Riproduzione assistita: criteri di giudizio etico

Quando, nel 1978, venne al mondo la prima bambina nata da “Fecondazione in Vitro” (FIV), molti la salutarono come il compimento di un sogno e di una profezia. Infatti, l’essere umano ha immaginato da tempo la possibilità di creare con le proprie mani altri esseri umani. In qualche modo troviamo espressioni di questa prospettiva nella “cabala” ebrea che parla della creazione del “Golem” (nel s. VI) o nel Faust di Goethe, nel quale si rappresenta al personaggio Wagner che fabbrica l’ “Homunculus”. Più recente, nel 1932, A. Huxley prospettava nel suo romanzo A New Brave World un mondo tutto organizzato e gestito da un potere universale che regolarizza anche la produzione di uomini di diverse categorie a seconda dei bisogni della società.

Oggi, la pratica della FIV, come di altre tecniche di riproduzione assistita è diventata “normale”, quasi “banale”, dal punto di vista scientifico-tecnico. Sono ormai migliaia i bambini nati con l’intervento dei tecnici della riproduzione.  Da una parte, questa realtà ha suscitato un senso di “esaltazione”, in quanto rappresenta una indubitabile conquista della scienza e della tecnica; il progresso scientifico è arrivato, non già a modificare la vita, ma addirittura a crearla! C’è poi da considerare che molte coppie sterili possono avere, grazie a queste tecniche, il figlio desiderato. Per alcuni, infine, è anche motivo di esaltazione la totale separazione operata dalla riproduzione assistita tra il sesso e la procreazione (l’avvento della contraccezione aveva permesso il sesso senza la procreazione; adesso abbiamo la procreazione senza il sesso).

 D’altra parte, però, sono sorte gravi e profonde perplessità e preoccupazione in torno alle pratiche di “procreatica” attuali, e a diversi elementi, più o meno accidentali, che le accompagnano. L’opinione pubblica si trova spesso davanti a casi aberranti dal punto di vista psicologico, sociologico, giuridico… Bambini nati da diverse “madri” (la madre genetica, donatrice dell’ovulo, la madre gestante, e la madre legale, che può coincidere con una delle anteriori o essere addirittura un’altra); bambini nati all’interno di una coppia di lesbiche con lo sperma di un donatore omosessuale; bambini rifiutati dal padre legale, che non è il padre genetico, etc. E viene a sapere anche, l’opinione pubblica, di migliaia di embrioni congelati nei laboratori (in Inghilterra si calcola siano attualmente 52.000) dei quali non si sa cosa fare, destinati a morire o all’adozione o alla ricerca (cioè alla morte); o di casi di bambini con malformazioni genetiche a causa di uno spregiudicato uso dei gameti da donatore; o di embrioni impiantati in altre donne senza il consentimento della madre genetica… Aldilà di questi casi aberranti, l’opinione pubblica si pone una domanda di fondo: è giusto dal punto di vista etico, ricorrere a queste pratiche di riproduzione assistita? Ci sono delle pratiche accettabili moralmente e altre che non lo sono.

TECHINCHE DI RIPRODUZIONE ASSISTITA

Un quadro d’insieme

Non è il caso di presentare qui tutte le tecniche di riproduzione oggi esistenti (si contano oggi più di 25 diverse tecniche di riproduzione assistita, alcune solo diverse in quanto “varianti” minori di un’altra). Basterà presentare le più importante ed utilizzate.  Non si parla normalmente di riproduzione assistita quando l’intervento medico consiste nel tentativo di dare o ridare all’organismo la sua capacità riproduttiva naturale (come per es. la stimolazione ormonale delle ovaie o la  ricomposizione delle tube di Fallopio). Si usa piuttosto il termine per indicare quelle tecniche messe in atto per procurare la riproduzione nei casi in cui questa non è possibile senza l’intervento diretto della tecnica in almeno una delle fasi del processo riproduttivo.  Le tecniche di riproduzione assistita intervengono di fatto facilitando o realizzando l’incontro dei gameti femminile e maschile. In questo senso, le molteplici tecniche in uso possono essere utilmente classificate in relazione al tipo di intervento che realizzano sui gameti per il loro incontro. In funzione delle riflessioni etiche che faremo più avanti presento una classificazione in quattro gruppi.

Il primo gruppo congloba le tecniche che comportano solamente un intervento sugli ovociti, con la finalità di facilitare l’incontro con lo sperma, che sarà presente nell’organismo della donna a causa di un normale rapporto sessuale. Possiamo qui nominare la LTOT (“Low Tubal Ovum Transfer”) che consiste appunto nel trasferimento dell’ovulo nella parte inferiore della tuba. La OPT (“Ovum pick-up and transfer chamber”) invece, consiste nella collocazione permanente di un dispositivo di silicone che conduce gli ovociti dalle ovaie alla cavità uterina, affinché possa avvenirvi la fecondazione.

