Non riusciamo più a far bambini

In Italia cinquantamila coppie ogni anno, per  infertilità, sterilità o per difficoltà ad avere figli si rivolgano ai consulenti medici. Sono circa 15000 le coppie che in un anno ricorrono alla fecondazione assistita. E’ un problema di dimensioni sociali che, oltre alla valenza sanitaria ne ha molte altre che sono di ordine psicologico, familiare, personale e relazionale.

La popolazione del globo è aumentata, dal 1950 a oggi, da 2,5 miliardi a 6,3 miliardi e si calcola che tra 25 anni si toccheranno gli 8,5 miliardi. Si può parlare lo stesso di calo della fertilità? No di certo se si considera il mondo nella sua totalità. Sì, invece, se si considerano i tassi di natalità in alcune sue aree.

La sterilità, infatti, sta diventando un problema di sempre più vaste proporzioni nei Paesi industrializzati, un problema che, anche in Italia, coinvolge decine di migliaia di persone. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima intorno al 15-20% le coppie con problemi di fertilità nel mondo occidentale. In più la decisione di ritardare l’età nella quale avere un figlio porta spesso a cercarlo dopo i 30 anni, quando la capacità riproduttiva è in calo ed è anche più difficile da curare: la fecondità umana, infatti, tocca la sua punta massima (del 25%) nel periodo che va dai 15 ai 30 anni, per poi scendere al 12% a 35 anni e al 4% a 40 anni. Di fronte ai cambiamenti culturali che hanno portato molte coppie a contare sulla possibilità di avere un figlio in tarda età non resta pertanto che la procreazione medicalmente assistita.

Per Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) si intende una serie di metodi finalizzati a superare eventuali condizioni che ostacolino completamente o parzialmente la possibilità di concepire in modo naturale.

In Italia si stima che cinquantamila coppie ogni anno, per problemi di infertilità o di sterilità o, in genere, per difficoltà ad avere figli si rivolgano ai consulenti medici. Sono circa 15000, poi, le coppie che in un anno si rivolgono alla fecondazione assistita. Si tratta quindi di un problema di dimensioni sociali che oltre alla valenza sanitaria ne possiede altre di ordine psicologico, familiare, personale e relazionale.

Il primo metodo di concepimento assistito messo a punto per la coppia sterile è stata la FIVET (fertilizzazione in vitro e trasferimento in utero di embrioni) che, nel 1978, ha permesso la nascita della prima bambina al mondo concepita in vitro. La FIVET può essere eseguita con seme omologo del partner o con seme di un donatore, qualora il liquido seminale del partner presenti parametri nettamente al di sotto dei valori normali, e consiste nel prelievo degli ovociti, seguito dalla loro fecondazione extracorporea e dal successivo trasferimento degli embrioni sviluppatisi in vitro (cioè in laboratorio) all’interno dell’utero materno.

Nel corso degli anni, da questo primo metodo sono state messe a punto alcune varianti che hanno permesso di aumentare l’efficacia della PMA.

La prima gravidanza del 1978 fu ottenuta in un ciclo spontaneo, prelevando cioè l’unico ovocita presente normalmente nel ciclo ovulatorio della donna e trasferendo quindi un unico embrione. Fin dall’inizio degli anni Ottanta fu però chiaramente dimostrato che l’efficacia della FIVET aumentava qualora la paziente venisse stimolata con farmaci induttori dell’ovulazione per  prelevare più ovociti e trasferire così 3-4 embrioni all’interno dell’utero nello stesso ciclo. La prima gravidanza ottenuta in un ciclo superstimolato risale al 1980, e da allora l’induzione multipla è divenuta una tappa fondamentale dei cicli di Procreazione Medicalmente Assistita.

In seguito alla “superovulazione”, il numero di embrioni sviluppatisi in vitro può superare il numero ottimale di embrioni da trasferire. La possibilità di conservare embrioni in eccesso attraverso un congelamento in azoto liquido permette di poterli trasferire all’interno dell’apparato genitale in un tempo successivo senza dover affrontare tutte le tappe di un nuovo ciclo. La prima gravidanza ottenuta con questa metodica risale al 1982, e da allora la crioconservazione di embrioni in eccesso è divenuta una pratica normalissima per tutti i Centri di Medicina della Riproduzione.

