strutture ospedaliere che rimane però un problema nei piccoli centri dove l’anonimato nell’ospedale  è solo parziale: il figlio può non essere legalmente riconosciuto, ma la madre è persona nota che dichiara in qualche modo la propria debolezza. Questo timore potrebbe  spiegare il cassonetto, moderna “ruota degli innocenti” o, in casi estremi,  la soppressione del figlio e l’occultamento del cadavere se nato morto.

Sia che un bambino sia ucciso o abbandonato vivo, la cronaca viene fortemente interessata da vicende di questo genere e porta prepotentemente alla luce e alla discussione dell’opinione pubblica, drammi che nella storia del genere umano, in ogni latitudine e luogo,  sono sempre stati. Da sempre molti bambini non sono venuti alla luce, molti non sono stati registrati all’anagrafe, molti sono stati abbandonati o uccisi. Rimane il fatto che per gran parte di loro si è persa ogni traccia non avendo, in qualche modo, identità. Aldilà di tutto questo che rientra nel discorso più ampio del disconoscimento dei diritti elementari del bambino, sarebbe importante chiedersi come sia possibile che in una società come la nostra, fortemente sviluppata, tecnicizzata, cosmopolita, di protezione giuridica più avanzata che nel passato, ci siano sempre casi di abbandono.

Manca forse una sensibilizzazione capillare, o i messaggi rimangono asettici, scarsamente recepiti, poco diffusi nella popolazione femminile immigrata così piena di paure e costrizioni dovute a educazioni tanto diverse dalla nostra? O a ragazze tanto giovani incapaci di gestire la propria vita?

Alcuni dati riferiscono che le madri sono prevalentemente immigrate, soprattutto dall’America Latina e dall’Europa dell’Est, sole, senza un possibile e fattivo padre del figlio. E questa potrebbe essere una spiegazione.

I punti di osservazione sociali sono molteplici e se ne parla molto. Situazioni di questo genere si sono sempre verificate, ma ciò che è diverso è oggi che se ne parla di più,  con dovizia di particolari agghiaccianti e talvolta incuranti della legge sulla tutela della privacy: quasi un mercato del dolore umano.

Per quanto condannato l’abbandono o l’infanticidio, la comprensione del gesto è dipesa dalla tolleranza verso le motivazioni che variamente gli si riconoscono da sempre: l’abbandono presupponeva una madre sconosciuta e quindi irrintracciabile; l’infanticidio riconduceva alla madre, perseguibile di giudizio, anche se nel nostro Paese, verso la fine dell’800, veniva riconosciuta  alla donna infanticida  l’attenuante della colpa sulla base di  motivazioni derivanti non dall’individualità isolata dell’infanticida, né tanto meno da una sua presunta natura criminale, bensì dai comportamenti e dalla mentalità condivisa nell’ambiente in cui la donna attuava il suo violento rifiuto della maternità.

La legge italiana, per un secolo, ha riconosciuto come attenuanti a favore della donna unicamente i motivi  dell’onore, del nubilato e dell’adulterio. Abolita la causa d’onore,  nel 1981  la legge 442 riconosce alla donna come determinanti  le “condizioni di abbandono materiale e morale”.

Di fatto anche se le condizioni in cui le donne possono vivere la maternità  sono da noi assai migliorate rispetto al passato, i fatti attuali ci impongono di vedere che, anche fuori dalle condizioni di svantaggio riconosciute dai codici (l’illegittimità, la miseria, la solitudine) e malgrado la protezione accordata dalla legge, una madre arriva ancora ad abbandonare per la strada il proprio figlio.

Possibili spiegazioni vanno rimandate agli studi  psico-sociologici e a quelli in campo psichiatrico.

Sappiamo bene che spesso la maternità è connotata da ambivalenza amore e odio, tanto che non ci sarebbero tanti disperati nella vita se tutti, da bambini, fossero stati davvero amati e solo amati.

Sappiamo altrettanto bene che  “essere madre” comporta sempre un forte investimento affettivo, come non accade per alcuna altra condizione psicologica, per cui la madre è capace di un grande, grandissimo amore, che può arrivare fino a comprendere il sacrificio. Tuttavia la maternità può  generare anche un violentissimo odio, fino alla soppressione del proprio figlio, o può anche accadere che avere un figlio generi tale ansia sul futuro del piccolo, che abbandonarlo, sperando  di “dimenticarlo”, costituisca un’alternativa “accettabile”.

Purtroppo le madri  hanno un subdolo nemico: il senso di colpa che avvelena la vita, che può essere lenito solo con l’aiuto di qualcuno che possa convincere la donna che la scelta di lasciare il bambino in ospedale è certo dolorosa, ma non violenta. E che il bambino vivrà in una famiglia che attende solo di poterlo amare.

Non nascondiamoci, però, allo stesso tempo dietro il diniego di fronte a ciò che accade con la consapevolezza che a colpi di negazione non c’è evoluzione e neppure speranza per chi, drammaticamente, ha deragliato dai più comuni e profondi sentimenti umani.

Per il nostro impegno istituzionale e individuale scegliamo di pensare che forse quella donna -futura madre in difficoltà- non sia informata di ciò che è disponibile per aiutarla a tenere il bambino e non abbandonarlo nel pericolo; non sia sufficientemente a conoscenza della legge per il parto in anonimato; non sia sicura che qualcuno potrà prendersi cura del figlio adottandolo; non sappia bene a chi rivolgersi perché è clandestina e non conosce bene la lingua e che, ancor più importante, abbia qualcuno, operatori, volontari o cittadini che la guardino e ne riconoscano le difficoltà.

E’ per questo motivo, e con la speranza che la consapevolezza e la comprensione aiutino a ridurre fatti, che è stata promossa la campagna contro l’abbandono del neonato da parte della Commissione Pari Opportunità che porterà il messaggio in tutta Italia.

Anna Clemente Rosi
responsabile del Gruppo Diritti Umani della
Commissione Nazionale Parità

(foto: Anna Clemente Rosi, Franca Zambonini, Lùcia Borgia, Magda Brienza, Massimiliano Fanni Canelles-Camera dei Deputati 13 Luglio 2005)

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