Nel secondo gruppo consideriamo le tecniche che prevedono il trasferimento dello sperma maschile nell’organismo femminile. Si tratta soprattutto della Inseminazione Artificiale (IA). La quale viene chiamata. Il congelamento degli ovociti, non è ancora praticato se non in maniera sperimentale, a causa della difficoltà tecnica dovuta alla grandezza della cellula.

Il terzo gruppo è quello delle tecniche che implicano l’ottenimento di entrambi i gameti, maschile e femminile, e il loro trasferimento nel corpo della donna, dove avviene la fecondazione. Qui abbiamo la GIFT (“Gametes Intrafallopian Transfer”), che prevede il trasferimento dei gameti nelle tube attraverso un catetere nel quale sono separati da una bolla d’aria. Molto simile è la TOT (“Tubal Ovum Transfer”), nella quale, contrariamente a quanto potrebbe far pensare il nome, vengono trasferiti non solo degli ovuli ma anche lo sperma (per cui alcuni la chiamano TOTS, aggiungendo l’iniziale corrispondente a “Sperm”). C’è anche la GIUT (“Gamete In Uterus Transfer”), tecnica che prevede un breve incontro in laboratorio dei gameti ai fini di facilitare il loro incontro fecondante all’interno dell’utero.

Nei primi tre gruppi la fecondazione è intracorporea. Il quarto gruppo invece si riferisce a quelle tecniche nelle quali, dopo l’ottenimento dei gameti, si realizza la fecondazione in laboratorio. Si tratta dunque di una fecondazione extracorporea. Il prodotto della fecondazione, l’embrione, viene trasferito poi in utero. Tra queste, la più importante è la FIVET (“Fecondazione in vitro con ‘embryo transfer’”). Da alcuni viene praticata una tecnica un po’ diversa, la CIVETE (“Cultive Intravaginale et Transfert d’Embrion”), che consiste nella deposizione dei gameti, chiusi in un tubicino, al interno della vagina, che fa da incubatrice; avvenuta la fecondazione gli embrioni sono trasferiti all’interno dell’utero (come nel caso della FIVET).

Diverse “modalità”  di applicazione delle tecniche

C’è da considerare che le diverse tecniche, tranne quelle del primo gruppo, possono essere applicate con diverse “modalità”, non indifferenti anche dal punto di vista etico.  Tra queste modalità ricordiamo solamente alcune. Innanzitutto l’utilizzo dei gameti solamente provenienti dai coniugi, cioè con una pratica “omologa”, oppure il ricorso a gameti (ovociti o spermatozoi, o anche tutti e due) provenienti da un “donatore”: pratica chiamata “eterologa” (lo sperma può esser “fresco” o congelato, magari proveniente da una “banca di seme”). Nelle tecniche del quarto gruppo si procede a volte alla produzione di più embrioni di quanti si pensa di trasferire nell’utero (creando i così detti “embrioni in surplus”), i quali di solito vengono congelati, per essere destinati a un secondo tentativo, o per ottenere un secondo figlio, o donati a un’altra donna, o per la ricerca; o possono semplicemente essere eliminati. Sempre in relazione alle tecniche di fecondazione in vitro, si ricorre a volte alla cosiddetta “maternità surrogata”: gli embrioni vengono trasferiti nell’utero di una donna che non è la loro madre genetica ne si prevede che sarà la loro madre legale.