La fecondazione in vitro di ovociti umani ha reso possibile la donazione di queste cellule da una donna all’altra. Questo metodo ha aperto una possibilità di gravidanza a tutte quelle pazienti che, pur possedendo un utero integro, non sono in grado di fornire i propri ovociti per il concepimento: donne che entrano precocemente in menopausa, donne le cui ovaie sono state asportate chirurgicamente o non sono più funzionanti a causa di terapie antitumorali.

Dal 10/3/2004 l’entrata in vigore della legge 40/2004 ha vietato, in Italia, l’applicazione della crioconservazione di embrioni, la creazione di più di tre embrioni, la donazione di ovociti e la donazione di spermatozoi.

Da quel momento si è registrata non solo una riduzione dei cicli di fecondazione assistita effettuati in un anno, ma anche una diminuzione dei casi in cui tali trattamenti hanno avuto successo. E’ quanto emerge dai dati forniti il 13 maggio 2005 nel convegno sul tema svoltosi a Roma su iniziativa di varie associazioni, fra cui Amica Cicogna e Cerco un Bimbo.

“Se nel 2002 i cicli terapeutici effettuati in un anno erano 1400”, ha rilevato Luca Gianaroli della Società italiana studi su medicina e riproduzione, “quelli del 2004 sono scesi a 1100”.

Quanto al successo di tali cicli, rapportato alla fascia di età delle donne che vi si sottopongono, l’analisi ha riguardato i dati raccolti tra il 1998 e il 2003 rapportati a quelli del 2004. “Per le mamme tra i 30 e i 34 anni le percentuali di successo”, ha precisato ancora Gianaroli, “sono passate dal 38,7% al 30,5%. Le più penalizzate sono state le donne meno giovani, con una diminuzione dal 35,2% al 22,4% per quelle tra i 35 e i 37 anni, e dal 24 al 14% per quelle tra i 38 e 43 anni”.

La diminuzione complessiva delle probabilità di successo, ha stimato da parte sua il ginecologo Domenico Danza (“padre” nel 1984 del terzo bambino nato con la fecondazione assistita in Italia) è del 20-25% circa. “E’ tutta la legge 40 che non va”, ha rilevato Danza, “dall’intento di regolare con principi morali aspetti scientifici non standardizzabili per legge all’obbligo imposto al medico di seguire un’unica cura per tutti i casi, quando invece ci sono vari tipi di sterilità che vanno curati in modo diverso. E’ come voler intervenire con due aspirine sull’influenza come sul tumore’”.

Quanto al numero di centri per la procreazione assistita in Italia, “al febbraio 2005”, ha detto la ricercatrice Giulia Scaravelli, “ne esistevano 326, 104 dei quali di primo livello, cioè attrezzati per l’inseminazione artificiale con seme omologo fresco. Il Nord, dove viene praticato il 45% degli interventi, ne conta 145; il Sud e le isole ne hanno 108 e il Centro 73. Le regioni con il maggior numero di centri sono la Lombardia (33), il Lazio (32), la Campania (24) e la Sicilia (22) e la Puglia (21); le città sono Roma (28), Milano (21), Napoli (11), Palermo (12) e Bari (10).

Predominano nell’insieme le strutture private, soprattutto al Sud (70%) e al Centro (68,5%), mentre al Nord la situazione è disomogenea: nella parte orientale vi e’ un leggero vantaggio delle strutture private (54,5%), mentre nel Nord Ovest prevalgono anche se di poco i centri pubblici (51,1%)”.

A livello internazionale, i cicli di fecondazione assistita eseguiti nel 2004 erano saliti a 525 mila, rispetto ai 250 mila del 1998, dando luogo a circa 150 mila gravidanze. “Come dire”, ha rilevato Anna Pia Ferrarrotti del Registro europeo per la procreazione assistita, “che nel 2004 ogni giorno sono nati circa 600 bambini proprio grazie a questa pratica. Ma se si considera tutto l’arco di tempo in cui è stato possibile accedere a queste tecniche, a partire dal 1978, si calcola che queste abbiano dato luogo a quasi 2 milioni di nuove nascite”.

Martina Seleni.

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