Il dono di Dio

Questa e’ la prima delle 3 puntate sulla situazione dei minori nei diversi contesti religiosi. Per quanto concerne il cristianesimo si deve al suo influsso sulla societa’ dei primi secoli, il crollo del costume dell’esposizione dei bambini: nella societa’ romana, se questi non erano desiderati, venivano esposti pubblicamente sulle rive del Tevere o presso il foro Olitorio, e l’uso piu’ comune consisteva nell’inserimento sociale come schiavi

Sulla scia della tradizione ebraica il cristianesimo considera il bambino come un “dono di Dio” e la sua nascita come una “benedizione di Dio”. La Chiesa fa suo, nella liturgia, il canto del Salmista: “Ecco, dono del Signore sono i figli, e la sua grazia il frutto del grembo” (Sal 126,3). A somiglianza di “Eva, la madre dei viventi”, ogni donna nell’accogliere la nascita di un figlio dovrebbe ripetere “Ho acquistato un uomo dal Signore” (Gn 4,1).

Dall’origine divina della vita umana discende il riconoscimento effettivo della dignità personale di ogni essere umano, anche del bambino non nato. I bambini sono quindi di Dio e non proprietà degli adulti e tale riconoscimento esige il rispetto, la promozione dei diritti della persona umana, di conseguenza anche del bambino, anche del bambino non nato.

Per la stessa ragione la cultura autenticamente cristiana, di fronte agli sviluppi della tecnologia medica che sta acquistando un dominio sempre più vasto e profondo sui dinamismi che presiedono alla procreazione e alle prime fasi dello sviluppo umano, esige che l’uomo nella ricerca scientifica e in quella applicata agisca con sapienza, ossia con intelligenza e amore: nel rispetto della inviolabile dignità personale di ogni essere umano, sin dal primo istante della sua esistenza, e nel rifiuto di interventi che risultano alterativi del patrimonio genetico dell’individuo e della generazione umana. Il rispetto del bambino ancora non nato è garanzia del rispetto del bambino già nato.

E anche qui dalla cultura ebraica, quella cristiana non solo ha colto l’attenzione per i bambini e soprattutto per i bambini indifesi e senza tutela, come gli orfani, ma anche l’esigenza di un impegno educativo, difficile certo ma fondamentale, che è affidato soprattutto ai genitori.

Nella concezione cristiana il bambino è importante non semplicemente in quanto prefigura dell’uomo maturo, e quindi nella prospettiva dei suoi impegni futuri di adulto, ma in quanto, benché ancora incapace di comprendere, di ragionare, di attestare o di assumere uno status significativo sotto il profilo sociale-politico-religioso, ha già una sua dignità, un suo significato, una sua missione.

Afferma Gesù, rimproverando i discepoli che cercano di allontanarli da lui: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli” (Mt 19,14).  Il comportamento di Gesù nei confronti dei bambini è talmente in contrasto con quanto ci si aspettava, che gli stessi apostoli si sentono in dovere di intervenire. Non solo, ma Gesù propone come modello ecclesiologico fondamentale quello del bambino. All’inizio della sua predicazione, Gesù invita le folle alla conversione nella fede del Vangelo, “convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15) ma per far capire cosa significhi convertirsi, prende un bambino lo tiene fra le braccia e afferma: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3). I bambini costituiscono un modello evangelico soprattutto perché costituiscono “il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni spirituali e morali che sono essenziali, per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore” (Christifideles laici, 47). E così che Gesù afferma ancora “Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25-26).

A questi brani, presenti anche nel vangelo di Luca, si possono poi aggiungerne altri che hanno una loro importanza per comprendere che il pensiero di Gesù sui bambini: i molti miracoli che hanno i bambini come beneficiari (la figlia di una Cananea, Mt 15,21; e di una sirofenicia, Mc 7,24; il figlio di un funzionario reale, Gv 4,46; la figlia del capo di una sinagoga, Mt 5,25; il figlio della vedova di Naim, Lc  7,11).

Luca poi ha voluto aggiungere il racconto dell’infanzia di Gesù, presentandolo come colui che per primo ha vissuto in se stesso quelle caratteristiche di bambino che un giorno avrebbe raccomandato ai discepoli.

E’ per tutte queste ragioni che, afferma Giovanni Paolo II nella Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, la Chiesa “è chiamata, infatti, a rivelare e a riproporre nella storia l’esempio e il comandamento di Cristo Signore, che ha voluto porre il bambino al centro del Regno di Dio” (FC, 26).