CRITERI PER UN’ANALISI ETICA

Principi generali

La riproduzione assistita viene utilizzata come rimedio a un determinato problema di sterilità. La motivazione, dunque, del ricorso a queste tecniche sta in un desiderio di per se nobile e giusto: quello di dare vita a un essere umano, di avere un figlio. Un desiderio radicato nella profondità della persona e della coppia che si è unita nella speranza di realizzare il sogno della paternità-maternità.  La medicina (come la scienza e la tecnica in genere), deve porsi al servizio dell’uomo, e dunque deve sforzarsi anche per aiutare una coppia sterile a soddisfare il desiderio profondo e giusto di procreare. L’utilizzo della tecnica per il bene della persona (e della società) è non solo lecito, ma a volte anche doveroso. Non dobbiamo dunque rifiutare il ricorso ad essa come se fosse qualcosa di contrario all’uomo, solo perché ha una componente artificiale. Non lo facciamo quando si tratta, per esempio, della collocazione di un “pacemaker” che aiuti il cuore a battere regolarmente. Non lo dobbiamo neanche fare quando si vuole aiutare la coppia a procreare.  C’è da sottolineare, però, che altro è parlare di “desiderio del figlio”, e altro è pretendere di avere “diritto al figlio”. I diritti si riferiscono alle cose che sono oggetto di possesso, non alle persone, che non debbono essere mai posseduto. Una coppia ha si diritto a porre in atto quelle azioni che sono proprie del loro stato col desiderio di avere un figlio. E possono anche chiedere alla medicina di andare incontro alle loro difficoltà per realizzare quel desiderio. Ma non possono esigere di ottenere il figlio “ad ogni costo”.  Questa espressione, “ad ogni costo”, ci porta alla considerazione del senso di responsabilità che deve guidare sia la richiesta di assistenza alla riproduzione da parte della coppia, sia il tecnico che realizza l’assistenza. In ogni azione umana, la libertà personale va accompagnata dalla propria responsabilità. E questo soprattutto quando quell’azione influisce su di un’altra persona. Sempre che progettiamo una possibile azione, dobbiamo considerare gli effetti che avrà o potrebbe avere sugli altri. E se questo si riferisce agli effetti della nostra azione su una persona già esistente, si riferisce anche, anzi in modo più profondo, sul fatto di dare inizio all’esistenza di una persona. In questo caso noi siamo responsabili del fatto che esista, del modo in cui l’abbiamo fatto esistere, e delle condizioni in cui l’abbiamo posto nel dargli l’esistenza.  Non possiamo dunque pretendere di avere un figlio “ad ogni costo”. Dobbiamo piuttosto misurare appunto “il costo” che questo comporterà o potrebbe comportare per il figlio desiderato. Dobbiamo innanzitutto cercare il suo bene. E se l’azione prevista comportasse la morte di altri esseri umani, o la loro manipolazione dannosa, o se fosse attuata in un modo indegno della persona umana da procreare, dovremmo saper rinunciare al nostro desiderio, nonostante sia, in se stesso, un desiderio giusto e nobile.  Secondo tutto questo, il problema etico relativo alla riproduzione assistita si pone a due livelli: quello del fine e quello dei mezzi. Dobbiamo analizzare se il proposito di avere un figlio, in determinate circostanze, è giusto nei confronti del nascituro; e se lo è, dobbiamo chiederci se il mezzo che si vuole utilizzare per raggiungere questo scopo è rispettoso della vita, della salute fisica e psichica e della dignità della persona che si vuol portare in questo mondo.

Criteri di giudizio etico

Sulla base di quanto detto sopra, possiamo stabilire alcuni criteri per l’elaborazione di un giudizio etico serio nel discernimento delle diverse tecnniche di riproduzione assistita.
Non è il caso di trattenerci qui a presentare o difendere questo criterio di giudizio etico, valido per qualunque azione umana. Lo suppongo accettato e mi fermo solamente a considerare la sua applicazione al problema che stiamo trattando. Nel considerare le diverse tecniche di riproduzione assistita dobbiamo anzitutto chiederci se rispettano la vita umana. Evidentemente, ci riferiamo alla vita degli embrioni o feti che risultano dalla assistenza nella riproduzione. Non possiamo neanche trattare qui il tema dell’identità dell’embrione umano. Diciamo solamente che l’embriologia moderna ha mostrato come l’embrione sia dal momento della fecondazione un nuovo e unico individuo della specie umana, che si sviluppa in modo del tutto autonomo, grazie alla completa informazione genetica che porta nel suo genoma; e come nel suo sviluppo non ci sono salti di qualità per i quali si possa dire che si tratta di un individuo a partire da un determinato momento (come il famoso “quattordicesimo giorno”) e invece prima fosse un essere di entità diversa.  Una tecnica, dunque, che preveda come parte del suo “iter” la distruzione o la perdita di embrioni, o la loro manipolazione a rischio, o che provochi una quantità di aborti spontanei o di feti malformati… è una tecnica che non può essere eticamente accettata. Non si può provocare la morte di un individuo umano per ottenere un’altro individuo umano. Per qualcuno questo non sarebbe un problema etico, in quanto anche dopo la fecondazione naturale avvengono degli aborti spontanei. Ma altro è che qualche male avvenga in modo imprevisto e inevitabile, altro è provocare volontariamente una situazione che necessariamente produce quel male. Altro è che avvengano degli incidenti stradali, altro è porre le condizioni che portano a questi incidenti. Di questi noi saremmo responsabili.

Di per se, come ho detto, l’intenzione di avere un figlio è giusta e nobile. Ma non è detto che sia sempre necessariamente così. Porsi il fine di avere un figlio può essere eticamente scorretto quando non si è nelle condizioni di offrire a quel eventuale figlio ciò a cui ogni essere umano ha diritto in modo fondamentale: di essere procreato, accolto ed educato in un ambiente adatto alla sua normale crescita umana. Volere un figlio quando non gli si può offrire una famiglia.

