Le DAT: tra autodeterminazione e doveri del medico

Tra qualche giorno, dopo l’esame in Commissione, va in aula alla Camera il progetto di legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (o DAT) meglio note come testamento biologico.

Il  dibattito sul tema è molto acceso e vede contrapporsi due opposti schieramenti l’uno, di matrice cattolica, contrario al provvedimento almeno nella sua formulazione attuale e l’altro, che accomuna  ai partiti di maggioranza quelli storicamente più laici, che sostengono l’attuale testo di legge

La discussione si incentra soprattutto sull’articolo 3 della proposta di legge, secondo il quale ogni persona maggiorenne, capace di intendere e di volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi può, attraverso disposizioni anticipate di trattamento, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari. L’articolo prevede anche il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali.

Al di la delle convinzioni di ciascuno proviamo a ricostruire giuridicamente il quadro attuale per meglio comprendere la discussione in Parlamento.

testamento biologico DAT

DAT: cosa sono e cosa significa

Una dichiarazione anticipata di trattamento (o testamento biologico, o più variamente testamento di vita, direttive anticipate, volontà anticipate di trattamento) è l’espressione delle scelte di autodeterminazione che una persona, in piena capacità mentale, può anticipare in riferimento ai trattamenti sanitari cui desidera o non desidera essere sottoposta, nel caso in cui la stessa non sia più in grado di esprimere il proprio consenso od essere informata in maniera consapevole.

Talvolta queste disposizioni, rese per iscritto al fine di poter essere facilmente conosciute, comprendono anche la designazione di una persona di fiducia cui affidare l’incarico di garantire, per quanto possibile, che vengano rispettate le volontà espresse nel “testamento biologico”.

La parola testamento viene presa in prestito dal linguaggio giuridico, anche se in maniera impropria, poiché il testamento è destinato ad avere effetto dopo la morte della persona, mentre con questo tipo di dichiarazioni si intende piuttosto regolare un particolare momento della propria vita, ed il presupposto perché essere abbiano efficacia è proprio l’esistenza in vita del soggetto che le ha redatte.

Da questo punto di vista più corretta sembra l’espressione usata nel mondo anglosassone per definire lo stesso documento che viene  chiamato living will o testamento di vita.

Le DAT, invece, condividono con il vero e proprio testamento la caratteristica di essere sempre revocabili, ovvero ciascuno può in qualsiasi momento cambiare idea e rifare in modo radicalmente diverso le proprie disposizioni anticipate di trattamento, così come la volontà manifestata direttamente dal malato, che sia in grado di farlo, prevale su qualsiasi precedente dichiarazione scritta.

In mancanza di dichiarazioni espresse e qualora la persona stessa non sia più in grado di intendere e di volere per motivi biologici, le decisioni sui trattamenti medici passano ai congiunti più prossimi o ai rappresentanti legali.

L’attuale contesto giuridico italiano

Seppur l’Ordinamento Italiano non abbia ancora fatto una scelta precisa a favore del principio di autodeterminazione e non abbia espressamente disciplinato questa materia esistono alcuni principi giuridici dei quali è necessario tener conto anche in assenza di legge.

E’  pacifico che sia diritto di ogni persona poter scegliere come essere curato ed a quali cure essere sottoposto ed a quali no, in particolare l’articolo 32 della Costituzione stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e l’ultima parte del medesimo articolo recita: «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

L’art. 1 legge 23.12.1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale)  prevede che: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana; e la legge 13.05.1978, n. 180 (accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori) stabilisce:  Gli accertamenti e i  trattamenti sanitari sono volontari.

In base a queste norme la persona pienamente capace di intendere e volere può rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, con l’unica eccezione di quelli collegati a stati psichici tali da mettere in pericolo la vita del soggetto interessato o degli altri.

Il problema, dunque, si pone quando, in previsione di una futura incapacità o impossibilità di esprimere il proprio consenso verso le cure mediche, il singolo voglia esprimere le sue scelte di autodeterminazione preventive: se è riconosciuta come lecita l’espressione delle proprie volontà non c’è una legge che le renda vincolanti.

L’Italia, inoltre, ha firmato, ma non ancora ratificato, nel 2001 (L. 28 marzo 2001, n.145) la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina di Oviedo del 1997 che stabilisce che «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione».

