La rete della giustizia

di Jorge Zabalza

Le ombre riguardo alle attività illecite che hanno colpito moltissimi giovani in Uruguay e in Argentina non sono ancora state interamente svelate. È tempo di dare giustizia anche a tutti i cadaveri non ancora identificati

zabaldaUn pomeriggio, “Chepe” González era in servizio nella caserma della città di Paso de los Toros, provincia di Tacuarembó, Uruguay settentrionale. Si ubriacò come Dio comanda e scese nelle catacombe per umiliarci un po’ e far passare la noia. Fu il giorno in cui Raúl Sendic gli sferrò un pugno attraverso le sbarre della cella e il “Chepe” perse totalmente il controllo: “Voi finirete come quei barboni che sono stati trovati galleggiare nel Rio de la Plata! Ma a voi vi lanceremo qua, nel Rio Negro” gridò isterico. Questa prima notizia ci fu utile per estorcere più informazioni ai guardiani. Ripetendo la versione ufficiale, alcuni ci spiegarono che i morti erano “cinesi” che buttavano le reti delle loro navi da pesca. Con un po’ di immaginazione, però, supponemmo, invece, si trattasse di storie simili ai “voli della morte”. Il primo lo trovò Aurelio Leiva l’8 novembre 1975, esattamente a mezzogiorno, nella città di Carmelo, di fronte alla vecchia cava di Martin Chico. L’ultimo rinvenimento lo fece Rogelio Gonzalez il 7 aprile 1979, alle sei di mattina, tra la località di Santa Monica e la boa petrolifera di Jose Ignacio, provincia di Maldonado. In tutto furono 31 i cadaveri ritrovati sulle spiagge di Colonia, Montevideo, Maldonado e Rocha. Passarono quasi 35 anni perché l’equipe di antropologi diretti da López Mass riuscisse a dare un’identità a cinque dei corpi ritrovati: Maria Rosa Mora, Floreal Avellaneda e Raúl A. Niño (Argentini), Liborio Gaeda (Paraguaiano) e Atilio Eleuterio Arias (Uruguaiano). Rimangono ancora ventisei vittime da identificare. Tutti i corpi furono esaminati da medici legali della dittatura. Nessuno di loro vide niente di sospetto nei segni di violenza che ogni cadavere evidenziava, né nei polsi devastati con filo metallico. Né la polizia, né nessun altro indagò su questi fatti e così procedettero a seppellire i corpi il più in fretta possibile come “NN”. Intanto, la stampa informava che erano marinai asiatici sconosciuti. Decine di operatori della giustizia non compirono il proprio dovere: indagare sugli omicidi per identificarne gli autori. Al contrario, coprirono i crimini senza nessuno scrupolo. Vista l’impunità che caratterizzò l’Uruguay anche negli anni a venire, quegli stessi magistrati continuarono a svolgere la loro professione anche dopo il 1985, anno in cui l’esperienza della dittatura si concluse. Alcuni di loro, come, ad esempio, Jorge Ruibal Pino, arrivarono a far parte della Corte Suprema di Giustizia. Stando alla versione di Walter Pernas al giornale Brecha, la storia criminale di Ruibal ebbe inizio quando era ancora in servizio nella città di Carmelo, nel 1978: “Dopo tre settimane in cui aveva preso servizio nel suo nuovo ufficio, arrivò la notizia che il signor Emilio Diez camminava alle otto di mattina sulla costiera del Parador Punta Gorda, Nueva Palmira, dove le acque del fiume Uruguay si incrociano con quelle del fiume del Plata, quando trovò un corpo senza vita disteso sulla sabbia a pancia in giù”. Jorge Ruibal Pino scelse di ignorare i principi generali del diritto e nascose il fascicolo nell’angolo più polveroso del suo ufficio. I suoi meriti nel favoreggiamento di sparizioni forzate gli permisero di fare carriera con il placito della dittatura militare. In poco meno di un anno fu nominato Giudice Istruttore nella provincia di Colonia. Nel suo ufficio si accumulavano i fascicoli dei cadaveri non identificati trovati nel Rio de la Plata. A soli 33 anni, Jorge Ruibal Pino lasciò che quelle cause morissero fra gli scaffali. Non gli interessava che ci fosse qualche cadavere in più o in meno, l’importante era fermare l’avanzata del Castro-comunismo internazionale. Si sentiva orgoglioso di appartenere al braccio giudiziario della dittatura militare.

