Quando il brevetto è questione di vita o di morte

di Vincenzo Carrieri, Cinzia Di Novi

In aprile la Corte suprema di Nuova Delhi ha respinto il ricorso di Novartis in merito al brevetto del farmaco antitumorale Glivec. È una sentenza storica che per la prima volta intacca il potere di Big Pharma. Ma la questione della tutela dei brevetti farmaceutici non è di semplice soluzione

L’industria farmaceutica è tradizionalmente divisa in aziende tradizionali (research-based companies) e aziende generiche (generics–based companies). Mentre le prime investono in ricerca e sviluppo, le seconde entrano nel mercato solo quando il brevetto scade. L’attività delle aziende farmaceutiche generiche è confinata alla produzione e commercializzazione dei farmaci generici, ossia di quei medicinali non più coperti da brevetto, commercializzati direttamente con il nome del principio attivo. Per le aziende tradizionali, i brevetti costituiscono uno strumento di primaria importanza per la protezione e la commercializzazione di farmaci di ultima generazione.
La questione del brevetto sì o no, o a che condizioni, è molto spinosa. Da una parte, si sostiene che, data l’importanza che i farmaci rivestono per la salute, è eticamente inaccettabile che le aziende facciano profitto sulle vite umane. Emblematica è la celebre frase pronunciata da Indira Gandhi nel 1988: “The idea of a better-ordered world is one in which medical discoveries will be free of patents and there will be no profiteering from life and death”. In termini più prosaici, la presenza di brevetti sul farmaco produce certamente un’inefficienza sul piano statico, conducendo a un equilibrio di mercato costituito da prezzi di mercato più elevati. Dall’altra parte, si sostiene che i brevetti consentono di raggiungere l’importante finalità di proteggere l’impresa “innovatrice” contro l’“inventing around”, ossia lo sfruttamento del principio attivo da parte delle imprese concorrenti. Assicurando una temporanea posizione di monopolio, la protezione brevettuale garantisce un ritorno sugli investimenti effettuati per organizzare una serie di test particolarmente costosi, sia in termini di tempo, sia in termini finanziari. In altre parole, i brevetti genererebbero un guadagno d’efficienza in prospettiva dinamica, costituito da maggiore ricerca e un numero maggiore di prodotti sul mercato, auspicabilmente in grado di migliorare le condizioni di salute della popolazione. (1)

L’ACCORDO TRIPS
L’accordo Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), stabilito tra i Paesi dell’Organizzazione mondiale del commercio nel 1994, vieta la produzione locale di farmaci, vincolandone l’importazione, l’uso e la vendita all’autorizzazione del titolare del brevetto. I Trips non stabiliscono una norma internazionale uniforme, ma prevedono gli standard minimi per la protezione dei brevetti che i membri della Omc devono adottare. I Paesi sviluppati hanno già applicato l’accordo; altri, come l’India, devono rispettarlo dal 2005, mentre per i Paesi più poveri (circa cinquanta) l’obbligo di attuazione è spostato al 2016. Dal momento dell’attuazione dei Trips è comunque permesso di garantire la continuità nell’accesso ai farmaci generici in presenza di gravi rischi alla salute pubblica. L’accordo, infatti, consente la licenza obbligatoria, ovvero una deroga che il detentore del brevetto deve concedere in caso di crisi sanitaria.
In base alla deroga, i Governi locali dei Paesi in cui si verifica l’emergenza sanitaria si assumono la responsabilità diretta di assicurare l’accesso ai farmaci brevettati alla loro popolazione (government use). La produzione dei farmaci in questi casi viene affidata a imprese locali. Se non esistono aziende in grado di produrre il farmaco, è possibile l’importazione. In quest’ultimo caso, l’azienda titolare del brevetto deve essere tutelata affinché il farmaco sia esportato in quantità non eccedenti il reale fabbisogno del Paese richiedente. Le deroghe rappresentano sicuramente un primo passo verso l’accesso ai farmaci: le licenze, infatti, permettendo ai Paesi in via di sviluppo di produrre i farmaci in proprio, rendono il prezzo del farmaco più accessibile. Inoltre, la possibilità di produrre i farmaci consente ai Paesi in via di sviluppo di migliorare la propria capacità produttiva attraverso l’acquisizione di un più avanzato know-how farmaceutico. Tuttavia, le licenze (così come le esportazioni) sono concesse solo per un periodo limitato, che coincide con la durata dell’emergenza. Inoltre, solo pochi Paesi in via di sviluppo (Brasile, Sudafrica, Cina e India, appunto) sono, di fatto, in grado di sostenere una produzione efficiente di farmaci e qualsiasi prezzo “economicamente efficiente” (che copra cioè interamente i costi di produzione e preveda un sia pur modesto margine di guadagno), anche se legato ai costi e ai profitti delle industrie locali del Paese in via di sviluppo, potrebbe essere inaccessibile alla maggior parte delle popolazioni oppresse dalla povertà.

