Il bambino come “prodotto”

Nell’antichità l’infanzia era di fatto subordinata al potere degli adulti: fenomeni quali l’infanticidio, l’abbandono, la compravendita, le violenze sessuali furono tollerati presso molti popoli. L’infanticidio divenne anche, talora, strumento di selezione: venivano eliminati i bambini gracili o handicappati, oppure gli illegittimi. In alcune parti del mondo fu anche strumento di regolazione del rapporto tra nati femmine e maschi tipicamente per fini economici ed ebbe quali vittime prevalentemente le bambine. Tale condizione dell’infanzia si protrasse, con varie vicende presso il mondo antico. Nella Roma imperiale il pater familias manteneva lo Jus vitae ac necis e cioè il diritto di vita e di morte sui figli, ma di fatto questo era avversato dal senso comune e nella pratica assai desueto.  

Furono la cultura ebraica (si pensi alla legge di Mosè, a profeti come Isaia, ecc) prima ed il cristianesimo poi a condannare l’abbandono e l’infanticidio ed a difendere le prerogative dell’infanzia. La figura della Vergine ed il suo ruolo nella maternità di Gesù furono strumenti decisivi di cambiamento per affermare una diversa visione culturale e di difesa sia della madre che del bambino. In tal senso l’esaltazione della maternità non ebbe tanto una funzione sociale, quanto un compito trascendente che realmente riuscì ad avvicinare considerevolmente l’uomo a Dio ed a renderlo poi artefice della cultura dell’umanesimo. L’abbandono, l’infanticidio e l’omicidio di un bambino, in specie per mano materna oltre ad essere umanamente inaccettabile entrò così in conflitto esplicito con il diritto naturale.

Nel Medioevo sulla scorta di questa cultura nacquero i primi istituti per l’accoglienza dei bambini abbandonati o degli orfani. Ma fu a partire dai secc. XIV e XV che si diffusero strumenti quali la “ruota” per consentire l’abbandono lecito ma in forma anonima dei neonati illegittimi o che non era possibile allevare. I brefotrofi, dove questi neonati venivano accolti, furono tuttavia drammaticamente celebri per l’altissimo tasso di mortalità interna e per questo motivo in Italia le “ruote” vennero abolite gradualmente nella seconda metà dell’800.  

Oggi

Nel corso del sec. XX, nei paesi a maggiore sviluppo si è acquisito il concetto di infanzia come età decisiva nella formazione dell’adulto, oltre che del bambino come persona dotata di esigenze e sentimenti specifici da rispettare. Il 20 novembre del 1989 a New York viene approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia; la data coincide con il bicentenario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1789 ) e con l’anniversario della Dichiarazione dei Diritti del Bambino (1959).

L’estrema mutevolezza e velocità dei rapporti fra persone e popoli sta però modificando gli equilibri così faticosamente conquistati. Il sistema sociale in cui viviamo, si presenta spersonalizzato, veloce, virtuale; un ambito in cui tutto sembra possibile, ma in cui si trova grande difficoltà a realizzare anche le cose più semplici che appartengono alla “banalità” della vita quotidiana. Ed è qui che prendono corpo quei demoni che per essere sopiti hanno bisogno del sacrificio di un bambino. La superficialità, l’abbandono, la dispersione, la globalizzazione, le illusioni e le disillusioni, la perdita di punti di riferimento, i nuovi idoli, il mondo economico, lo sfruttamento, l’egoismo.

Tutto questo unito all’ambiguità delle diverse situazioni esistenziali spinge l’individuo alla continua costruzione, distruzione e ricostruzione della propria identità. Identità sempre diverse a cui viene richiesta sempre più flessibilità che convivono e confliggono nella stessa persona con progressivo allontanamento da se stessi e dalle proprie origini. Siamo individui polimorfi e le donne, essendo soggette, durante il ciclo ovulativo e con la gravidanza, a modificazioni ormonali e umorali con coinvolgimento del fisico e della mente, possono sopportare con difficoltà questi mutamenti e spesso si sentono ancora più isolate, abbandonate e tradite. In questi frangenti che maturano spesso le tragedie.

