PASSATO E PRESENTE DELL’ABUSO SESSUALE

La pedofilia resta un incubo da eliminare, anche perché studi epidemiologici dimostrano una correlazione elevata tra rapporti sessuali precoci e prostituzione, tra violenze omosessuali subite in età infantile e problemi di identificazione sessuale ed elevata tendenza ad esercitare violenze su altri bambini, tra abuso sessuale precoce e annullamento di alcune delle potenziali abilità di proteggersi per cui tali soggetti appaiono predisposti ad ulteriori abusi sessuali.  

In questi ultimi anni si è andata sviluppando notevolmente l’ attenzione  collettiva per il triste fenomeno dello sfruttamento sessuale dei minori ma, purtroppo, non è possibile onestamente affermare che gli abusi  sono diminuiti.  Certo, questo fenomeno è stato sempre presente nella storia dell’umanità ed ha reso la storia dell’infanzia – come afferma De Mause – “un incubo dal quale solo recentemente abbiamo incominciato a destarci”.

In Grecia e a Roma i bambini e le bambine erano abitualmente abusati sessualmente dagli adulti e Plutarco ricorda che la Bulla d’oro, che i bambini liberi portavano al collo, serviva a distinguerli dagli schiavi al fine di preservarli dall’uso sessuale; in epoca cristiana, malgrado la recisa condanna dell’uso sessuale del bambino, era assai diffuso il gioco erotico con i piccoli e lo stupro frequente ( da uno studio sullo stupro nel mezzogiorno d’Italia nell’ 800 risulta che il 10 % delle vittime aveva tra i quattro e i dieci anni e complessivamente il 92 %  della vittime aveva meni di vent’anni);  l’incesto è stato assai presente nella famiglia italiana nel 900 ed appare inquietante ciò che risulta da una analisi del Ventimiglia, secondo cui l’incesto è vissuto come un momento normale della quotidianità all’interno della famiglia perché i padri rivendicano il loro diritto di proprietà sul corpo delle figlie e il loro diritto di iniziare le figlie alla vita o di avviarle alla prostituzione come investimento economico per la famiglia. Assai diffusa nell’800 era anche la convinzione che un uomo si potesse liberare dalla sifilide deflorando una bambina o una giovinetta.

Ma tutto ciò non può costituire una consolazione, e tanto meno una giustificazione: in un’epoca come quella in cui viviamo – in cui, almeno sul piano dell’ elaborazione teorica collettiva, si riconosce che il bambino è una persona e che ha dignità propria e diritti che gli devono essere riconosciuti e rispettati – è assolutamente inaccettabile che un simile fenomeno anziché contrarsi tenda a crescere.

Purtroppo ciò è conseguenza:

– della maggiore libertà accordata oggi al ragazzo;

– della accresciuta frantumazione di molte famiglie con la conseguente promiscuità di vita in gruppi di tipo familiare;

– della pressione sessuale  – una vera febbre – che i mezzi di comunicazione sociale impongono non solo all’adulto ma anche al bambino;

– della diffusione di un’etica della ricerca del piacere personale come obbiettivo primario dell’esistenza;

– della sempre più accentuata tendenza alla irresponsabilità dei comportamenti che fa privilegiare il rapporto sessuale con un partner che non sia e non si senta alla pari;

– della stessa enfatizzazione dell’infanzia che comporta anche una idealizzazione della innocenza incontaminata del bambino ed un desiderio di un rapporto privilegiato con lui che può inquinarsi anche di aspetti sessuali una volta scissa la sessualità da una più intensa, profonda e globale relazione interpersonale.

E’ inoltre  da notare  come, se unanime è la deprecazione  della violenza sessuale sull’infanzia realizzata attraverso la costrizione fisica (il vero e proprio stupro) o attraverso la costrizione psichica, mediante minaccia o abuso di autorità, molte ambiguità e giustificazioni abbia visto – sulla stampa, alla televisione, su Internet –  il cosiddetto amore tra un adulto e un bambino.

Abbiamo visto diffusa e propagandata la spudorata idea che la liceità di questi rapporti doveva essere riconosciuta proprio per tutelare il diritto del bambino alla sessualità: si tende così a considerare  del tutto lecito il rapporto sessuale quando sia basato su un consenso comunque ottenuto. Invece l’ordinamento, giustamente, continua a considerare vittima di un abuso il minore di quattordici anni che sia stato comunque indotto a compiere atti sessuali con un adulto.

