Inglesi o Tedeschi: da chi prendere esempio?

di Lorenzo Degrassi

Nessun Paese al mondo ha la ricetta per arginare il fenomeno, ma c’è chi, negli ultimi due decenni, si è mosso meglio dell’Italia

La curva coloratissima del Paris Saint Germain. In Francia si sono registrati alcuni episodi di antisemitismo piuttosto preoccupanti al di fuori degli stadi

La curva coloratissima del Paris Saint Germain. In Francia si sono registrati alcuni episodi di antisemitismo piuttosto preoccupanti al di fuori degli stadi

Ciclicamente, l’opinione pubblica torna a discutere sui modelli da seguire per arginare gli episodi di violenza all’interno (e all’esterno) degli stadi. Molto spesso ci si appella ai riferimenti cardine, come il modello inglese. L’intero tema va, però, trattato in modo più ampio, come una malattia i cui sintomi e la cui cura vanno soppesati a seconda della persona. Nessun Paese al mondo può affermare di possedere la ricetta per debellare questo “cancro”. Ogni Nazione ha cercato una propria via in base alle caratteristiche delle proprie tifoserie e della cultura dello sport insita nella popolazione. Osserviamo come è stato affrontato il problema nei Paesi europei che ospitano i campionati di livello maggiormente significativo, quali Inghilterra, Germania, Spagna e Francia.

Modello inglese
Nel 1987, a seguito dei fatti dell’Heysel, il governo Thatcher approvò una legge chiamata Football Spectators Act, il cui principio cardine prevedeva l’obbligo di una vera e propria schedatura di ogni tifoso. Tale opzione si rivelò, però, troppo complessa e macchinosa, tanto che, nel 1989, al momento dei fatti di Hillsborough, era ancora ben lontana dall’entrare a regime. La tragedia di Sheffield, però, indusse il giudice istruttore, Peter Taylor, a stilare quello che venne poi conosciuto come “il rapporto Taylor”. In esso il togato suggeriva, innanzitutto, di dotare gli impianti di seggiolini e di limitare la capienza degli stadi, in modo tale da evitare il ripetersi di stragi dovute al sovraffollamento. Nel 1994, queste ed altre misure contenute nel rapporto vennero fatte proprie dal Governo, che obbligò le squadre partecipanti ai primi due campionati nazionali ad adempiere a tutto il necessario per rendere gli stadi più sicuri. Tale ristrutturazione si rese possibile in parte grazie ai soldi derivanti dalla vendita dei primi diritti televisivi, in parte grazie ad un fondo messo a disposizione dal Governo e finanziato anche dai proventi del gioco d’azzardo.
Le modifiche agli impianti (ma, in certi casi, si trattava di veri e propri stadi nuovi) portarono, inevitabilmente, ad un aumento del prezzo dei biglietti. Ciò determinò una vera e propria selezione su chi poteva permettersi di andare allo stadio. In un colpo solo vennero eliminate le classi sociali meno abbienti, i cui rappresentanti, molto spesso, nel passato si erano resi responsabili di condotte violente. Tuttora la Premier League è il campionato europeo caratterizzato dal costo medio più elevato. Oltre a ciò, la sicurezza all’interno dell’impianto è garantita da chi quell’impianto lo gestisce, ossia le stesse società, le quali assumono degli steward per garantire un servizio di sicurezza durante le partite.
Il fatto, poi, che gli stadi siano privati fa sì che le società stesse possano decidere chi, per i motivi che ritengono più opportuni, non possa accedervi ed assistere al match. Può anche accadere che sia la Federazione stessa a diffidare un tifoso dal recarsi in uno o più determinati stadi, su segnalazione della Polizia.
Quest’ultima ha finito per assumere una funzione marginale nell’ambito della sicurezza all’interno degli stadi, proprio a causa del fatto che questi, come accennato, sono strutture private.

Modello tedesco
In Germania il problema della violenza negli stadi è esploso in tempi successivi a quanto avvenuto oltremanica. Di conseguenza, le leggi che si occupano di sicurezza negli impianti sportivi sono molto più recenti. È del 2012, infatti, il primo documento stilato dalla Deutsche Fußball Liga. In esso si specifica che, all’interno degli stadi, la sicurezza è assicurata in ugual misura dai club in collaborazione con le forze dell’ordine. All’esterno, invece, la competenza è affidata esclusivamente alla polizia. La stessa relazione impone alle società di incrementare il numero di telecamere sugli spalti e di nominare un responsabile della sicurezza, per ogni partita giocata in casa, che si mantenga in stretto contatto con la polizia. Altre restrizioni riguardano l’accesso con bevande alcoliche, armi o petardi. Le nuove regole hanno creato un forte malumore fra le tifoserie. Addirittura, una squadra, l’Union Berlin, si è rifiutata di firmare il protocollo d’intesa tra Lega calcio tedesca e Federazione, redigendo, a sua volta, un documento nel quale spiegava perché queste nuove regole fossero inaccettabili. La forza di questa protesta delle tifoserie e di un club deriva dal fatto che, in Germania, per legge, le società sportive devono essere gestite in parte anche dai propri tifosi, mentre chi le presiede non può detenere più del 51% delle quote.

Modello spagnolo
Nel cosiddetto “Reglamento y prevencion de la violencia”, redatto nel 2010 dal Governo Zapatero, vengono definite le responsabilità di quanto accade all’interno degli stadi. Come in Inghilterra, anche qui gli impianti sono spesso di proprietà dei club. Il “Reglamento” affina una legge del 1993 ed assegna alle forze dell’ordine la responsabilità sul controllo delle azioni compiute dagli spettatori e sulla sicurezza di atleti ed arbitri. In caso di comportamenti violenti o razzisti, vengono colpite sia le società, sia gli autori materiali, con multe comprese fra € 150,00 per i casi più lievi fino ad € 650.000,00 per fatti di particolare gravità. I club sono anche passibili di squalifica del campo e di chiusura temporanea dello stadio, mentre i tifosi violenti possono ricevere una diffida dal recarsi in un qualsiasi impianto sportivo per una durata compresa fra 6 mesi e 5 anni.
Tali misure di prevenzione non si sono rivelate significative nel contrastare in maniera decisa il fenomeno della violenza negli stadi, invero poco diffuso se confrontato ad altre realtà calcistiche, europee ed extra europee. A distanza di quattro anni dall’entrata in vigore di queste norme, la situazione, almeno per quanto riguarda le prime due divisioni, è rimasta praticamente inalterata.

Modello francese
In Francia, le leggi sulla sicurezza negli impianti sportivi risalgono al 2006. Sono state predisposte dopo il colpo di pistola partito accidentalmente ad un poliziotto che tentava di difendere un tifoso dell’Hapoel Tel Aviv dall’aggressione di alcuni elementi del Boulogne Boys, una fazione estremista dei tifosi del Psg.
Oggi, i tifosi non possono acquistare biglietti per gruppi, se non ufficialmente riconosciuti, mentre vige l’obbligo, sempre a carico delle tifoserie organizzate, di incontrare i rappresentanti delle forze dell’ordine prima e dopo le partite. I rappresentanti delle tifoserie ricevono settimanalmente, da parte della polizia, una lista delle persone diffidate ad accedere allo stadio e hanno l’obbligo di attenervisi scrupolosamente, pena l’esclusione dell’intero sodalizio.
Una curiosità: in Francia si rischia una pena fino a sei mesi di detenzione se, nel corso di incontri internazionali, si viene sorpresi a fischiare la Marsigliese. La Patria, prima di tutto!

di Lorenzo Degrassi
Giornalista di City Sport

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