Il dramma

Le madri che abbandonano i loro neonati sono donne disperate che spesso non sanno di avere un’alternativa. Sono donne che non hanno nessuna possibilità di prendersi cura della loro creatura a causa degli aspetti sociali, sanitari e psicologici nelle quali sono coinvolte. Spesso arrivano in pronto soccorso a causa di emorragie o per la comparsa di complicanze durante il travaglio che permettono alle strutture sanitarie di rilevare il problema e di salvare il neonato. Sono donne prevalentemente extracomunitarie ma anche giovani di buona famiglia, terrorizzate all’idea di svelare una gravidanza. Sono tutte comunque donne che vivono un disagio sociale ed economico pesantissimo. In un anno è difficile quantificare il numero dei casi di abbandono anche per il grande sommerso alla base del fenomeno mada varie statistiche si evince che il 50% di questi neonati abbandonati muore quasi subito, soltanto uno su 10 viene ritrovato e una volta su 3 la madre per commettere il gesto ha un complice.

Ambiente del dramma 

I motivi che spingono le donne ad uccidere o ad abbandonare i propri figli in ambienti incompatibili alla vita possono essere quindi molto diversi. Le fasce più a rischio della popolazione sono le donne immigrate, che magari temono di entrare in contatto con le istituzioni perché non in regola col permesso di soggiorno o per timore di perdere il lavoro o ancora per altri motivi legati a sfruttamento e prostituzione. Ma gli abbandoni e gli infanticidi maturano anche in ambienti definiti dall’immaginario comune socialmente sani, con donne dall’apparente vita regolare, capaci di esprimere sentimenti, di evidenziare una spiritualità religiosa, con un percorso costellato da soddisfazioni personali. Solo una piccola parte di donne che commettono un abbandono del figlio od un infanticidio sono affette da malattie mentali. In questi casi la patologia può essere legata a depressioni post partum ma si possono rilevare anche forme di paranoia e di disturbi della personalità.

Motivazioni del dramma

Oggi prendersi cura del proprio figlio sembra più complicato che in passato, non solo perché le donne oggi occupano altri ruoli all’interno della nostra società e al di fuori dalla famiglia ma perché la responsabilità materna e in genere genitoriale si è ampliata, allungata e le richieste e le pretese sembrano inesauribili. Dopo la nascita di un bambino può capitare quindi che la donna non si senta così felice come pensava di essere, può sentirsi triste senza motivo, irritabile, incline al pianto, “inadeguata” nei confronti dei nuovi ed impegnativi compiti che la attendono.

La maggior parte delle volte questo stato d’animo è del tutto fisiologico e passeggero, si parla in questi casi di “baby blues”, il 70%-80% delle donne soffre di questo stato depressivo temporaneo che non comporta nessuna conseguenza.  Ben più seria, e sicuramente da affrontare con l’aiuto di uno specialista, è la “depressione post-partum”, che colpisce circa il 10% delle donne che partoriscono.

Lo stato di Baby Blues ma anche la Depressione post Partum ed altre forme di psicosi possono essere stimolate se non indotte da cambiamenti a livello fisico che psicologico. I  livelli degli ormoni quali l’estrogeno e il progesterone cadono drammaticamente nelle ore successive al parto. Può essere presente una spossatezza dovuta al travaglio e al parto o alla necessità di riprendersi da un intervento chirurgico in caso di taglio cesareo che comporta una cicatrice permanente.Può comparire l’accusa verso il figlio di aver rovinato il proprio corpo attraverso il parto. Sensazione di inadeguatezza, percezione di uno scarso sostegno da parte del partner. Aver vissuto di recente eventi stressanti importanti può essere un ulteriore causa dell’accentuazione di probemi psicologici nati con il travaglio o già prima presenti e latenti.

Alcune donne arrivano a riproporre ai piccoli le violenze che loro stesse hanno subito. Altre donne, quelle che poi commettono i gesti più drammatici dissimulano e negano la gravidanza e fecalizzano il neonato (è il caso dei bambini abbandonati nelle discariche o nei cassonetti dei rifiuti). 