Il maestro Julio Castro
Nel 1981, Ruibal Pino ricevette un ulteriore premio per i suoi meriti: venne nominato Giudice in un Tribunale penale di Montevideo dov’era stata sporta denuncia per la sparizione forzata del maestro Julio Castro. La questione dei desaparecidos era il suo karma, lo perseguitava. Ruibal prestò attenzione affinché il caso rimanesse nel cassetto della sua scrivania. Quando venne ripristinata la legalità, nel 1985, alla fine della dittatura militare, i familiari del maestro provarono a spolverare il fascicolo, ma Ruibal Pino non dubitò un attimo nel porre un altro mattone nel muro dell’impunità: archiviò la causa, posticipando così di vent’anni l’indagine su uno dei crimini contro l’umanità più orrendi perpetrato dalle forze armate uruguaiane.
Nestor Troccoli, capitano della Marina uruguaiana, fu arrestato a Salerno il 23 dicembre 2007. La giustizia di Roma gli imputava la sparizione forzata di 30 cittadini uruguaiani e 6 cittadini italiani residenti in Uruguay: Ileana ed Edmundo Dossetti, Yolanda e Julio Cesar D’Elia, Edgardo Borelli e Raul Gambaro. Il lettore italiano si domanderà: perché non lo processarono i giudici uruguaiani? Per rispondere, è necessario andare a ritroso. Il Patto del Club Navale (1984) fu un accordo tra i generali militari e due partiti politici (Frente Amplio e Partido Colorado) che permise il ritorno alla vita parlamentare ed elettorale. I mandanti militari ottennero, in base a questa firma, di non essere giudicati per i reati commessi durante la dittatura.
Da allora, l’impunità diventò il programma politico del partito militare. La fermezza delle loro pretese stoppò la volontà delle élite ed impose quell’impunità che determinò poi il clima ideologico che si respira tuttora, anche se quasi il 50% degli Uruguaiani votò nel 2009 un referendum per annullare questa legge. A determinare questa situazione contribuirono quei giudici che basarono le loro carriere professionali sulla connivenza con la dittatura militare, come Ruibal Pino, appunto, favorendo gli imputati invece di processarli e condannarli per i loro crimini. Anche se esistono numerose pressioni internazionali nelle cause riguardanti i diritti umani, i compromessi interni al Paese hanno permesso a molti accusati di evitare pene e processi per sparizioni forzate, omicidi, violazioni e torture. Ma come ha potuto un delinquente della taglia di Jorge Ruibal Pino arrivare sino alla Corte Suprema di Giustizia, l’organo incaricato di tutelare i diritti umani? La risposta è semplice e sicuramente non può rendere orgoglioso il Frente Amplio: quando rimase vacante questa poltrona, il Senato non si accordò per nominare una persona più idonea e, cedendo alle pressioni della destra più radicale, i parlamentari del Frente nominarono Jorge Ruibal Pino pur sapendo che era associato al terrorismo di Stato.
I suoi meriti erano quelli di appartenere alla massoneria, come l’allora Presidente della Repubblica, Tabare Vazquez, ed essere il membro con l’appartenenza più lunga all’interno della Corte d’Appello. Fu così che un personaggio così oscuro svolse una delle funzioni più delicate dello Stato, quella, appunto, di responsabile del rispetto dei principi fondamentali di Giustizia e Democrazia.