LA LEGISLAZIONE INDIANA IN TEMA DI BREVETTI
Le industrie farmaceutiche fanno ricorso principalmente a due tipologie di brevetto: di prodotto e di procedimento. Il brevetto di prodotto protegge la scoperta di un determinato principio attivo, mentre il brevetto di procedimento tutela solamente uno specifico processo di sintesi di una certa molecola. L’Indian Patents Act del 1970, che sostituiva la vecchia legge indiana sui brevetti di epoca coloniale, ammetteva solo il brevetto di procedimento per una durata di sette anni. Questo consentiva di produrre legalmente a livello locale farmaci generici il cui principio attivo era coperto da brevetto di prodotto in altri Paesi, semplicemente utilizzando metodi alternativi per sintetizzare il principio attivo (tramite il cosiddetto processo di reverse-engineering). L’India non ha riconosciuto i brevetti di prodotto fino al 1995, quando ha aderito all’accordo Trips, e questo le ha consentito di diventare il primo produttore al mondo di farmaci generici e, al tempo stesso, di conquistare il mercato dei farmaci dei Paesi poveri, in particolare di quelli africani.
Con l’adesione ai Trips, in ottemperanza ai requisiti minimi richiesti, l’India ha modificato l’Indian Patents Act con una serie di emendamenti che, gradualmente, hanno uniformato la sua disciplina a quella stabilita dall’accordo. Sebbene all’India (e ad altri Paesi in via di sviluppo) sia stato concesso il permesso di rimandare l’attuazione dell’accordo fino al 2005, l’Omc ha imposto di creare un sistema definito “mail-box” per ricevere e registrare le domande di brevetto nel periodo transitorio 1995-2005. A partire dal 2005, l’India ha aperto la mail-box per vagliare le domande di brevetto rimaste in sospeso, eliminando il divieto di brevetto di prodotto che vigeva con la precedente legislazione ed estendendolo alla durata di venti anni. Dal 2005 l’India, pur riconoscendo l’accordo Trips, ha inserito nella terza sezione dell’Amended Patents Act (marzo 2005) la possibilità di rigettare richieste di brevetto per nuove formulazioni di vecchi farmaci, a meno di un incremento significativo dell’efficacia terapeutica.
Proprio in forza dell’Amended Patents Act del 2005, la Corte suprema di Nuova Delhi ha respinto nei primi giorni di aprile il ricorso dell’industria farmaceutica svizzera Novartis sul brevetto del farmaco anti-tumorale Glivec. Alla fine di una battaglia legale durata ben sette anni, la Corte ha negato l’esclusiva per la produzione del farmaco poiché il Glivec non sarebbe un prodotto innovativo in quanto utilizzerebbe una molecola già nota.
Si tratta di una sentenza storica che, per la prima, volta intacca il potere di “Big Pharma” – il cartello che riunisce tutte le più grandi multinazionali del farmaco.
È certamente complicato stabilire se la protezione dei brevetti sia vantaggiosa o meno in termini di benessere sociale. Soprattutto, è la diversa tempistica tra benefici e costi che rende complicata la scelta. Da una parte, infatti, le perdite di efficienza statica sono di breve periodo (prezzi più alti). Dall’altra, i guadagni potenziali sono solo di lungo periodo (maggiore ricerca e nuovi prodotti). La questione diventa ancora più complicata per i casi in cui l’innovazione è principalmente di processo più che di prodotto, come nel caso di Glivec, che utilizza una molecola già nota. Probabilmente, la scelta diventa più semplice in caso di emergenza sanitaria o patologie gravi. In questi casi, la tutela del brevetto, oltre che peggiorativa in termini di efficienza statica, rischia di essere pericolosa per la salute di milioni di cittadini.
Per questo, la recente sentenza della corte indiana, sebbene motivata dall’assenza di una reale innovazione di prodotto, ha un forte valore politico anteponendo, di fatto, la salute delle popolazioni alle pur legittime motivazioni delle case farmaceutiche.
Una buona notizia sulle possibilità di “umanizzare” il mercato farmaceutico.

(1) Per un’analisi più approfondita sul tema si consiglia Goldberg, P.K., 2010, “Intellectual property rights protection in developing countries: the case of pharmaceuticals”, Journal of European Economic Association, 8 (2-3): 326-53.

Tratto da: lavoce.info

di Vincenzo Carrieri,
Ricercatore e Professore Aggregato di Economia Pubblica all’Università degli Studi di Salerno;
Cinzia Di Novi,
Ricercatrice in Scienza delle Finanze presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia

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