Nonostante la legge n. 145 abbia autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione, manca ancora lo strumento di ratifica, ovvero non sono stati emanati i decreti legislativi destinati ad adattare la legge di ratifica all’ordinamento italiano ai principi e alle norme della Costituzione. Per questo motivo l’Italia non fa parte della Convenzione di Oviedo.

Anche il Codice di Deontologia Medica, in aderenza alla Convenzione di Oviedo, afferma che il medico dovrà tenere conto delle precedenti manifestazioni di volontà dallo stesso, senza però obbligarlo al loro rispetto incondizionato.

Le scelte di autodeterminazione

In mancanza di una legge specifica sul testamento biologico, la formalizzazione per un cittadino italiano della propria espressione di volontà riguardo ai trattamenti sanitari che desidera accettare o rifiutare, in caso di futura incapacità di esprimere il suo consenso, non è vincolante e nei casi fin’ora capitati è stata rimessa ai giudici le scelta se riconoscere o meno il loro valore, inoltre essa viene fatta nelle maniere più svariate, senza una forma precisa, e spesso il soggetto scrive cosa pensa in quel momento, riferendosi anche ad argomenti connessi con i trattamenti terapeutici ma eterogenei come donazione degli organi, cremazione, terapia del dolore e non tutte le sue volontà potrebbero essere considerate bioeticamente e legalmente accettabili.

Questo diritto, per trovare piena tutela, oltre a poter essere attuato quando la persona è pienamente capace di esprimere i propri desiderata, dovrebbe potere essere esercitato anche in previsione di una sopravvenuta incapacità che impedisca al soggetto di effettuare alcuna scelta, pur trovandosi in una situazione tale che impone di assumere queste decisioni, ma in maniera effettiva, senza che esso possa essere disatteso.

Particolarmente odioso sembra il discrimine tra «un paziente terminale capace che può…richiedere la sospensione dei trattamenti terapeutici e di sostentamento vitale, un paziente terminale incapace, per contro, non può richiederlo… è un’ammissione colpevole che capace ed incapace per il diritto non hanno la stessa dignità. Diversi anche nel morire diversi anche nella morte» (così Ernesto Quinto Bassi nella sua relazione al Convegno al Centro Studi Grande di Milano del 9 ottobre 2006 su Testamento Biologico – Diritti del Malato – Sicurezza e certezza delle volontà). 

I giudici, da questo punto di vista, si sono dimostrati sensibili a questa problematica e, di fronte ad una pregressa dichiarazione espressa del malato, hanno ritenuto che fosse preminente la volontà dello stesso ordinando la sospensione dei trattamenti sanitari disposti dai medici.

In questi casi la presenza di un fiduciario, incaricato di far rispettare le volontà espresse, si è rivelata decisiva proprio a tutela del principio di autodeterminazione del malato.

La legge e la libertà di ognuno

Il tema è di fondamentale importanza perché in qualche modo coinvolge la libertà di coscienza di ciascuno e perché dalle scelte su di esso deriva il grado di riconoscimento dell’autodeterminazione, dell’autonomia e della libertà dei cittadini nonché della laicità dello Stato, tenendo a mente che attraverso la legge sul testamento biologico non si vuole imporre ad alcuno determinati comportamenti, ma semplicemente lasciare i soggetti liberi di decidere su punti delicati come quelli della vita e della morte, riconoscendo a ciascuno la  libertà di tutelare la propria dignità anche nella malattia.

Gea Arcella

Nata a Pompei, dopo gli studi classici svolti a Torre Annunziata, si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trieste nel 1987. Nel 2007 ha conseguito con lode un master di II livello presso l'Università “Tor Vergata” di Roma in Comunicazione Istituzionale con supporto digitale. E' notaio in provincia di Udine e prima della nomina a notaio ha svolto per alcuni anni la professione di avvocato. Per curiosità intellettuale si è avvicinata al mondo di Internet e delle nuove tecnologie e dal 2001 collabora con il Consiglio Nazionale del Notariato quale componente della Commissione Informatica . Già professore a contratto presso l'Università Carlo Bò di Urbino di Informatica giuridica e cultore della materia presso la cattedra di diritto Civile della medesima Università, attualmente è docente presso la Scuola di Notariato Triveneto e Presso la Scuola delle Professioni legali di Padova di Informatica giuridica e svolge attività formative sia interne che esterne al Notariato. E' socia di diverse associazioni sia culturali che orientate al sociale, crede che compito di chi ha ricevuto è restituire, a partire dalla propria comunità. 

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