Anche questo criterio del rispetto per i nascituro lo possiamo supporre come acquisito: dobbiamo rispettare il bene integro di ogni individuo umano; e tra i diversi fattori del suo bene c’è quello della sua integrità psico-sociale, dell’armonia del suo sviluppo nella sua identità psichica personale e nel suo rapporto con gli altri. Orbene, è chiaro che non siamo tenuti solamente a non recare danno all’altro qui e ora; dobbiamo anche evitare tutto ciò che potrebbe seriamente danneggiarlo in futuro, in quanto ci è possibile prevederlo. È immorale porre volontariamente un bambino in una situazione tale che possa creare in lui un trauma più o meno inconscio che si manifesterebbe più avanti nella sua vita. Come dicevo prima, nell’utilizzare una tecnica di riproduzione assistita siamo responsabili degli effetti che saranno prevedibilmente causati dalle circostanze in cui avverrà il concepimento, la crescita e l’educazione del nascituro. Bisognerebbe dunque escludere quelle pratiche che possono compromettere seriamente il senso di identità del bambino, o che gli impediranno di conoscere entrambi i suoi genitori e di sviluppare in un ambiente familiare normale una psicologia normale.  È vero, come alcuni rilevano, che anche nel caso dell’adozione di un bambino, questo non si svilupperà nelle circostanze che gli sarebbero più propizie. Ma, anche qui, una cosa è accogliere un bambino orfano, un’altra ben diversa è provocare la sua orfanità; altro è sostituire come meglio si può le figure dei suoi genitori veri, altro è portarlo in questo mondo, in maniera programmata e voluta, al di fuori della relazione con quelle figure.

