E se usassimo le leggi che abbiamo?

L’intervento di Renata Brovedani (presidente Commissione regionale Pari Opportunità):
“La migliore legge di questo mondo non è in grado di ingenerare comportamenti
virtuosi e lo si è visto per molti dispositivi, rimasti inapplicati o sottoutilizzati. La legge 53/2000, ad esempio, è un buon strumento.
Ma viene utilizzata solo dalla madre 

Come prima raccomandazione credo che, quando si affronta un tema delicato come la famiglia, si debba adottare la massima cautela, per non rischiare di risultare invasivi in una realtà così delicata e fragile.  In questo convegno stiamo affrontando proprio un argomento critico: l’affidamento “condiviso”. Devo premettere che sono perplessa per quanto ho sentito, sia per alcuni articoli della pdl 66 che per le argomentazioni che la sostengono.

La migliore legge di questo mondo non è in grado di ingenerare comportamenti virtuosi;  lo si è visto per molti dispositivi, rimasti inapplicati o sottoutilizzati. Mi riferisco ad esempio alla legge 8 marzo 2000, n. 53 e al DLgs applicativo 26.03.2001 n. 151. Si tratta di una buona legge, riguardante la famiglia, i suoi tempi, la conciliazione tra lavoro di cura e lavoro esterno, i congedi di paternità, quelli parentali, l’estensione dei benefici ai genitori adottivi o affidatari.. E’ una norma che amplia e perfeziona strumenti legislativi  già esistenti in precedenza, tutti  miranti ad un importante obiettivo: il benessere psico-fisico dei componenti il nucleo familiare.

Ebbene: essa viene utilizzata in gran parte da un solo genitore, la madre. Le statistiche e la pratica quotidiana ci dicono che la quota percentuale di padri che utilizzano questi istituti   è una delle più basse d’Europa, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare all’atto della sua approvazione, quando fu  accolta con grande favore  dalle donne, che vi vedevano nuove garanzie di affiancamento da parte dei padri nel difficile compito della crescita ed educazione dei figli. La consapevolezza di questa “assenza” ha indotto l’Unione europea ad emettere di recente bandi per progetti finalizzati alla conciliazione del tempo di lavoro e tempo di cura a beneficio dei padri.

Un elemento indispensabile nel processo di educazione dei figli è infatti la disponibilità di tempo,  che non si può contrarre, né dilazionare; la presenza dei genitori accanto ai figli deve essere costante, non episodica o frammentaria.

L’utilizzo da parte dei padri degli istituti della 53/00, così come di altre possibilità di legge ( il part time per esempio )  sarebbe la miglior prova di un reale  cambiamento culturale in atto, e cioè di una diffusa e generale tendenza verso la collaborazione e la condivisione della genitorialità, fondate su gesti concreti e durevoli nel tempo.

Così non è; e questo motiva la mia perplessità di fronte all’ipotesi che basti un participio, il “condiviso” del titolo della proposta, a trasformare virtuosamente atteggiamenti e tradizioni della totalità dei genitori in via di separazione. Perché qui si profila non una possibilità, già oggi in mano al Tribunale per i casi di accertata sofferenza ( vedi la modifica intervenuta nel 1987 alla legge 898 del 1.12.1970 sul divorzio )  ma un obbligo, che riguarderà indistintamente  tutte le coppie di separandi o divorziandi; i figli saranno affidati ad entrambi, come se la separazione non ci fosse.

Un simile dispositivo prevede genitori ragionevoli, disposti ad accantonare tutte le divergenze in corso per assumere atteggiamenti di collaborazione responsabile, in vista del bene dei figli.  Ma è come se, all’atto della separazione, si chiedesse a due esseri in conflitto di diventare, in virtù della legge,  responsabili e consensuali.

E’ vero che due coniugi in dissidio non per questo sono cattivi genitori; che due genitori che non si amino più non significa che non amino i figli. Già adesso le separazioni consensuali sono il 76%; ciò significa che qui l’affidamento congiunto potrebbe funzionare.

Ma che ne sarebbe del restante percento, che invece sceglie  di adire alle vie legali per la risoluzione del rapporto? Quali occasioni di conflitto, di ritorsione e di ricatto in più rispetto a quanto già avviene,  si potrebbero creare? Per queste coppie l’affidamento condiviso potrebbe costituire un ulteriore motivo di contrasto e generare sofferenze in più per i figli.

La responsabilizzazione, per funzionare davvero, non può avvenire per legge, deve essere costruita prima, con assunzione reciproca di rispetto verso l’altro, di riconoscimento delle differenze, di senso del proprio limite e della propria parzialità, di attenzione verso le esigenze altrui.

Solo così potrebbe esserci coerenza tra una genitorialità quotidianamente vissuta da entrambi ed un affidamento congiunto dei figli in caso di conclusione della vita di coppia.  E’ un processo lungo, che richiede crescita  culturale in tutta la società e tempi di maturazione più solidi ; per adesso non se ne vedono segnali diffusi ed affidabili.

Uno degli elementi qualificanti della nuova legge riguarda gli aspetti economici, che sarebbero equamente divisi tra i partner; si parla infatti di mantenimento diretto per capitoli di spesa. Anche qui esprimo perplessità: già adesso sorgono contenziosi legati al mancato versamento dell’assegno di mantenimento ed a inadempienze varie; la nuova legge potrebbe indurre situazioni più gravi, stante la situazione economica delle donne, che tutte le statistiche danno come inferiore a quella dei maschi.

Un recente convegno promosso ad Udine da parte della Facoltà di Economia di quella Università ha messo in luce le percentuali di inferiorità nello stipendio delle lavoratrici rispetto ai lavoratori: si parla di un 25% di salario  in meno a parità di prestazioni. Altre fonti salgono addirittura al 30 %.

Il dato è stato confermato recentemente dalla ministra per le pari opportunità  e la stessa Mary Ann Glendon, inviata alla Conferenza dell’ONU sulle donne  a New York nella delegazione della  Santa sede, nel suo intervento il 7 marzo u.s., dopo aver  tracciato un bilancio negativo dei risultati della conferenza di Pechino, ha mostrato che la povertà nel mondo continua a pesare più sulle donne che sugli uomini; e che questo vale anche nei paesi ricchi, dove “c’è una forte correlazione tra la disgregazione delle famiglie e la femminilizzazione della povertà”.

Questa circostanza deve far riflettere, perché se l’obiettivo della proposta di legge 66 è la tutela dei figli ed il mantenimento dei loro  livelli di benessere e della qualità dello stile di vita anche dopo la separazione, bisogna evitare di danneggiare il coniuge economicamente più debole e non caricarlo di pesi insostenibili.

In conclusione: l’affidamento condiviso è la prassi cui tendenzialmente vogliamo arrivare; la bigenitorialità deve però iniziare al momento della nascita di ogni figlio/a e sostanziarsi giorno dopo giorno nella relazione di cura e affetti condivisi.

Renata Brovedani (Presidente Commissione Regionale Pari Opportunità)

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