Conosciamo davvero i Rom?

Carla Osella

Alcuni desiderano inserirsi nella società, altri rubano negli appartamenti, asportano il rame, truffano, pretendono il pizzo e sfilano i portafogli con grande destrezza. Stereotipi, pregiudizi, proiezioni delle nostre paure. Ladri e rapitori di bambini? Alcuni hanno saputo studiare ed affermarsi professionalmente

La maggior parte della gente conosce Rom e Sinti attraverso le notizie riportate da tv e giornali, a cui si aggiungono le informazioni provenienti dai social network e dalla rete. Pochi sanno che sono arrivati in Europa dall’India verso l’anno Mille, disperdendosi ben presto su tutto il territorio.
La modalità di vita nomade ha fatto sì che, all’inizio, questo popolo venisse accolto con simpatia: nel Medioevo, infatti, il nomadismo era ben accetto perché gli veniva riconosciuta una valenza di carattere religioso. Al contrario, nell’età moderna le grandi monarchie nazionali considerarono questo stesso modello un fenomeno perturbatore che contrastava e metteva a rischio le diverse unità nazionali. Andava, perciò, osteggiato e combattuto con forza. Il colore scuro della pelle e i capelli ricci erano considerati tratti somatici diabolici, al punto che i defunti dovevano essere seppelliti in cimiteri sconsacrati, terreni riservati, oltre a loro, anche agli artisti e ai pazzi.
Nello stesso periodo ebbero luogo numerosi tentativi di assimilazione forzata, messi in atto da diversi sovrani europei, come Maria Teresa d’Austria e Carlo III di Inghilterra.
Storici e monaci viaggiatori li presentavano sempre in maniera negativa. Proprio queste calunnie determinarono azioni della Chiesa volte ad isolarli dal punto di vista religioso – nei Paesi Baschi erano obbligati ad assistere alla Messa dalle finestre – ed umano.
Anche l’Islam non nutriva alcuna simpatia nei loro confronti e proibiva l’ingresso nelle moschee.
Per sopravvivere ai continui attacchi di intolleranza, questa popolazione non ha mai messo radici, spostandosi continuamente da un luogo all’altro, attraverso i secoli. Questa è stata per loro l’unica possibilità di salvezza. Un popolo nomade, in diaspora continua, isolato. Ma proprio grazie a questa condizione ha potuto conservare le proprie tradizioni millenarie.
Oggi, nel mondo, Rom e Sinti sono oltre 25 milioni. Di essi, circa 12 milioni vivono in Europa e, secondo una stima di A.I.Z.O., 150-200.000 in Italia. Fra questi, 50.000 sono Italiani a tutti gli effetti.
Chi sono? A cosa pensano? Cosa fanno?
Per conoscerli appare fondamentale andare a trovarli nei luoghi in cui vivono: campi sosta autorizzati, micro aeree, campi abusivi e appartamenti. Jasminka ha 23 anni, tre bambini e racconta la sua storia con difficoltà: “Sono andata a scuola da adulta e ho sostenuto gli esami di terza media. Da piccola ho frequentato poco perché vengo da una famiglia numerosa. Ad ogni nascita di un fratellino dovevo aiutare la mamma ad accudirlo. Per questo motivo, tempo per la scuola ne rimaneva poco. Del resto, non mi piaceva andarci. Conoscevo poco le mie compagne e la maestra mi faceva solo disegnare. Alcuni nostri bambini restano analfabeti anche se sono arrivati alla quinta elementare. Lo trovo discriminante. I nostri genitori sbagliano a non mandarci a scuola, ma anche la scuola non ci accoglie sempre con simpatia”. Jasminka aveva trovato lavoro in una cooperativa di pulizie, ma appena si è appreso che era Rom, con un pretesto non è stata assunta.
Ettore è un Sinto italiano. Abita in un appartamento da quando ha lasciato il campo sosta. Ha deciso di avviare un’attività particolare: fa il rappresentante di oggetti di bigiotteria. Non rivela mai la sua identità: quando l’abbiamo invitato a parlare della sua esperienza e della sua emancipazione, si è rifiutato. Ha spiegato che, se svelasse di appartenere alla comunità dei Sinti, non potrebbe più svolgere il suo lavoro.