La negazione della gravidanza 

Molte delle ipotesi che tentano di spiegare le motivazioni di un gesto così drammatico come l’abbandono o l’omicidio del proprio figlio come abbiamo visto sembrano legate a ragioni socio-economiche e/o a stati depressivi e/o a patologie psichiatriche. Ma la causa che spinge una donna ad un tale gesto non può essere singola e semplicemente associabile all’evento. La motivazione di un dramma così innaturale è da ricondurre ad una sequenza esatta di situazioni che hanno come evento conclusivo la negazione della gravidanza.  

Da numerosi colloqui con donne che hanno commesso un infanticidio o violenze verso il proprio figlio si evidenzia che viene presa coscienza e letteralmente “scoprono” la propria gravidanza tra il quinto e il nono mese proprio a causa del rifiuto del proprio stato. Molto spesso siamo in presenza di donne che hanno subito abusi (sessuali, fisici, psicologici) durante l’infanzia, sono donne in cui spesso il prodotto di un concepimento è conseguente ad uno stupro. Sono donne che nella quasi totalità sono emarginate, abbandonate, sole.

Molte missioni umanitarie in Croazia e in Ruanda hanno confermato in donne che hanno perso i riferimenti familiari e che hanno subito violenza durante periodi bellici la negazione della gravidanza, comportamenti dissimulatori, ricerca dell’anonimato, infanticidio, abbandono, ecc.Nel 1996, a Parigi è stata aperta un’unità di cura per prevenire la violenza e l’incuria perinatale. Sono state ascoltate donne responsabili di incurie, abbandoni o di violenze; i due terzi hanno confermato la negazione della gravidanza, la dissimulazione delle loro condizioni, fantasie infanticide, abbandoni per strada e infanticidi. 

Il processo di questo dramma si può quindi riassumere:

 VIOLENZA -> ISOLAMENTO -> NEGAZIONE -> INFANTICIDIO

Prevenzione 

La negazione della propria gravidanza è un sintomo di rischio. Infatti se perdura fino al parto, vi sarà il pericolo che la donna a causa di questa negazione non riconosca il travaglio ed il parto e la nascita del figlio. Presa dal panico, può allora abbandonare il neonato sulla pubblica strada o commettere atti violenti. Il bambino può quindi morire per incuria o per infanticidio. 

L’allarme di una situazione a rischio potrebbe partire da una segnalazione telefonica, anche anonima, secondo sistemi simili già attivi per l’aiuto dei bambini e degli anziani.

L’aiuto prenatale a queste donne in difficoltà deve essere dato da un’équipe pluridisciplinare formata da un assistente sociale, con il compito di aiutare la donna in merito ai problemi relativi all’alloggio, al lavoro e alle risorse economiche, da un neuropsichiatra infantile e un psicologo per comprendere i motivi del rifiuto della gravidanza al fine di affrontare e risolvere questo problema indipendentemente dal futuro del bambino. E’ necessario anche un giurista per aiutare la donna a riflettere sui diritti suoi e su quelli del suo nato, nonché in merito alla scelta del parto in condizioni di anonimato, alla protezione del bambino e alle conseguenze giudiziarie nei casi di violenza.

Un  rifiuto della gravidanza non risolto adeguatamente dovrebbe essere un motivo per porre il neonato in regime di adottabilità e in questo caso occorre intervenire per consentire alla donna di superare il lutto. 

Conclusioni 

Ad U.T. Engelhardt jr dobbiamo il diffondersi dell’espressione “stranieri morali” che egli utilizza per indicare la situazione spirituale degli uomini di oggi, che, pur vivendo accanto, sono incapaci di comunicare, per il fatto di riferirsi a differenti archetipi etici. La visione di Engelhardt conduce allora a prefigurare un ambiente dove gli esseri umani, pur di sopravvivere, si accordano sulla base di convenzioni che dovrebbero garantire un diritto naturale minimo rappresentativo della moderna morale occidentale. 

La morale esige il rispetto delle norme che spesso sono differenti a seconda dei gruppi sociali, dei periodi storici e delle diverse zone geografiche. L’etica invece studia la morale da una prospettiva umana, richiede disponibilità e comporta riflessione fino a contrastare la moralità del gruppo sociale, del luogo e del tempo, difendendo quindi, in certi casi, perfino i soggetti immorali. L’etica quindi si realizza quando l’individuo, tenendo conto dei concetti di autonomia, bontà, equità, solidarietà e uguaglianza, esercita la capacità di pensare per chiedersi se seguire o meno una determinata regola.