Il rispetto della dignità della persona nella sua origine è forse il criterio più difficile di cogliere. Gli altri due si riferiscono al rispetto del bene dell’altro in qualche cosa di “tangibile” come è la sua integrità fisica o quella psichica. Qui invece riflettiamo su una realtà meno evidente ma non meno importante. Tutti capiamo che è possibile realizzare delle azioni che non sono rispettose della persona umana, anche se non recano un danno né fisico né psichico all’individuo.  Potremmo immaginare, per esempio, certi comportamenti di “manipolazione” sessuale nei confronti di un bambino che implicano una mancanza di rispetto nei suoi riguardi. Anche se non comportassero nessun danno fisico o psichico per lui (forse nemmeno se ne renderebbe conto dell’accaduto o del suo significato), comprendiamo che si tratterebbe di un abuso, di mancanza di rispetto della sua dignità.  Il rispetto della dignità della persona passa anche -anzi direi che inizia- per il rispetto della sua origine, del modo in cui la persona è portata all’esistenza. La persona umana non è e non deve mai essere trattata come un oggetto. Neanche nel momento di volere e procurare la sua esistenza.  La persona deve essere concepita come un oggetto di ri “produzione”, ma sempre e solamente come frutto di un gesto di “procreazione”. Deve essere sempre “generata”, non “fatta”.  A questo proposito è interessante riflettere sulla differenza antropologica ed etica di due diversi tipi di azione umana: il fare e l’agire. Consideriamo prima il “fare” (dal latino “facere”). In questa azione l’agente agisce con lo scopo diretto di realizzare un prodotto. Il prodotto esistirà a causa dell’azione, sarà determinato dal suo operare. E proprio per questo, egli ne è padrone, ne ha il dominio, ha diritto a possedere il suo prodotto,  o a disporre altrimenti di esso, vendendolo, regalandolo, distruggendolo. L’altro tipo di azione umana, invece, l’agire (dal latino “agere”), consiste in un comportamento attraverso il quale il soggetto esprime se stesso, i suoi sentimenti, i suoi pensieri… L’azione non ha lo scopo di realizzare un prodotto. Il soggetto non causa direttamente, non determina il risultato del suo comportamento (anche se, prevedendone le conseguenze, ne è anche responsabile). Il soggetto pone solamente, col suo agire, delle condizioni che possono dare un risultato. La sua azione non mira alla produzione del risultato, che non è uno suo prodotto. Il rapporto tra lui e il risultato non è quello del possesso; lui non ne è padrone, non ne ha il dominio.
Comprendiamo subito che il rapporto tra persone non può essere quello del dominio, del possesso, della determinazione. Ogni persona umana ha una dignità che gli proviene dal fatto stesso di essere persona, fine in se stessa. Non ci sono persone più persone che altre, più degne che altre. Non possiamo accettare che una persona sia in possesso di un’altra. Ora, come dicevo prima, il rispetto dell’altro non si riferisce solamente al rispetto in quanto a quello che già è, ma include anche il rispetto nel modo di farlo esistere. Proprio per questo, possiamo comprendere che non è degno della persona umana, del nascituro, realizzare la sua esistenza con una azione che consista in un fare, nel produrre una vita umana. Si producono gli oggetti, non le persone. La procreazione di una persona umana è il risultato di un agire, non di un fare, da parte dei genitori. Loro si esprimono mutuamente l’amore in un gesto di donazione totale, fisica e spirituale, che pone le condizioni di possibilità per la procreazione. I genitori non producono un figlio. E non lo percepiscono come un prodotto causato, determinato, fatto. Non ne sono padroni, non lo possiedono. Il figlio, anzi, è sperimentato come un “dono”. Una volta realizzato il gesto sponsale, il figlio che potrebbe nascere dalla loro unione non è dovuto, ma sperato. Il figlio è il frutto di un agire comune, un agire di comunione. Il figlio nasce come persona, da e in comunione. Da parte sua, il figlio non si sente fatto, prodotto, determinato dai genitori. Io so di essere il frutto di un gesto di comunione sponsale dei miei genitori. Non mi sento un loro prodotto, non mi sento determinato dalla loro volontà efficiente. Se per caso mi sento deluso nella mia vita, se non sono conforme col mio modo di essere o con la mia stessa esistenza, non do la colpa a loro: non mi hanno “fatto esistere”; loro si sono uniti in amore e da quell’amore sono nato io. Se viceversa sono contento della mia vita, se sono orgoglioso delle mie qualità, delle mie realizzazioni, so di non essere semplicemente un buon prodotto, so di essere me stesso; non sono stato fatto così come sono, determinato nel mio modo di essere e nel mio essere.  Questo è il modo umano di procreare. La persona deve nascere come frutto di un atto sponsale di comunione dei suoi genitori, non come prodotto di un fare da parte del tecnico.
Fatte queste considerazioni, possiamo stabilire un criterio concreto per il giudizio etico sulle diverse tecniche di riproduzione assistita: la persona umana deve sempre avere la sua origine in un atto sponsale dei suoi genitori; per tanto, la tecnica deve servire ad aiutare non a sostituire il loro atto sponsale. Con una formula sintetica possiamo dire che “la tecnica deve essere integrativa e non sostitutiva dell’atto sponsale”. Vale a dire che l’azione del tecnico non deve essere la causa immediata dell’esistenza del nascituro, ma porsi solamente come aiuto affinché l’atto di comunione coniugale realizzato dagli sposi possa diventare occasione di procreazione, superando la “barriera patologica” che glielo impedisce.
Già Pio XII, aveva presentato un criterio etico simile riferendosi alle tecniche di Inseminazione Artificiale: “Con ciò tuttavia non si intende proscrivere necessariamente l’uso di certi mezzi artificiali, miranti sia a facilitare l’atto coniugale, sia a far raggiungere all’atto naturale normalmente compiuto il proprio fine”. Più tardi, l’Istruzione Donum Vitae, della Congregazione per la Dottrina della Fede, affermerà che una tecnica di riproduzione “non può essere ammessa, salvo il caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell’atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale”.
Secondo questo criterio, sono eticamente accettabili quelle tecniche che sono attuate come “completamento biologico” dell’atto umano completo posto dagli sposi nella loro unione coniugale. In questo caso si può dire che l’origine della nuova vita si trova in quel agire degli sposi. È quel gesto di comunione personale che pone le condizioni del concepimento. A un certo punto queste condizioni si trovano interrotte da una “barriera patologica”, e il tecnico ha come compito solamente quello di aiutare i gameti a sormontare quella barriera.

GIUDIZIO ETICO SULLE DIVERSE TECNICHE

Fatte queste riflessioni possiamo tentare di applicare sinteticamente i criteri visti alle diverse tecniche di riproduzione assistita. Analizzeremo dunque se le diverse tecniche rispettano la vita umana, rispettano l’integrità psico-sociale del nascituro e rispettano la dignità della persona nella sua origine La classificazione nei quattro gruppi presentati nel primo paragrafo ci aiuterà a farlo brevemente.

Il primo gruppo

Non ci sono motivi per dubitare sulla liceità etica delle tecniche considerate nel primo gruppo, in quanto consistono solamente in un intervento sugli ovociti al fine di facilitare l’incontro con gli spermatozooi che sarebbero presenti a causa di un normale rapporto sessuale. In questo senso, la fecondazione avviene senza nessuna manipolazione che possa mettere la vita degli embrioni in una situazione di pericolo superiore al rischio naturale di abortività. Non vengono attuate procedure che possano mettere in pericolo l’identità  futura del nascituro. Viene rispettata la dignità della persona che ha la sua origine da un vero atto sponsale di genitori.