Il caso del giudice Mariana Mota
In Argentina, la magistratura, oggi molto attiva, rese pubblica l’intenzione di indagare sull’origine di quei corpi che la dittatura militare uruguaiana seppellì senza prima identificare. Ruibal Pino, allora Presidente della Corte Suprema di Giustizia, correva il rischio di essere indagato per aver coperto i crimini.
Di conseguenza, riuscì a far sì che la Corte, a maggioranza, dichiarasse prescritti tali reati. Si protesse da solo, nel suo ruolo di complice di assassini e carnefici. Il giudice Mota conservava nel suo ufficio 55 fascicoli di denunce per crimini contro l’umanità. Aveva accusato e fatto condannare il Colonnello Carlos Calcagno per la sparizione forzata di Gustavo Inzaurralde e Nelson Santana. Questo le valse il rancore dei “gorilla” del Centro Militare e del Ministro della Difesa, amico dell’Ufficiale condannato. Mariana Mota era decisa a far valere le leggi internazionali che dichiarano non soggetti a prescrizione i reati commessi sotto la denominazione di terrorismo di Stato. Ruibal non poteva accettarlo. Con il tacito consenso della Presidenza della Repubblica, la Corte Suprema di In-Giustizia confinò il giudice Mota presso un Tribunale civile in cui non potesse disturbare i criminali impuniti, protetti dalle élite dei partiti.
Ubbidendo alla sentenza del caso Gelman (1) della Corte Interamericana di Giustizia, la dottoressa Rosana Canclini stava lavorando con solerzia sul fascicolo n° 2-39048/2011, nel quale venivano denunciati per tortura capi, subalterni e incaricati delle S-2, le unità in cui sono stati reclusi i “nove ostaggi” della dittatura militare uruguaiana. Più di cento carnefici sarebbero stati chiamati a testimoniare. Sarebbero stati chiamati in qualità di testimoni anche Jose Mujica, l’attuale Presidente della Repubblica, ed Eleuterio Fernandez Huidobro, l’attuale Ministro della Difesa, entrambi facenti parte, all’epoca, del gruppo dei “nove ostaggi”. Anche la dottoressa Canclini fu trasferita in un Tribunale civile con una decisione “di natura amministrativa” della Corte Suprema di Giustizia. Il trasferimento forzato di entrambi i giudici fu contestato e il 15 febbraio 2014 circa mille cittadini uruguaiani si presentarono davanti alle porte della Corte Suprema. C’erano anche Luis Cuestas e altri esponenti della lotta contro l’impunità, artisti come Daniel Viglietti ed Eduardo Galeano e famosi giornalisti molto attivi sul tema dei diritti umani, come Samuel Blixen, Roger Rodriguez e Walter Pernas. I giudici della Corte Suprema hanno la pelle molto delicata quando i cittadini rivendicano verità e giustizia e dichiararono di soffrire di “pressione psicologica”, temendo per le proprie vite e per la propria integrità fisica. Come punizione per la protesta pacifica, hanno preteso misure esemplari contro alcuni di coloro che manifestarono. Zubia, figlio e nipote di generali della dittatura, chiese che fossimo condannati per il reato di eversione. Perfino il suo collega della Corte, Jorge Diaz, capì che tale richiesta era incostituzionale. Non ci sono ancora notizie su come si risolverà la questione. Sette cittadini uruguaiani sono tuttora sotto processo. Si è violato il diritto di libera manifestazione. Temendo le pressioni del partito militare, le istituzioni democratiche dell’Uruguay continuano tuttora a non assumere una posizione ferma per ricercare verità è giustizia. Che cosa impedisce di creare un paio di tribunali specializzati in crimini contro l’umanità per accelerare le indagini, i processi ed eventualmente la condanna dei responsabili? Perché non si dedica una parte sostanziosa del bilancio dello Stato per finanziare queste indagini? Perché non si formano équipe specializzate? Significherebbe, semplicemente, accogliere gli inviti della comunità internazionale in materia di diritti umani.
L’impunità dei militari crea nel Paese una doppia morale funzionale al terrorismo di Stato ed esercita conseguenze concrete nella vita di ogni giorno.
Ad esempio:
1)  Nella violenza della polizia contro i giovani dei quartieri emarginati e più poveri, già denunciati dal SERPAJ (Servizio di Pace e Giustizia), dallo IELSUR (Istituto di Studi Legali) e altri organismi a tutela dei diritti umani;
2) Nelle torture che soffrono gli adolescenti detenuti nelle carceri minorili, denunciati dall’Istituto Nazionale dei Diritti Umani delle Nazione Unite;
3)  Nella firma degli accordi con gli Usa per la formazione di personale di polizia e di guardie carcerarie uruguaiane. Cosa possono insegnare? A comportarsi come la polizia di Ferguson? A trattare i detenuti come fanno a Guantanamo? Quello che insegnano gli Americani si aggiunge a ciò che già hanno insegnato gli Israeliani, la stessa polizia che controlla e perseguita i Palestinesi in Cisgiordania.
4)  Nella pusillanimità del Governo nel denunciare il genocidio di Israele a Gaza. Non è stato nemmeno ordinato il ritiro dell’ambasciatore uruguaiano a Tel Aviv. Gli interessi commerciali prevalgono sulla sensibilità davanti alla violazione dei diritti umani. Si tratta di una conseguenza della politica di oblio praticata dal Governo uruguaiano.

L’Operazione Condor continua…
Jorge Pedro Zabalza Waksman (1943), soprannominato “el tambero”, è un politico uruguaiano, ex dirigente del Movimento di Liberazione Nazionale – Tupamaros, ex presidente dell’Assemblea Provinciale di Montevideo (1994).
Fu detenuto in qualità di ostaggio della dittatura insieme ad altri otto Tupamaros, tra cui l’attuale Presidente della Repubblica, Jose Mujica, e rimase incarcerato dal 1972 al 1985. Suo fratello, Ricardo Zabalza Waksman, anche lui Tupamaros, morì in un’azione di guerriglia l’8 ottobre 1969.
Suo padre, Pedro Zabalza Arrospide, diverse volte Senatore della Repubblica, il 1° marzo 1959 assunse l’incarico di Membro del Consiglio Nazionale di Governo, l’organo di potere esecutivo collegiale dell’Uruguay tra il 1952 e il 1967.

di Jorge Zabalza
politico uruguaiano.


(1)  Juan Gelman, famoso poeta contemporaneo argentino. Nel 1976, il regime militare argentino sequestrò e uccise suo figlio, Marcelo Ariel, e sua nuora, Maria Claudia García Iruretagoyena, genitori di una bimba nata in carcere e della quale si perse ogni traccia. Nel 1999 Gelman ritrovò la nipote scomparsa, affidata in adozione ad una famiglia di Montevideo.

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