Che errore imporre un modello

L’intervento di Arrigo De Pauli (magistrato):“Meglio due genitori che uno, ovvio, ma l’affidamento condiviso funziona bene in poche isole felici perché non basta ricorrere ad uno strumento normativo spesso carente ed ingenuo”

Non sembra che il quadro attuale offra soluzioni coerenti a problemi il cui rilievo è indubbiamente avvertito. In particolare tutti concordano agevolmente sulla necessità che i figli possano rapportarsi, sia nella prima età che nella fase adolescenziale, ad entrambe le figure dei genitori.

Il modello naturale propone peraltro una coppia di soggetti di sesso diverso che al concepimento facciano seguire una stabilità affettiva ed una condivisione nell’allevamento, mantenimento ed educazione dei figli.

Senza scomodare la psicanalisi, dovrà convenirsi che, almeno tendenzialmente, godere di due genitori in ambiente ad affettività stabile sia preferibile alla situazione del figlio che si confronti con uno solo in condizioni di precarietà affettiva.

La candida ovvietà della proposizione perde le sue connotazioni di banalità se si pone mente alle emergenze di segno francamente opposto che dobbiamo registrare, in un ventaglio che, fin dall’inizio della relazione significativa con l’adulto e quindi sin dagli esordi della vita cosciente del figlio, propone modelli monogenitoriali, eterofecondazioni, adozione da parte di single o di coppie omosessuali.

Forse per reazione ad una comprensibile frustrazione, si pensa di individuare rimedi e reazioni con il ricorso allo strumento normativo, attribuendogli funzioni (e responsabilità) in realtà del tutto inadeguate.

Se frange agguerrite e rumorose (ma non per questo meno minoritarie) del comune sentire rivendicano il diritto alla maternità della donna non legata stabilmente ad alcuno e quella della generazionalità delle coppie fisiologicamente a ciò impossibilitate per come si propongono, non resterebbe quindi che ricorrere alla norma giuridica (certamente adatta a regolare condotte ma altrettanto certamente incongrua nel dettare sentimenti) per recuperare la possibilità di offrire ad un figlio la sua diade.

Lo si fa nell’ingenuo auspicio che ciò possa garantirsi proprio ai figli della famiglia in crisi, dove il rischio di  litigiosità risulta elevatissimo in funzione di un grado di rancorosità massima allorché all’emozione dei sentimenti positivi si sostituisce la bufera di quelli negativi.

Ciò spiega perché nubi piuttosto oscure si addensano all’orizzonte per l’elaborazione di progetti di legge ormai avanzati incidenti in maniera più che significativa sul tasto dolente della sorte dei figli nella crisi familiare. In particolare  (e pur essersi liberato lungo strada da talune iniziali aporie e purgato da talune vere e proprie ingenuità)  il  progetto di legge n. 66, quanto meno nel testo recentissimamente licenziato dalla Commissione della Camera, non ha tradito la sua filosofia di fondo: condivisioni, comportamenti ed intimo sentire assunti quale effetto di imposizione normativa!

Che ciò si debba alla preoccupazione di reagire all’indubbio sfumarsi della presenza paterna, per lo più retrocessa  a condivisioni a volte artificiali e spesso non spontanee, appare innegabile; ma è del pari innegabile la perplessità suscitata da un’opzione normativa che si segnala anche per ulteriori carenze ed ingenuità.

Non si è posto del tutto rimedio alla sconcertante prolissità lessicale, con un’enunciazione ridondante di principi, in un “recitativo” barocco assai lontano dall’asciutta essenzialità della tecnica redazionale d’antan, con uno sconcertante richiamo ad una ispirazione saggistica (la relazione che accompagnava l’iniziale ddl individuava esplicitamente ed alquanto ingenuamente nell’opera “Il figlio diviso” la sua base) .

Come accennato, la filosofia d’assieme, pur dettata da commendevoli esigenze di tutela dei figli dei separati , sembra inoltre ispirarsi, forte di esperienze internazionali diffuse , ad un interventismo esterno che trova nel momento di crisi la sua occasione per sfrenarsi, fino all’imposizione coatta di una condivisione ex lege, nell’illusione che una precettazione normativa di regole e sentimenti possa lenire se non elidere disagi e turbamenti filiali.

La mia personale esperienza familista ha reso evidente che l’affidamento congiunto costituisce in realtà eccezione in un orizzonte altrimenti connotato da elevata e rancorosa conflittualità.