In realtà il tema del consenso del bambino all’ atto sessuale – che dovrebbe in nome della libertà anche sessuale dello stesso togliere ogni connotato negativo al rapporto sessuale tra un adulto e un bambino – è equivoco e mistificante.

Innanzi tutto esso non ha chiaramente alcun senso quando l’atto sessuale sia commesso nei confronti di un bambino piccolo, chiaramente incapace di dare un consenso nei confronti di atti di cui  non comprende  né il significato né le conseguenze. Ma egualmente non può parlarsi di libero consenso nei confronti del preadolescente.  Non si comprende perché in realtà un bambino  –  che a tutti gli effetti l’ ordinamento giuridico riconosce incapace di effettuare scelte di vita e di comprendere ciò che è bene e ciò che è male o di dominare gli impulsi del momento (tanto che si esclude la imputabilità penale  anche per gravissimi reati compresi quelli di violenza sessuale nei confronti di altri soggetti )  –  dovrebbe essere ritenuto pienamente capace di consentire liberamente ad un rapporto sessuale e determinarsi liberamente e coscientemente ad esso. E sarebbe veramente singolare che l’ordinamento riconosca la piena libertà di relazioni sessuali nel bambino ma disconosca la conseguente capacità di liberamente determinarsi per gli  eventuali effetti del rapporto (allo stato attuale della legislazione, è infatti inibito al minore di sedici anni di riconoscere il figlio o di contrarre matrimonio).

Sarebbe assurdo che l’ ordinamento privilegiasse la relazione sessuale occasionale, superficiale, episodica, banalizzante e penalizzasse colui o colei che volesse trasformarla in un significativo rapporto tra persone.

Bisogna in realtà riconoscere che  – per poter dar un autentico consenso a qualcosa, per poter effettuare una scelta, per impegnarsi in un rapporto non superficiale e insignificante per lo sviluppo della persona –  è non solo necessario conoscere quello che si sta per decidere in tutte le sue implicazioni ma anche essere interiormente liberi di autodeterminarsi ad un atto. Tutto ciò ovviamente non si realizza nel ragazzo, non solo perché egli non ha sufficiente esperienza di vita per valutare le conseguenze dell’ atto e per utilizzare adeguati elementi di giudizio sull’ accettabilità del partner sessuale, ma anche perché non è in grado di gestire le sue pulsioni e di sottrarsi alle suggestioni determinandosi con effettiva e non meramente apparente libertà.

Inoltre è indispensabile riaffermare che se la violenza non è solo quella fisica ma anche quella psicologica in un rapporto bambino-adulto la “seduzione“ da parte dell’ adulto comporta necessariamente una costrizione psicologica cui il ragazzo non è in grado di sottrarsi, tanto più quando questa costrizione psicologica è sottile, suasiva, velata. Il che appare ancora più evidente quando l’adulto riveste nei confronti del bambino un ruolo di autorità (il genitore, l’ educatore, l’ affidatario) che porta il ragazzo ad avere una illimitata fiducia nell’adulto e nel contempo un timore reverenziale che rende impossibile un rapporto paritario.

Non è accettabile che, apparentemente in nome della libertà sessuale del bambino, si tenti di autorizzare una “apertura di caccia“ al bambino per tutelare in realtà solo interessi degli adulti. Non può  disconoscersi che la sessualità del bambino è una sessualità specifica, con le proprie forme, i suoi tempi di maturazione, le sue latenze; che l’iniziazione sessuale ad opera di un adulto costituisce sempre un grave trauma psicologico per il ragazzo; che la pedofilia tende a distruggere l’infanzia o a negarla; che una relazione sessuale tra un adulto e un bambino costituisce sempre cattura, dominio, sopruso; che dietro la pedofilia vi è nell’adulto una scelta narcisistica e infantilizzante che non può, a parte tutti gli altri aspetti, non connotare il rapporto di elementi  che inevitabilmente saranno bloccanti e devianti l’ itinerario formativo.

L’esperienza clinica e la letteratura sull’argomento dimostrano ampiamente i danni devastanti che può indurre nella piccola vittima l’azione avvolgente del “pedofilo gentile “: i profondi sensi di colpa, la rilevante confusione, il crollo della autostima, la destrutturazione di personalità. In realtà – come giustamente è stato rilevato –  “il coinvolgimento emotivo della vittima nella relazione pedofila od incestuosa, anziché essere un indice di minore gravità del reato commesso, dovrebbe costituire una aggravante in quanto il privare il bambino della percezione di sé in quanto vittima gli toglie anche la possibilità di gridare al mondo “ non è colpa mia “ e lo condanna ad un futuro carico di ambivalenza e di sofferenza” .