L’etica ci dice che la sacralità della persona non può essere annullata, quantunque essa troppo spesso venga disprezzata e violata: avendo il suo incrollabile fondamento in Dio Creatore e Padre, la sacralità della persona torna ad imporsi, sempre e di nuovo. Di qui il diffondersi sempre più vasto e l’affermarsi sempre più forte del senso della dignità personale di ogni essere umano. l’uomo e soprattutto il proprio figlio non è affatto una «cosa» o un «oggetto» di cui servirsi o sbarazzarsi ma è sempre e solo un «soggetto», dotato di coscienza e di libertà, chiamato a vivere responsabilmente nella società e nella storia, ordinato ai valori spirituali e religiosi. 

Viviamo nel mondo dell’informazione totale e globale e non siamo capaci di far conoscere una norma fondamentale come quella definita dalla Legge 396 del 2000, alla base del diritto alla salute e alla vita sia della partoriente che del neonato”. La normativa italiana in questa materia è avanzata ma purtroppo poco conosciuta, soprattutto dalle fasce più a rischio della popolazione, in particolare le donne immigrate che magari temono di entrare in contatto con le istituzioni perché non in regola col permesso di soggiorno o per timore di perdere il lavoro o ancora per altri motivi. La legge italiana protegge i minori e le madri e consente che qualsiasi donna che si reca in una struttura pubblica in prossimità del parto sia seguita e curata senza alcun obbligo di fornire le proprie generalità o altre informazioni sulla propria identità. E’ una normativa di civiltà che punta in primo luogo a proteggere la salute del bambino e quella della madre. Ed è una normativa che deve essere conosciuta. E’ inaccettabile che nel nostro paese si continuino a lasciare neonati nei cassonetti o nelle stazioni.

Legislatura

Codice Civile, art. 250: La donna ha il diritto ad essere aiutata e informata sul fatto che può partorire senza riconoscere il figlio e senza che il suo nome compaia sull’atto di nascita. Il bambino quindi non avrà il suo cognome.

Legge 8.5.1927 n. 798 art.9 – art. 622,326 Codice Penale: La donna ha il diritto ad una rigorosa protezione del segreto del suo nome, qualora non voglia riconoscere il figlio.

Legge 127/97 art. 2 comma 1: “La dichiarazione di nascita è resa indistintamente da… o da chi ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata…” La volontà della donna di non riconoscere il bambino deve essere rispettata.

Costituzione Artt. 2-3-31 comma 2: La tutela della vita e della maternità impongono al legislatore la tutela della riservatezza della donna.

Legge 184/83, art.11 Il tribunale, qualora il minore non sia riconosciuto dalla madre, non può fare ricerche sulla paternità del bambino.

R.D.L. 8.5.1927 art.9 n. 798: È rigorosamente vietato rivelare il nome della madre che non intende riconoscere il figlio. Coloro che per motivi d’ufficio sono venuti a conoscenza del nome della madre, hanno il rigido divieto di rivelare tale conoscenza Artt. 163-177-622 Codice Penale… e commettono reato se lo rivelano.

Sentenza Corte Costituzionale n. 171/94 “…qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può dichiarare di non voler essere nominata nell’atto di nascita…”.

Le Leggi sull’adozione: Legge 184/83 art. 11: “…nel caso in cui non risulti l’esistenza di genitori naturali che abbiano riconosciuto il minore, …il Tribunale dei Minorenni, senza eseguire ulteriori accertamenti, provvede immediatamente alla dichiarazione dello stato di adottabilità…”

art.22:”…il Tribunale dei Minorenni vigila sul buon andamento dell’affidamento preadottivo…”  strappare anche un solo neonato alla morte, oltre che dare ancora più senso alla nostra personale esistenza, potrà essere l’atto di volontà per entrare nel nuovo millennio, rivivendo

Massimiliano Fanni Canelles

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