Grandi tycoon, ma la povertà è ancora dilagante

di Marco Cernaz

Stipendi bassi, costo della vita quasi in linea con l’Europa. La “grandeur” internazionale di Putin non ha risolto i problemi interni

Il Paese dei paradossi. Il lusso più sfrenato di Nevsky prospekt, a San Pietroburgo, il viale cantato da Dostoevskij in tanti suoi romanzi, o delle più raffinate boutique moscovite. Il degrado e la miseria di città dimenticate ai confini “dell’impero”, nelle quali le lancette del tempo sembrano ferme da diversi decenni.

DISUGUAGLIANZE
Benvenuti in Russia, la Nazione più grande del mondo, la terra dei magnati, dei Paperoni, dei nuovi tycoon incontrastati e dei Suv da 3.000 cc di cilindrata che sfrecciano nelle metropoli. Ma il benvenuto ve lo danno anche quei 13 milioni (stime ufficiali) che vivono ben al di sotto della soglia di povertà (il 10% della popolazione). Dati meno istituzionali, e forse più aderenti alla realtà, correggono la cifra in oltre 20 milioni di Russi prostrati in uno stato di estrema indigenza. Sono quelli che si muovono con le scassate marshrutka, i minibus per gli spostamenti brevi fra un quartiere e l’altro. Guadagnano 200 euro al mese (anche meno. Le pensioni sono spesso ben inferiori) in un Paese nel quale il costo della vita è ormai in linea con l’Occidente.
Una Russia da mille e una notte, per chi ha disponibilità finanziarie. Ad esempio, per quelle 110 persone che, secondo Forbes, detengono il 35% della ricchezza nazionale. O una Russia in cui il rifugio di milioni di “ex compagni” è l’alcol, vera piaga sociale che distrugge famiglie e rende interi rioni “off limits”, veri e propri ghetti dopo il tramonto.

GUERRA FREDDA
Paradossi, si diceva. Come quelli sullo scacchiere nazionale ed internazionale.
In politica estera, dopo due decenni nel corso dei quali il Paese aveva perso ogni influenza, Vladimir Putin sta svolgendo un ruolo di primo piano in tutte le crisi irrisolte, dall’Ucraina al Medio Oriente.
In patria, questo tendenzialmente piace. Il Russo medio si nutre di epopea, simbolismo, crociate contro l’egemonia americana. La “guerra fredda” è finita venticinque anni fa, ma, dalla Siberia al Caucaso, c’è ancora chi la rimpiange. Lo zar del Cremlino lo sa bene: la sua partita se la gioca lontano da Mosca, ma con effetti benèfici dentro il Paese. Più il mondo gli è contro, più aumentano i sostenitori interni. Paradossale anche questo. Ma in Russia funziona così.

CRISI INTERNA
Ciò che, però, non tutti i cittadini colgono (alcuni sì, e cercano di renderlo pubblico, nel silenzio dei media, proni al potere) è che i “successi” internazionali stanno andando di pari passo con una situazione economica e sociale interna che fa acqua da tutte le parti. La crescita è bloccata da un lustro: dopo i fasti di inizio millennio, che hanno incoronato Putin come il principale artefice del miglioramento dello stile di vita di una classe media fin lì sconosciuta, di pari passo con la strenua lotta al terrorismo interno, la Russia è oggi ferma al palo. Per il 2014, ormai all’epilogo, si parla di un Pil a +0,5%, ma se le sanzioni internazionali dovessero inasprirsi ulteriormente, questo dato potrebbe andare in negativo. Uno dei fattori che influisce maggiormente sulla decelerazione dell’economia è la riduzione del tasso di crescita monetario, causata principalmente dalle fluttuazioni della bilancia dei pagamenti.
In sostanza, se fino al 2007/2008 affluivano nel Paese ingenti capitali con investimenti dall’estero continui e significativi, nell’ultimo quinquennio gli stranieri hanno pian piano abbandonato la Russia. Ciò ha causato un crescente squilibrio nei conti. Gli investitori occidentali, soprattutto, sono diffidenti sia per la crisi ucraina, sia per la mancanza di riforme, nonostante promesse e rassicurazioni del Cremlino e dei suoi poteri succursali nei singoli Stati della Federazione.
A Mosca si pensa più al potenziamento sullo scacchiere politico internazionale che ai bisogni della gente comune, mentre il rublo, con la crisi del Donbass, si è svalutato come mai era capitato negli ultimi cinque anni: per un euro ce ne vogliono quasi 50. Una tragedia per le importazioni russe: ogni merce acquistata all’estero costa almeno il 10% in più rispetto ad un anno fa. Nel solo mese di marzo, questo ha comportato una riduzione del 14% sugli acquisti effettuati all’estero.

SALARI BASSI
Uno scenario non certo idilliaco per la più grande Nazione del mondo, la quale, oltretutto, soffre di un’inflazione troppo alta, ben lontana dagli standard occidentali. Per non parlare degli stipendi: 500 euro al mese per un medico di una struttura pubblica, 200 per un impiegato statale, 100 per un cameriere. Le pensioni, poi, anche per chi ha ricoperto mansioni importanti, sono da fame. Ed i prezzi, invece, sono ormai in linea con l’Europa.
Eppure, manca ancora quella vox populi che, di fronte ad una condizione così complicata, potrebbe (dovrebbe?) protestare, scendere in piazza, rivendicare i propri diritti. Troppo forte il potere, troppo radicata – evidentemente – la sottomissione e poco sviluppato – purtroppo – il senso civico per sbattere i pugni, ricordare che non esiste solo lo scacchiere geopolitico internazionale, la lotta al terrorismo caucasico o il Donbass da foraggiare e finanziare. C’è anche una Russia dimenticata, che ogni giorno lotta per sopravvivere, alla quale, delle spese militari, interessa poco o niente. Un Paese frenato da un tasso di disoccupazione ancora inferiore alla media UE, ma in crescita di quasi un punto percentuale nell’ultimo anno, con un’economia sommersa degna della peggiore Italia ed un sistema bancario mai troppo affidabile.
Forse, chi governa questo gigantesco crogiuolo di 83 regioni dovrebbe concentrarsi maggiormente sulla politica interna ed abbandonare un po’ di “grandeur” internazionale avviando, finalmente, quelle riforme sempre promesse e mai concretamente realizzate.

di Marco Cernaz
Giornalista e responsabile progetto “Sanga Sangai” di Kathmandu (Nepal) per l’associazione
Outside

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