Analizzando le parole di Gesù nei brani evangelici che si sono accennati, emerge che Gesù additava ai suoi discepoli, come esempio da seguire, queste specifiche caratteristiche del bambino:

  • la figliolanza: ogni bambino è innanzitutto “figlio” ed è questa precisa condizione a caratterizzare il suo essere e i suoi rapporti con chi è nei suoi confronti “genitore”,
  • la fratellanza e l’amicizia: i bambini sono portati a stabilire rapporti fraterni tra di loro,
  • la piccolezza: ogni bambino è cosciente della sua piccolezza, che si manifesta, soprattutto, nel non avere poteri sugli altri e nel non possedere beni in proprio.
  • la spiritualità: il bambino ha un animo sensibile al divino, attento e aperto all’ascolto della presenza misteriosa di Dio.

Ma questa attenzione al bambino non vale solo per la Chiesa, anche per la stessa famiglia cristiana la scelta dei bambini è elemento irrinunciabile della propria realizzazione.

Questo denominatore comune della dignità del bambino ha sempre cercato di caratterizzare l’agire dei cristiani e della Chiesa di ogni tempo. Basti pensare alla permanente difesa della vita del bambino sia primo che dopo la nascita (cf. Didachè 2,2; Tertulliano, Apologia VII, 3,2).

Si deve all’influsso del cristianesimo sulla società dei primi secoli il crollo del costume dell’esposizione dei bambini: nella società romana, se questi non erano desiderati, venivano esposti pubblicamente sulle rive del Tevere o presso il foro Olitorio, e l’uso più comune consisteva nell’inserimento sociale come schiavi. I cristiani si preoccupavano invece di accoglierli nella comunità, dove venivano presi in cura soprattutto dalle vergini. E’ soltanto con la costituzione costantiniana, i bambini esposti vengono difesi come uomini liberi (cf. Cod Just. VIII, 53, 3-4).

Si possono ancora citare alcune significative citazioni tra gli scritti dei Padri della Chiesa:

  • Pastore di Hermas: “Il Pastore mi disse: coltiva la semplicità e l’innocenza e sarai simile ai bambini che ignorano il male, causa di rovina per la vita degli uomini “ (Man II,1),
  • san Girolamo: “Non si richiede agli apostoli di tornare bambini come età, ma come innocenza: ciò che essi posseggono a causa della loro età, gli apostoli devono conquistare con lo sforzo, così da diventare dei bambini non nel giudizio, ma nell’assenza di malizia” (PL 26,128)
  • san Beda: “Il bambino non mantiene rancore, egli dimentica i torti a lui fatti, alla vista di una bella donna non si dà alla voluttà, la sua parola non contraddice il suo pensiero. Lo stesso deve essere di voi, se non raggiungerete questo grado di innocenza e di purezza di spirito, non potrete entrare nel regno di Dio” (PL 92,230-231),
  • san Giovanni Crisostomo: “Il bambino è libero dall’invidia e dalla vanagloria, non desidera gli onori e possiede quella suprema virtù che si chiama semplicità e umiltà. Non abbiamo tanto bisogno di forza e di scienza, quanto piuttosto di umiltà e di semplicità, senza le quali la nostra salvezza sarebbe in pericolo” (PG 7,568-569),
  • san Cirillo d’Alessandria: “Di quale realtà il bambino è simbolo e immagine? Di una  vita senza malizia e senza ambizione. Il bambino possiede un animo senza inganno, un cuore sincero, i suoi pensieri sono caratterizzati dalla semplicità” (Sermone, 37,3).

A questi si devono aggiungere gli scritti di san Clemente di Alessandria che nel “Pedagogo” e ne “Il propedeuta” tratta ampiamente questa tematica.

Gli scritti di sant’Agostino si discostano significativamente da questa visione del bambino “modello del regno”, per dare voce alla corrente di pensiero che avrà, nella storia, sempre molto seguito e che egli riassume nella frase: “E’ la debolezza che fa il bambino innocente, non l’animo” (Confessioni I,7,11). Per sant’Agostino il bambino non solo non può essere detto innocente, egli è anzi già un peccatore, perché anch’egli è schiavo della legge del peccato ereditata da Adamo.

Questa visione del bambino trova certo difficile riscontro nei testi evangelici, ma ha acquistato larghi consensi nelle correnti moralistiche del cristianesimo.

Tuttavia, nel Medioevo il bambino scompare. Scompare dagli scritti e dall’arte figurativa, ma scompare soprattutto socialmente; l’infanzia viene compressa negli stretti limiti della dipendenza fisica che termina con l’acquisizione della capacità di comunicare oralmente attorno ai sette anni, considerata come età della “responsabilità”. Dopo non c’è più distinzione né di età né di destino. Afferma Ariès che nel Medioevo non esisteva la coscienza delle particolari caratteristiche infantili che distinguono il bambino dall’adulto. L’unica forma di educazione dei bambini è quella dell’apprendistato, nella durezza della vita condivisa allo stesso modo con gli adulti. Anche le istituzioni ecclesiastiche limitano la loro attività educativa a scopo vocazionale.