Il secondo gruppo

Nel secondo gruppo abbiamo considerato la Inseminazione Artificiale, nelle sue diverse possibili varianti. Il primo criterio viene qui perfettamente rispettato, in quanto la fecondazione è intracorporea, senza manipolazione degli embrioni e senza procedure che mettano in pericolo la loro vita. La tecnica include frequentemente la “preparazione” dello sperma (attraverso centrifugazione e selezione degli spermatozoi, etc.); ma si tratta solamente di cellule, non ancora di esseri umani. Il secondo criterio verrebbe rispettato solamente se si tratta di Inseminazione Omologa (IAH). Infatti, l’utilizzo del seme di un donatore estraneo alla coppia, introduce un serio fattore di rischio per l’identità personale del nascituro, in quanto si prevede la nascita di un bambino che viene privato in partenza dalla possibilità di conoscere la propria origine paterna. Per quanto riguarda il terzo criterio, bisogna considerare se la tecnica costituisce una sostituzione o una integrazione dell’atto sponsale. Nel caso in cui l’ottenimento del seme sia realizzato prescindendo dall’unione coniugale degli sposi, è evidente che si opera semplicemente una sostituzione. Il bambino non avrà la sua origine in un atto procreativo, in quel agire che è la donazione di comunione personale dei suoi genitori. Diverso è nel caso di un intervento da parte del medico che faccia seguito ad un atto sponsale, dal quale proviene lo sperma che il medico solamente preleva al fine di “spostarlo più in la” per aiutare a sormontare la “barriera patologica” esistente. In questo caso possiamo considerare la tecnica come integrativa dell’atto sponsale. Quel bambino proviene nella sua esistenza da un atto di amore dei suoi genitori, i quali posero le condizioni di una possibile procreazione.  L’Inseminazione Artificiale è dunque eticamente accettabile se è omologa e si pone come aiuto di completamento di un atto sponsale, dal quale viene prelevato il seme. Per sottolineare come si tratti solo di un aiuto, possiamo denominare questa pratica “Inseminazione Artificiale Impropriamente detta”.

Il terzo gruppo

Le tecniche considerate nel terzo gruppo presentano maggiori difficoltà dal punto di vista etico. Ci riferiamo soprattutto alla GIFT, che è la tecnica più utilizzata e più discussa tra quelle del gruppo.
Da una parte, alcuni studi statistici hanno evidenziato un maggior indice di abortività a seguito dell’utilizzo della GIFT, rispetto all’abortività spontanea naturale. Questo (insieme alla incidenza di gravidanze ectopiche e di gravidanze multipli che possono indurre a praticare la “riduzione fetale”) pone un serio problema etica in relazione col nostro primo criterio. C’è da dire però che negli ultimi anni si sono fatti seri sforzi per migliorare la tecnica e diminuire notevolmente queste incidenze negative. Secondo alcuni ci troveremmo in una situazione di rischio poco superiore a quello naturale, un rischio “accettabile”.
Per il secondo criterio vale quanto detto a proposito della IA. Qui la possibilità di “eterogeneità” include non solo l’utilizzo di sperma da donatore, ma anche di ovociti donati. Bisogna considerare che di solito la tecnica viene utilizzata come alternativa eticamente accettabile FIVET, e proprio per questo generalmente si evita la procedura eterologa. Ci sono dei casi in cui, però, si è utilizzato il seme di donatori. Questo sarebbe, dunque, un aspetto da considerare concretamente quando si analizza l’utilizzo della tecnica in una determinata struttura clinica.  Più controverso si presenta il giudizio riguardo al terzo criterio. È chiaro che “di fatto risulta facile che nella pratica possano non essere osservate le indicazioni date dalla Istruzione [Donum Vitae] affinché si possa parlare di semplice aiuto alla procreazione, per cui la procedura potrebbe facilmente sfociare in una vera e propria sostituzione dell’atto coniugale”. Alcune equipe hanno descritto la loro applicazione della tecnica specificando che l’ottenimento del seme veniva fatto attraverso la masturbazione. In questo caso, come si diceva per la IA, si tratterebbe di una sostituzione dell’atto sponsale. Il problema però non è se si può agire senza osservare le indicazioni… ma se nel caso in cui vengano davvero osservate si può parlare di integrazione. Ci sono infatti delle equipe che, volendo appunto rispettare questo criterio etico, applicano la tecnica con l’intenzionalità esplicita di completare solamente l’unione coniugale degli sposi, prelevando per questo il seme da quell’unione. Secondo alcuni autori, anche in questo caso la tecnica sarebbe sostitutiva. Secondo altri, se si adempie questa condizione l’azione del tecnico sarebbe solamente integrativa dell’atto sponsale. È ancora vivace la discussione tra coloro che concordano condividono il criterio etico in questione.  Evidentemente, non basta arguire che si tratta di una fecondazione “intracorporea”. Questo dato è importante, come vedremo tra poco parlando della FIVET, ma non determina di per se che la tecnica non sia sostitutiva. Bisognerebbe piuttosto fare una riflessione accurata sul significato antropologico insito nel dinamismo della tecnica.  Non posso avere la pretensione di risolvere qui il problema, che tra l’altro ci porterebbe molto lontano nelle nostre riflessioni. Esprimo unicamente il mio parere: considero che molte delle ragioni presentate per dire che la GIFT è una tecnica sostitutiva non sono valide, e che può essere vista come un’integrazione dell’atto coniugale (se si rispettano le condizioni ricordate sopra).  Credo infatti che l’operato del tecnico si pone in relazione all’atto coniugale, il quale pone in moto il dinamismo della fecondazione. È vero che si tratta di due atti diversi; ma appunto uno di essi si pone solo come completamento medico dell’altro, che è l’atto umano che pone le condizioni della procreazione: se non ci fosse quell’atto coniugale non ci sarebbe possibilità di fecondazione; mentre invece ci potrebbe essere fecondazione a causa di quell’atto a prescindere dell’aiuto dei medici (come di fatto succede qualche volta). E questo risponderebbe anche forse a l’obiezione secondo la quale il rapporto sessuale dei coniugi non sarebbe finalizzato alla fecondazione ma solamente alla deposizione dello sperma affinché sia trasferito ulteriormente nelle tube dal tecnico. Credo che in realtà si può vedere il loro atto come un atto di amore sponsale che viene realizzato nella speranza della procreazione, aperto già in modo naturale ad essa, con l’intenzione di ricorrere poi all’aiuto del tecnico per sormontare quella barriera patologica che impedisce che il loro rapporto ponga le condizioni della fecondazione.  Se questo forse così e se veramente si potesse garantire l’applicazione della tecnica senza un rischio elevato di abortività, forse il giudizio etico potrebbe essere favorevole. In attesa di una maggiore chiarificazione dottrinale, penso che si potrebbe applicare in questo caso il “probabilismo”, essendoci ragioni serie per pensare che si tratti di una tecnica eticamente accettabile, da utilizzare per un motivo importane, come è quello del desiderio di un figlio da parte di una coppia sterile. Lo stesso varrebbe per le altre tecniche incluse nel terzo gruppo.

