L’abbandono in famiglia

Il trattamento più subdolo riguarda i ragazzi che, pur vivendo con i loro genitori, non vengono seguiti durante il periodo più delicato del loro sviluppo: l’adolescenza.

Alcuni genitori, per indicare il rapporto con i loro figli, usano questa battuta: “Da piccoli sono da mangiare. Quando sono più grandi ci si pente di non averli mangiati”. Ovviamente questa frase non viene usata all’interno di un’orribile tribù di feroci cannibali, ma esprime l’enorme amore dei genitori verso il loro bimbo di pochi mesi e come questa tenerezza si trasformi nel tempo. Il problema si evidenzia nella seconda parte della battuta scherzosa: …«ci si pente di non averli mangiati».

Molto spesso accade che questo cambiamento di affetto si evidenzi quando i figli attraversano quel periodo critico della vita che si chiama adolescenza. È l’età in cui lo sviluppo del carattere inizia a prender forma. Sembra incredibile, ma proprio in questo lasso di tempo, mentre un turbinio di nuove esperienze ne travolge la crescita, si gettano le fondamenta del loro futuro.

Gli studi, nuove amicizie, il tempo libero, gli interessi personali per particolari ambienti e altri elementi sono una scelta quasi definitiva. L’adolescente in quel momento è un libro aperto, un romanzo con le pagine ancora candide, senza nemmeno una riga di testo.

Chi inizierà a scriverci sopra avrà la grande responsabilità di definirne la  trama. Potrà diventare un magnifico racconto piacevolmente scorrevole, oppure un terrificante «giallo» che terrà in ansia fino alla parola fine, a volte crudele. Se a decidere la trama saranno genitori coscienti di questa responsabilità, l’adolescente affronterà il suo cammino con la serenità di poter contare su qualcuno quando le pagine della vita, inevitabilmente, lo metteranno davanti a scelte difficili. Se i genitori saranno assenti, chiunque inizierà a scriverci sopra quel che meglio gli aggrada e non sempre con una scrittura leggibile.

In questa simbolica esemplificazione dei primi passi di una nuova vita all’interno della Società contemporanea, l’adolescente è convinto di essere la persona che, per eccellenza, ha il diritto di scrivere le prime pagine. Egli vive l’età delle «false certezze”, quella in cui la coscienza di esistere come individuo lo porta a rivendicare i suoi diritti, compresi quelli che riguardano la scelta del «cosa fare della e nella vita». Da queste sue decisioni, spesso proposte all’interno della famiglia con l’arroganza di «chi sa ormai tutto», scaturiscono terribili incomprensioni. A volte nessuna delle parti è disposta a cedere la «penna» e quindi il romanzo prende strade imprevedibili. Può accadere allora che i genitori, entrambi impegnati in un lavoro che dia alla famiglia una vita decorosa, non abbiano la pazienza, il tempo e le energie per trasmettere al giovane le loro esperienze al fine di raggiungere una scelta ragionata.

Si passa quindi all’apatia, alla falsa democrazia delle libere scelte. Il culmine viene raggiunto con la frase “va bene, fai quello che vuoi ma sappi che ne rispondi tu”. Quasi una dichiarazione di resa. «Hai vinto tu, ma ora lasciaci in pace.» Tutto questo proprio nel momento in cui, invece, qualcuno nella famiglia dovrebbe, in coscienza e con un briciolo di tolleranza, accollarsi la pesante responsabilità di prendere in mano il libro-figlio e iniziare la scrittura.

Lasciare che il figlio il destino se lo scriva da se è l’errore più grave ed il  guaio è che viene giustificato come un grande gesto di democratica libertà verso l’adolescente.

In realtà la sua vita all’interno del nucleo familiare è ora alla pari di quella del gatto o del cane domestico. Entra, chiede di mangiare, usa le comodità della casa e poi se ne esce per le sue «avventure».

Questo non è amore verso il figlio ne’ la responsabile gestione della sua vita adolescenziale. Questo è un vile, subdolo e pericolosissimo abbandono in cui i genitori sono solo i finanziatori del suo tempo libero, a volte persino senza alcun controllo su come lui abbia “investito» i loro denari.

In una società dei consumi che lo sfrutta e aggredisce con mille trucchi commerciali, l’adolescente “sicuro del sua saggezza” e felice della sua presunta illimitata libertà, può essere divorato nei pochi secondi acquistati per la canzoncina di un cellulare all’ultima moda.

Nemmeno una famiglia troppo autoritaria va bene, ma anche una dove i ruoli sono ben definiti, insieme alle singole responsabilità, si presenta come una medicina piuttosto amara da far ingoiare all’adolescente certo di essere sanissimo. Non temete, saranno gli anni a fargli comprendere che la medicina era sì amara, ma conteneva tutta la dolcezza dell’amore vero che i suoi genitori avevano per lui. Ben più amare saranno le lacrime di tutta una vita per chi avrà vissuto la falsa libertà dell’abbandono in famiglia.

Paolo Maria Buonsante
Tecnico pubblicitario e grafico

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