L’alta mortalità infantile faceva sì che non si investisse troppo sui bambini piccoli, sia dal punto di vista affettivo che dal punto di vista sociale. La situazione poi di estrema indigenza di molte famiglie dà origine al fenomeno molto diffuso dell’abbandono dei bambini, attraverso le forme della vendita, della sostituzione, della esposizione e dell’offerta ai monasteri. E’ proprio nel contesto di questo stato di precarietà in cui si trovano tanti bambini che si distingue la risposta delle istituzioni cristiane nella assistenza ai “trovatelli” assicurando loro la sopravvivenza e l’apprendimento di un mestiere. In particolare sono i monasteri a offrire ospitalità, mentre si concretizza anche la creazione, da parte della Chiesa, nelle più grandi città di Europa, dei cosiddetti “Ospedale degli innocenti”, quale quello di Firenze.

Con il monachesimo, sia antico che medievale, i bambini riceveranno permanente tutela e dignità, ma soprattutto una pedagogia cristiana. Il primo “brefotrofium” sembra essere quello di Dateo, arcipresbitero di Milano, che nel 787 d.C. regalò una casa per la protezione dei bambini abbandonati.

Fu forse l’inizio di quella “istituzionalizzazione dei bambini” che, se pur affrontava e contribuiva a risolvere gravissime situazioni di abbandono, portava con sé e tuttora porta gravosi limiti riguardo le esigenze psicologiche ed educative dello sviluppo di un bambino.

Col passare dei secoli l’interesse della Chiesa per l’accoglienza, l’educazione, la tutela, la promozione dell’infanzia e della fanciullezza non è solo cresciuto in consapevolezza e impegno, ma si è tradotto in istituzioni e iniziative sempre più grandi.

I secoli XV,XVI e XVII che vedono la riscoperta della dignità dell’uomo vedono anche una visione del bambino che si trasforma e si rinnova. Il bambino era visto come “il piccolo dell’uomo”, colui dal quale l’uomo vero sarebbe emerso, e quindi era necessario intervenire sul bambino se si voleva un uomo adulto così come lo pensava la cultura del tempo. Per ottenere questo di iniziò a dare spazio all’istruzione formale, sottraendo i bambini a precoci sfruttamenti nel mondo del lavoro e della vita sociale, anche grazie alla  scoperta della stampa. Ecco dunque nascere le prime forme di istruzione scolastica, risale a quest’epoca la famosa “ratio studiorum” elaborata dai Gesuiti.

L’impostazione dei programmi scolastici risente pesantemente della visione adultista del bambino, si dà grande importanza alla acquisizione delle buone maniere ma anche alla disciplina più rigorosa, per ottenere la quale non si lesinano le punizioni corporali.

In questa impostazione educativa ha influito molto la visione puritana della riforma protestante e il moralismo cattolico che partono dal presupposto che la natura sia corrotta dal peccato originale e quindi tendente di per sé al male, a cui occorre opporre una ferma lotta e una rigida disciplina.

A questa visione negativa della natura del bambino si affiancò presto e si impose una visione positiva del bambino che ispirò ben diversi metodi educativi: san Filippo Neri (1515-1595), con i suoi famosi oratori; san Giuseppe Calasanzio (1556-1648) con le sue scuole pie per tutti i bambini più poveri; san Francesco di Sales (1567-1622) con i suoi richiami a tutelare l’innocenza dei bambini e a rispettare la presenza dello Spirito in loro; san Giovanni Battista de la Salle (1651-1719) fondatore delle Suore della Provvidenza per l’educazione delle fanciulle povere e fondatore della congregazione educativa dei Fratelli delle Scuole Cristiane.

Questa concezione educativa sarà prevalente nell’Ottocento, vi contribuisce anche Rousseau, (1712-1778), ma il rigore disciplinare abbandonato come principio pedagogico nelle scuole resta però nelle accademie e nei seminari.

La rivoluzione industriale che porta con sé il drammatico e tragico fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile nelle fabbriche e nelle miniere, determina poi il sorgere dei primi testi legislativi a favore dei diritti fondamentali dei bambini.

Ancora, l’Ottocento è anche il secolo in cui ha inizio la pedagogia moderna. E’ dominante nella pedagogia cristiana di questo periodo, l’immagine del bambino come persona bisognosa soprattutto di amore autentico; questa “pedagogia materna” si esprime con: Ferrante Aporti (1791-1858), iniziatore degli asili; le sorelle Rosa e Paolina Agazzi (1866-1951); Ellen Key (1848-1926) e Maria Montessori (1870-1952).

La pedagogia nel novecento si farà scienza, ma anche con connotazioni negative quando al bambino si guarderà con un approccio eccessivamente scientifico, trascurando invece un migliore rapporto vivo e creativo tra adulto e bambino.

Massimo Petrini
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

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