I nostri bambini sono bambini poveri?

“Proteggere i bambini dai più crudeli effetti della povertà negli anni della loro crescita e formazione è sia l’elemento caratterizzante di una società civilizzata, sia un modo per far fronte ad alcuni degli evidenti problemi che influenzano la qualità della vita nei paesi economicamente sviluppati.”

La classifica delle povertà infantile mette l’Italia al terz’ultimo posto della classifica sulle povertà infantili, dopo gli Stati Uniti e il Messico.

In questo caso, superare degli Stati Uniti, risulta essere un indicatore di cui non si può essere fieri. Non solo, ma l’Italia ha il più alto tasso di povertà in Europa.

Il Centro di Ricerca di Firenze dell’UNICEF, ha appena presentato il sesta rapporto sulle povertà dei bambini nei paesi economicamente sviluppati.

 I paesi rientranti nella ricerca non sono solo paesi Europei ma paesi ricchi dell’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.

Questa raggruppa i paesi industriali con economie di mercato. La maggior parte dei quali ha raggiunto una copertura quasi universale dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione dei bambini.

Le percentuali sono state misurate in base alla povertà “relativa”, definita come famiglie con un reddito inferiore al 50% del reddito medio nazionale.

 La classifica pone ai primi posti la Danimarca 2.4%, la Finlandia 2.8%, la Norvegia 3.4% la Svezia 4.2%; seguono poi la Svizzera 6.8% a pari merito con la Repubblica Ceca, la Francia 7.5%, il Belgio 7.7%, l’Ungheria 8.8%, il Lussemburgo 9.1%, i Paesi Bassi 9.8%. Superano la soglia del 10 % la Germania, l’Austria, la Grecia, la Polonia, la Spagna, il Giappone, l’Australia, il Canada, Il Regno Unito, il Portogallo, l’Irlanda, la Nuova Zelanda e l’Italia con il 16.6%. Gli Stati Uniti con il 21.9% e il Messico con il 27.7% si collocano all’ultimo posto.

Come viene misurato il grado di povertà? I livelli di povertà di un paese sono il prodotto di un’interazione complessa e talora difficile da prevedere tra politiche pubbliche, sforzi delle famiglie, condizioni del mercato del lavoro e le più vaste forze dei mutamenti sociali.

 Nel nostro paese questi indicatori stanno vivendo un periodi di difficoltà e transizione in diversi sensi.

Come si denota dalle innumerevoli testimonianze reali e dalle notizie dei mass media, le politiche sociali hanno ridotto al minimo sia le risorse economiche che umani e le famiglie hanno grosse difficoltà nel gestire il menage famigliare per innumerevoli cause.

Gli stipendi non garantiscono neanche la possibilità di sbarcare il lunario. L’aumento dei costi di beni essenziali e di servizi costringe sia la mamma che il papà a lavorare.

Il tempo che si dedica alla relazioni con i figli, di conseguenza viene sfavorito. Poi si generano una serie di difficoltà: l’aumento delle ore che un bimbo passa davanti alla televisione o al computer, la mancanza di dialogo tra genitori e figli, il non dialogo perché non si è più abituati a parlare di noi dei nostri problemi.

Purtroppo chi pagano le conseguenze sono sempre loro, i nostri bambini, che per i “nostri sbagli”, devono essere privati di risorse essenziali per la loro educazione proprio durante o sviluppo psicofisico e sociale, fondamentale per un equilibrato crescere e sviluppo.

Infatti risulta fondamentale riconoscere che la riduzione della povertà infantile è anche una misura del progresso verso la coesione sociale, l’uguaglianza di opportunità e un investimento sui bambini di oggi e sul mondo di domani.

 

Ivana Milic (Presidente @uxilia)

Rispondi