Il quarto gruppo

Nell’ultimo gruppo abbiamo considerato le tecniche nelle quali si determina la fecondazione extracorporea, ad opera dei tecnici. Parliamo qui soprattutto della FIVET.  Se consideriamo il primo dei nostri criteri etici, dobbiamo costatare che questa tecnica non rispetta la vita umana, presente già negli embrioni. Basti pensare che, secondo i dati statistici, la media di fecondazione degli ovuli in vitro è del 90%, mentre quella delle nascite scende al 6,7%. Ciò significa che c’è una enorme perdita di individui umani che una volta prodotti in vitro non arrivano a “vedere la luce”. Bisogna sottolineare che non si tratta solamente di “incidenti di percorso”. In realtà normalmente vengono prodotti più embrioni in un solo tentativo, con lo scopo di introdurre in utero 3 o 4 (attualmente sembra si discute sull’opportunità di introdurre 2 o 3). È possibile che più di uno attecchisca nell’endometrio, ma il tentativo è quello di introdurli affinché uno possa annidare e sopravvivere; ciò significa che si pone questi piccoli individui umano in serio pericolo di morte allo scopo di ottenere il bambino desiderato.  C’è poi da considerare la pratica frequente della produzione di embrioni in “surplus”, cioè non immediatamente destinati all’introduzione nell’utero, ma congelati per un uso futuro. Il caso dei 52.000 embrioni attualmente immagazzinati nei “campi di congelamento” dell’Inghilterra (e molti ancora in altri paesi) parla per se stesso.  Il secondo criterio dovrebbe essere applicato a tutte quelle procedure che frequentemente vengono attuate nell’applicazione della FIVET: pratiche eterologhe, con donazione di sperma, di ovuli, di embrioni; maternità surrogata, con prestito o affitto dell’utero, etc. Tutte queste procedure pongono delle condizioni di serio rischio per l’integrità psico-sociale del nascituro, commettendo un’ingiustizia nei riguardi di un futuro essere umano.  Alcune di queste procedure sono anche praticate con le tecniche considerate nei gruppi due e tre. Nella Fecondazione in vitro si aggiunge il fatto che l’essere umano viene prodotto in laboratorio da parte dei tecnici; questo potrebbe influenzare anche sul senso della propria identità e dunque sull’equilibrio psico-sociale del nascituro.  A questo fatto si riferisce più specificamente il terzo criterio etico, che qui viene evidentemente negato. Le considerazioni fatte nel presentare il criterio ci risparmiano ora un’ulteriore spiegazione. Ci possiamo dunque limitare alla constatazione che nel caso della FIVET  la tecnica non può essere considerata integrativa dell’atto sponsale, ma è prettamente sostitutiva.  Di fatto, che io sappia, non si realizza mai ottenendo il seme a partire dall’unione coniugale degli sposi (tra l’altro perché chi opera questa tecnica non si preoccupa di queste “sottigliezze”). Ma anche nel caso si facesse così, non si può parlare di completamento dell’atto sponsale. Nella FIVE, infatti, l’esistenza stessa del nuovo essere umano è totalmente dovuta all’operazione realizzata dai tecnici. La sua vita ha inizio nel terreno di coltura preparato da loro, e, soprattutto, a causa della loro azione tecnica.