Soltanto isole felici, per radicati valori etici dei protagonisti o per reciproco sopravvenuto (e disincantato) disinteresse privo di strascichi significativi sul piano emozionale, hanno reso percorribile un percorso altrimenti insidioso, in quanto implicante una frequenza di contatti possibile esca di rinnovati alterchi e dissapori.

Che tali inconvenienti siano per contro l’effetto dell’aleatorietà attuale dell’affidamento (come afferma la relazione, immemore di avere deplorato poco sopra la percentuale bulgara dei perciò prevedibilissimi affidamenti alla madre) è proposizione tutta da verificare.

Va segnalato in parallelo che il, fortunatamente naufragato, progetto di legge n. 2517 mirava invece a segnare l’eclissi dei Tribunali per i Minorenni e la rinuncia agli apporti specialistici degli esperti, addossando ed addensando esclusivamente sul giudice togato la valutazione di ogni problematica nel momento maggiormente incisivo, vale a dire quello decisionale.

Questo l’orizzonte prossimo nelle sue linee generali, mentre va sottolineato come si siano persi per strada alcune previsioni originarie, quali la valorizzazione dell’elemento procreativo rispetto a quello familiare (così la proposta di un  “nuovo” art. 147 c.c. tesa a far discendere il diritto dovere non già dal matrimonio ma dalla procreazione, mentre un articolo 155 novies c.c. parificava  la condizione del figlio di non coniugati a quella dei figli dei coniugati).

Il “nuovo” articolo 155 c.c., nell’attuale formulazione, costituisce la prima tappa di un manifesto che esplicita un insieme di valori, esigenze e progettualità, abbandonando tuttavia esercizi di lessico agghiacciante (ad es. l’originaria formulazione – fortunatamente cadutae non più presente nel testo definitivo –  prevedeva che : “analoga tutela è stabilita rispetto a tutto il resto dell’ambito parentale del minore).

L’irrinunciabile affidamento condiviso (cui si attribuisce la funzione di rimediare – in nome della bigenitorialità intesa come diritto soggettivo del minore –  alla differenziazione fra genitore del quotidiano – madre  e genitore del tempo libero – padre) costituisce un obbligo dei genitori, potendosi escludere solo in ipotesi altrimenti legittimanti provvedimenti decadenziali o limitativi della potestà genitoriale ( ex artt. 330 e 333 c.c., violazione dei doveri od abuso dei poteri inerenti la potestà ovvero condotta comunque pregiudizievole per la prole). Con il che il legislatore intende ambiziosamente passare dalla mera programmaticità alla precettività effettiva delle regole che intende imporre.

Il legislatore si esibisce nella configurazione di una serie di obblighi infungibili, imponendo per legge non soltanto condotte, ma sentimenti ed affettività, con evidenti intenti didascalici che per ingenuità normativa condurrebbero al sorriso se non evocassero oscure suggestioni da Stato etico, imponenti modelli di famiglia .

La novità maggiore è quindi la seguente: la separazione tra i genitori comporta la persistenza dell’obbligo di entrambi di occuparsi in egual misura dei figli loro comunque congiuntamente affidati.

Se l’armonia prestabilita dell’affidamento congiunto risulta in concreto turbata da persistenti disaccordi genitoriali, il giudice soccorrerà con interventi anche qualitativi  (non solo si determinerà la misura di contribuzione, ma anche le modalità della cura, istruzione ed educazione dei figli). Il tutto nella disarmante illusione disneyana che il dovere occuparsi in posizioni egalitarie non solo disinneschi il conflitto, ma apra spiragli riconciliativi tout court.

Il regime legale privilegia comunque il mantenimento diretto, con arretramento dell’assegno ad una funzione meramente perequativa in caso di sproporzione reddituale  (salvo il malinconico ripiego sul mantenimento indiretto nel caso di violazione degli obblighi in regime diretto: art. 155 – quater).  L’esplicito legislatore attribuisce inoltre dignità normativa a criteri pretori già collaudati.

Le poste economiche dovranno tenere conto (oltre che delle esigenze attuali del figlio, del tenore di vita ante atto e dei tempi di permanenza presso ciascun genitore)  della valenza dei compiti domestici e di cura assunti dai genitori medesimi(art. 155 nella sua nuova formulazione ) e del vantaggio derivante al coniuge assegnatario della casa familiare, tenuto conto dell’eventuale titolo di proprietà,  ferma una  permanenza esplicita degli obblighi di contribuzione anche a vantaggio dei figli maggiorenni, ma non ancora autosufficienti economicamente (art.155 – quinquies).