Inoltre gli studi epidemiologici dimostrano una correlazione elevata tra rapporti sessuali precoci e prostituzione; tra violenze omosessuali subite in età infantile e problemi di identificazione sessuale ed elevata tendenza ad esercitare violenze su altri bambini;  tra abuso sessuale precoce e annullamento di alcune delle potenziali abilità di proteggersi per cui tali soggetti appaiono predisposti ad ulteriori abusi sessuali.

Qualche considerazione è infine opportuno fare sul modo con cui cercare di contrarre questo fenomeno. Bisogna innanzi tutto rilevare che non possono essere sufficienti gli strumenti, pur necessari,  della repressione penale. Il fenomeno della violenza sessuale sui minori è fenomeno sommerso, sia perché si sviluppa per lo più all’interno della famiglia o di comunità coperte sia perché la vittima o non avverte chiaramente l’abuso o non ha il coraggio di rappresentare all’esterno ciò che gli sta succedendo. E’ perciò indispensabile sviluppare una attività di prevenzione che ha caratteristiche principalmente culturali più che concretamente operative. L’intervento dei servizi – essenziale per una doverosa azione di recupero della vittima, di sostegno alla famiglia travolta dal dramma della rivelazione, di risocializzazione degli stessi autori del reato – può essere utilmente sviluppato nel campo della prevenzione solo per diffondere una adeguata cultura dell’attenzione all’infanzia e del rispetto di essa e dei suoi fondamentali bisogni.

Su questo tema sembrano opportune alcune riflessioni:

a) E’ innanzi tutto indispensabile che si raggiunga una maggiore responsabilizzazione delle persone, superando omertà o anche solo  ingiustificate distrazioni.  Quel che inquieta – quando emergono clamorosi fatti di ripetute e continuate sevizie nei confronti di bambini –  è che gli amici di famiglia, il vicinato, le molte persone che hanno temporaneamente in affidamento i bambini, i sanitari  non si siano mai resi conto di nulla.  Forse nella nostra odierna convivenza si contrabbanda  come ossequio  alla  privatezza una sostanziale indifferenza degli uni verso gli altri, come accettazione del diverso e tolleranza verso le differenze culturali una effettiva chiusura nell’egoismo isolante, come  rispetto per l’autonomia della famiglia la reale omertà tra adulti a tutto danno dei minori.  Non è una cultura del sospetto. o peggio della delazione, che si vuole diffondere ma solo una attenzione reale e non declamata alle esigenze delle persone più deboli, un reale interesse per gli altri e non una chiusura narcisistica su se stessi.

b) E’ inoltre essenziale che anche il più piccolo segnale di possibile abuso sia percepito con seria e intelligente attenzione dagli operatori non solo sociali ma anche scolastici e sanitari: con la indispensabile cautela, è ovvio,  ma anche senza frettolose incredulità assolutorie o peggio senza corporativismi collusivi nei confronti di colleghi o di istituzioni di cui si vuole salvare la credibilità personale o sociale.  Condannare un bambino alla sofferenza ed alla distruzione per salvare l’amico o la organizzazione di appartenenza è una nefandezza di cui si dovrà rispondere non solo di fronte agli uomini ma principalmente di fronte a Dio. Le pesanti espressioni evangeliche contro chi “scandalizza “ un bambino valgono non solo per chi commette gli abusi ma anche per chi li copre.