Siamo qui davanti alla logica della “produzione”, non della “procreazione”. Il tecnico ha bisogno unicamente di un materiale biologico adatto alla produzione. Se questo lo può ricavare dai futuri genitori, bene; altrimenti ricorre alle cellule fornite da un donatore, o da una banca di cellule germinative. Se la gestazione può  avvenire nel seno della futura madre, bene; altrimenti si ricorre all’utero di un’altra donna. Se un giorno, per ipotesi, si potesse sintetizzare totalmente in laboratorio il materiale biologico occorrente e si potesse compiere la gestazione in un utero artificiale, non servirebbe per niente il ricorso alle figure dei genitori. Si potrebbero produrre embrioni a richiesta o in serie. In realtà, se guardiamo bene, è quanto si sta facendo già oggi. C’è dietro la stessa mentalità: la logica della produzione. Questo è ancora più evidente nella pratica attuale della “microiniezione”, colla quale il tecnico sceglie lui uno spermatozoo determinato (o addirittura solamente il nucleo dello spermatite, prima della sua maturazione come cellula fecondante) e lo introduce, lui, nell’ovocita.  Nella FIVET la persona umana è originata dal fare dei tecnici, non dall’agire dei propri genitori. È determinata nel suo esistere dal operazione che quelle persone realizzano con questo scopo e finché non raggiungono questo scopo. Il nuovo embrione è il prodotto del loro fare. E dal momento in cui lo hanno fatto, è di fatto a loro disposizione. Loro dovranno decidere “che farne”: se introdurlo in utero, o eliminarlo, o donarlo,  o congelarlo, o utilizzarlo per la sperimentazione. È un prodotto che appartiene a loro. O meglio, come nel caso della produzione di un prodotto “per incarico”, appartiene a chi ne ha fatto richiesta: loro, i tecnici, lo hanno già venduto in anticipo. Questo dare origine a una persona umana, non da una donazione personale nella comunione coniugale, ma da un fare che è il fare della produzione, è indegno della persona che viene fatta esistere. Queste tecniche non debbono di fatto essere chiamate “riproduzione assistita”, ma “riproduzione sostituita”

Conclusione
Come dicevo all’inizio, bisogna evitare una posizione di esclusione pregiudiziale di ogni intervento tecnico con lo scopo di aiutare una coppia sterile ad avere un figlio. Questo desiderio giusto e nobile esige dalla medicina una seria attenzione e dedizione. Ma, come in ogni azione umana, e concretamente, in ogni applicazione della scienza e della tecnica, è responsabilità nostra considerare le conseguenze e i significati del nostro operare, per agire sempre nel rispetto di ogni essere umano, soprattutto nel rispetto di colui o coloro che possono soffrirne le conseguenze. E questo sia riguardo alle persone già esistenti, sia riguardo al fatto stesso di dare a una persona l’esistenza. I criteri etici presentati possono aiutarci a discernere tra le diverse tecniche di riproduzione assistita quelle che rispettano la persona umana: la sua vita. la sua integrità psico-sociale, e la dignità della sua origine, da quelle che non la rispettano.   Il problema però non sta tanto nel fatto che non siano i genitori a farlo (anche se questa separazione è di per se significativa). Immaginiamo una situazione (ipotesi se si vuole assurda, ma utile a capire meglio) nella quale fosse tanto progredita la tecnica, che una coppia di sposi potesse acquistare un “kit fai da te” per la Fecondazione in Vitro. Che fossero gli sposi a produrre, aiutati da un buon istruttivo, il loro figlio. Si tratterebbe comunque di un fare, della produzione di un essere umano, non dell’agire nel dono di comunione personale che pone solo le condizioni di possibilità di ricevere il dono del figlio.

Gonzalo Miranda, L.C. Centro di Bioetica dell’Università Cattolica
Decano Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum – Roma

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