Non ci si può esimere dal segnalare come il mantenimento diretto, per la faticosa contabilità del  quotidiano che necessariamente può implicare, possa rivelarsi come moltiplicatore ed enfatizzatore di contrasti, contrattazioni ed inadempienze, con buona pace per quel poco di armonia che il minore dovrebbe attendersi.

All’invasività del giudice altra se ne affianca. Poiché il progetto di affidamento condiviso è obbligatorio, la mancanza di accordo comporta il ricorso necessitato alla mediazione di un centro pubblico o privato accreditato (art. 709 – bis c.p.c secondo disegno ), del cui intervento va prodotta idonea certificazione o comune dichiarazione.

Il Centro (non meglio identificato né quanto a struttura né quanto a professionalità) si rende onnipresente in quanto, ove i dissidi sopravvengano, può essere chiamato in causa a seguito di segnalazione del giudice alle parti, che vi consentano.

Ciò in leggera controtendenza rispetto all’azzeramento degli esperti nella composizione del Giudice della famiglia, eventualmente declassati ad ausiliari del giudice, per ciò estranei al momento decisionale, secondo progetto naufragato: art. 8 del P.L. 2517.In ogni caso – in definitiva – si richiede la redazione di un  progetto di affidamento condiviso, spontaneo ovvero con intervento del Centro in caso di disaccordo.

Va rilevato che nulla di più si dice sul Centro, sulle figure degli operatori, sui costi e su chi dovrà sostenerli (presumo gli stessi  genitori, con conseguente aggravio patrimoniale). Peraltro l’efficacia della mediazione, per generale opinione, dipende in larga parte dalla comune intenzionalità, che può completamente difettare se vi è imposizione esterna.

Il testo attuale ha fatto fortunatamente giustizia della primitiva previsione che  faceva obbligo ai genitori di dimorare in abitazioni tra loro facilmente raggiungibili (salvo, verbigrazia, motivi gravi e comprovati, clausola utile a disinnescare il servaggio della gleba implicito nella disposizione: art. 16 Cost.)  esplicitando minutamente i loro che fare?  Nel passaggio più marcatamente etico della riforma (che si rendeva peraltro conto essa stessa dell’alto tasso di utopicità, come da relazione accompagnatoria),  vincolante i genitori a confronti continui in un obbligato contesto di permanenza dei rapporti che deve comunque fare i conti con la naturalistica non ubiquità della prole.

L’art. 709 – ter si occupa di patologia, attribuendo al giudice, se sollecitato, poteri d’intervento tanto notevoli, quanto generici: potrà modificare in ogni loro aspetto i provvedimenti in vigore e, succedaneamente, ammonire o condannare ad esborsi, che potranno vedere come destinatari vuoi il  minore,  vuoi l’altro genitore, vuoi lo Stato.

Si registra pertanto il concorrere di una  pluralità di sanzioni, l’una del tutto volatile (reprimenda con presumibile eventuale minaccia di transito alle forme di maggiore afflittività), l’altra civile (così il ricorso al rimedio omnibus per tutte le stagioni, con un che di grottesco attesi i rapporti interpersonali e la assai pallida patrimonialità della maggior parte degli obblighi così sanzionati), l’altra ancora sostanzialmente amministrativa (la Cassa delle Ammende si giova dei proventi delle violazioni familiari).

Il tutto con il ribadito completamento della sanzione penale, con la novità data dalla quantificazione nell’omessa corresponsione di tre mensilità della soglia di punibilità ex art. 570 c.p.

In conclusione, la riforma dell’affidamento si segnala per rigidità normativa, concezione adultocentrica (si impongono condotte ai genitori, che devono diventare bravi perché così vuole la legge, i minori restando sullo sfondo), invasività  di giudici e mediatori, sì da suscitare problemi maggiori di quanti intende risolvere, in particolare moltiplicando le occasioni di contatto conflittuale della coppia scoppiata.

Arrigo De Pauli magistrato, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Trieste (1995-1999) e presidente del Tribunale a Gorizia (1999-2004) e a Trieste (dal 2004).

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