c)  Occorre ancora che sia ripristinata e sviluppata una cultura del bambino come “ persona “ da rispettare  e non  come mera risorsa per appagare le esigenze dell’adulto. Purtroppo mi sembra che oggi – malgrado i retorici riconoscimenti declamati – la triste realtà è che sempre di più il bambino stia divenendo solo una rilevante risorsa per il mondo adulto: una risorsa per i genitori che attendono da lui solo gratificazioni personali o che tendono a monetizzarne energie e capacità; una risorsa per i mezzi di comunicazione di massa che hanno scoperto che i casi di bambini disgraziati o di giovani devianti suscitano morbose curiosità nel grosso pubblico e quindi consentono aumenti di tirature o di audience; una risorsa per la pubblicità che lo strumentalizza come consumatore da conquistare minacciando che se non si “ha”  non si “ è “  o che lo usa come strumento di propaganda dei suoi prodotti anche deformando l’immagine di ciò che il bambino veramente è; una risorsa  per il mercato del lavoro o per la criminalità adulta che lo utilizza, a basso costo, per ottenere profitti illeciti; una risorsa anche per alcuni operatori dell’infanzia che talvolta  utilizzano il  bambino come strumento terapeutico per l’adulto in difficoltà senza sufficientemente tener conto delle autonome esigenze del soggetto in crescita.   Ma se si perde il senso del bambino come “valore” – e la verticale caduta non solo in Italia del tasso di natalità potrebbe esserne un’inquietante spia – sarà inevitabile  il suo sfruttamento anche sul piano sessuale: perché mai, se il bambino è percepito come una mera risorsa per l’adulto, egli non può costituire anche una risorsa per gli appetiti sessuali di soggetti incapaci di esprimere la propria sessualità in un rapporto paritario e coinvolgente ?

d) Occorre anche diffondere una capacità di seria vigilanza personale sulla affettività verso l’infanzia.  Le pulsioni sessuali sono sempre presenti nella nostra esistenza umana e non infrequentemente si mescolano con il naturale bisogno di esprimere la propria del tutto legittima affettuosità verso chi intesse con noi un significativo rapporto interpersonale, con  la nostra naturale  tenerezza verso chi si affaccia alla vita  con  accattivante ingenuità e fiducia. Bisogna riconoscere  sempre la nostra debolezza umana e la presenza in noi di fisiologiche pulsioni sessuali che possono ben essere dominate ma mai negate o ignorate. Saperle riconoscere e controllare è segno di maturità e di realismo e consente di superare confusioni e oscurità in un rapporto tra adulto e bambino che non può fare a meno dell’aspetto affettivo ( senza empatia non vi può essere una funzione educativa e strutturante) ma che deve evitare accuratamente  ambiguità e talvolta morbosità.

e) Infine, poiché come ci dimostrano tutte le ricerche gli abusi sessuali sui minori avvengono in famiglia,  è indispensabile che sia decisamente superata una concezione proprietaria del bambino da parte dei genitori. Mi sembra invece che stiamo decisamente tornando indietro e che va  riemergendo un tentativo di restaurazione del vecchio potere assoluto del genitore.

Va  così pericolosamente diffondendosi l’idea che “il figlio è mio e lo gestisco io”;  che di conseguenza non siano né ammissibili né  accettabili controlli sull’esercizio del potere dei genitori sui figli; che debbano essere drasticamente contratti i poteri degli organi di tutela extrafamiliare (operatori sociali, giudici specializzati) funzionali a salvaguardare i fondamentali diritti della persona debole. Stiamo ritornando, sia pure in forme diverse, alla vecchia figura del padre padrone a cui si aggiunge la non meno conturbante figura della “ madre padrona“: al bambino viene sempre meno riconosciuto il ruolo di “ persona “ e sempre più quello di mero  “ figlio di famiglia “ in completo possesso del genitore.  Il che rischia di porre le premesse per ogni forma di abuso, anche sessuale, nell’ambito famigliare.

Mi sembra che debba essere superata la dilagante retorica accecante secondo cui la famiglia è sempre luogo dell’amore  per cui i genitori, ed essi soli, sanno cosa è il vero bene dei propri figli e lo fanno. Se è vero che la famiglia è indispensabile per un armonico sviluppo del ragazzo è anche purtroppo vero che non infrequentemente la famiglia può essere distruttiva e rivelarsi non un “ nido di amore”  ma un “ nido di vipere” , che  nessun essere può essere in totale possesso di un altro  e che di conseguenza  né la sacrosanta tutela della famiglia e della sua autonomia può trasformarsi in sostanziale autarchia nè  il giusto  riconoscimento  che la famiglia ha diritti  può far trascurare che tali diritti sono subordinati alla capacità di adempimento di inderogabili doveri e di fondamentali funzioni.

La violenza sessuale sui minori è una tristissima realtà di tutti i tempi che oggi più che mai deve ritenersi inaccettabile: senza allarmismi ma con grande fermezza dobbiamo sentirci tutti impegnati per salvare esistenze che non possono essere distrutte per l’irresponsabilità o il piacere dell’adulto.  

prof. Carlo Alfredo Moro,
Presidente del Centro Nazionale per la tutela dell’infanzia già Presidente di sezione della Corte di Cassazione e del Tribunale dei Minorenni di Roma

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