L’ esperienza del morire

Parlare dell’assistenza al malato terminale significa accompagnare una persona in un cammino di condivisione del suo dolore e della sua sofferenza verso il termine della sua vita terrena.

Accompagnare qualcuno però non vuol dire precederlo, indicargli la strada, imporgli un itinerario, e neppure conoscere la direzione che egli sta per prendere, ma piuttosto camminare al suo fianco, lasciandolo libero di scegliere la sua strada e il ritmo del suo passo (Schotmans, 1990).

Un cammino che è spesso descritto come una “situazione senza speranza”, eppure è una situazione nella quale è necessario mantenere un delicato equilibrio fra una realistica speranza ed una accettazione dell’inevitabile (Lugton, 1989).

Un cammino che può essere incerto, lungo, caratterizzato da dubbi, da rifiuti, da momenti in cui si segna il passo o si torna indietro, e nel quale il malato grave deve affrontare una dura fatica: deve distaccarsi da tutto ciò cui si è legato durante la vita, deve elaborare il suo lutto (Verspieren, 1985). Il malato, però, deve confrontarsi con gli interrogativi più gravi proprio nel momento in cui la struttura intellettuale e spirituale può vacillare.

Si tratta allora di aiutare il malato e i suoi famigliari a reagire all’esperienza della  malattia attraverso la ricerca di un significato nell’esperienza. Quel significato che già orienta i valori personali e la scelta etica nella vita “in salute”, e la cui ricerca aumenta la sua importanza di fronte ad una malattia pericolosa per la vita (Shally, Fish, 1988). In una prima approssimazione si può dire che il bisogno psicologico e spirituale  può concretizzarsi nella necessità di dare e ricevere amore, nello  sperimentare la speranza, e nel dare un significato alla vita, alla malattia ed alla morte (Forbis, 1988), in una situazione ove fattori quali dolore, ridotta autostima, isolamento, impotenza, disperazione, collera, possono influenzare la capacità di una persona di affermare il valore del momento che sta vivendo.

Occorre ancora sottolineare che  per assistere efficacemente un morente, si deve essere primariamente preparati a confrontarsi con il significato del proprio morire e della propria morte; solo se si è elaborato personalmente questo significato, si può sperare di essere di aiuto e di supporto a quelli che si trovano nella “valle della morte” (Autton, 1981).

Questa relazione di aiuto inoltre dovrebbe essere iniziata già nel tempo, poichè “uno straniero che arriva sulla scena dei momenti finali della malattia, può essere non solo disturbante ma distruttivo della pace mentale del morente” (Autton 1981).

Questo approccio olistico tiene conto che la persona umana ha tre bisogni fondamentali, che non sono in ordine gerarchico nè separati l’uno dall’altro, ma in stretta relazione secondo i diversi gradi e le modalità di comportamento (Missinne, 1990):

ë             un bisogno di scambio biofisico: Le persone hanno bisogno di aria, cibo, acqua e le loro possibilità dipendono già da un coerente appagamento  di questo interscambio: non si sarà capaci di essere se stessi con una scarsa nutrizione o una eccessiva libagione, se si è troppo stanchi o troppo malati. Questo scambio biofisico significa anche il bisogno di incontrare l’altro, poichè l’esperienza della presenza dell’altro aiuta ad essere se stessi e a affermare il senso della propria esistenza;

ë             un bisogno di scambio psicosociale: dare se stesso agli altri attraverso il lavoro e l’amore è la necessità di ogni persona. E’ col dare che ci si mantiene in se stessi psicosocialmente attivi, è col sentirsi amati che si acquista confidenza in se stessi per dare di più agli altri. Se le persone non lavorano o non possono più lavorare, per malattia o per handicap, devono essere capaci di sostituire la loro vita di lavoro con un maggior grado di amore, e questo in tutte le fasi dello sviluppo umano;

ë             un bisogno di scambio spirituale: si ha bisogno di comprendere e sentire l’esistenza umana attraverso una interazione e uno scambio che va oltre le realtà  biofisiche e psicosociali. Si ha bisogno di comprendere e sentire integrata la propria esistenza in un ordine assoluto, che potrà essere la propria coscienza, Dio, la natura, ecc.

In sintesi,”salvare la propria anima” o “costituire un anello dell’evoluzione” possono rappresentare, agli antipodi, le due espressioni limite di questo bisogno di scambio spirituale.

Ma parlare degli obiettivi di cura deve anche significare chiedersi se e come può essere valutato il loro raggiungimento, anche nell’ambito di una assistenza spirituale.

 

Prof. Massimo Petrini
Università Cattolica del Sacro Cuore Roma

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