Giordan è riuscito a diplomarsi, ma per questo motivo è stato emarginato dal suo stesso gruppo. Con disprezzo, in molti lo chiamavano “il gagio”, il non Rom, “il diverso da noi”. Nonostante tutte le difficoltà si è iscritto all’Università, ma ha dovuto interrompere il suo percorso di studio perché costretto a sposarsi secondo la tradizione romanì. Dopo una lunga esperienza professionale nello studio di un commercialista, adesso lavora nella raccolta del ferro.
Il suo sogno si è infranto. È consapevole di aver perso un’opportunità. “Un giorno – spiega – forse i mie figli frequenteranno l’Università. Per me i tempi non erano maturi”.
C’è anche chi, invece, è riuscito a studiare e a migliorare la propria situazione senza essere emarginato. Sheila, “la Sinta del campo X”, vive in Lombardia. Alcuni anni fa ha terminato la scuola professionale, è stata aiutata a trovare un lavoro e attualmente fa la barista. La incontro mentre serve i clienti ai tavoli nel giorno di mercato. Corre veloce come le sue colleghe, raccoglie le ordinazioni annotandole su un taccuino, serve ai clienti le consumazioni, incassa i soldi e li consegna al proprietario del locale. A lei piace la sua attività
“Qui c’è sempre tanto lavoro. Sono contenta di aver studiato. Ora guadagno decentemente, ma vivo ancora al campo con i miei. In futuro spero di sposarmi, ma la speranza più grande è quella di continuare a lavorare qui”. Mi racconta che, all’inizio, i suoi familiari non erano troppo contenti nel vederla uscire tutte le mattine dal campo, da sola, e stare tante ore “fuori”, lontano da loro. Con il passare del tempo si sono abituati e hanno accettato la sua scelta. Allontanarsi dalla famiglia rappresenta un grosso problema: “Niente è più importante di un Rom della propria famiglia” recita un vecchio proverbio.
Tutti coloro con i quali parlo di lavoro sottolineano sempre le difficoltà vissute con la comunità di appartenenza. “Il nostro popolo deve trovare un modo nuovo per vivere: il futuro è la scuola, il lavoro e anche l’abitazione” spiega Jonko Jovanovic vice presidente nazionale di A.I.Z.O. “Ai giovani spetta la decisione, ma anche il ruolo di noi anziani è importante: dobbiamo incoraggiarli a migliorare la loro vita per il bene dei loro figli”.
Si rendono conto che un cambiamento è necessario, ma questo sarà possibile solo se riusciranno a delineare con chiarezza cosa desiderino dal loro futuro. Devono essere consapevoli che dovranno trasformare le loro tradizioni vivendole in modo più moderno (non è possibile vivere insieme ai topi in una baracca malsana e usare il computer).
Dovranno compiere passi da gigante, anche se alcuni hanno già fatto da battistrada: in diversi Paesi vivono Rom e Gitani divenuti medici, ingegneri, direttori di scuola e docenti universitari. In molti ci hanno provato e ci sono riusciti. Il primo passo è la scuola, poi il lavoro. Ciò permetterà loro di vivere in modo dignitoso. Il mondo del lavoro implica, però, anche scelte non facili e lontane dalla loro cultura: la costanza nell’andare a lavorare tutti i giorni, il rispetto degli orari, la capacita di relazionarsi in modo positivo con i colleghi, la sottoscrizione di un rapporto di lavoro dipendente con il datore. “Per noi è difficile non considerare il datore di lavoro un pari”. “Mi obbliga a fare delle cose che non gradisco”. “Nella nostra comunità non ci sono divisioni in classi, siamo tutti uguali”. “Da noi e diverso, si decide insieme ciò che consideriamo il bene comune” spiega Gjanja mentre allatta il suo ultimo nato. “Per vivere nel mondo dei gagé serve un cambiamento di mentalità che in pochi intendono percorrere”.
Per molti gruppi non è facile affrontare il tema del cambiamento, dell’integrazione. Esistono, però, alcune comunità inserite. Ad esempio, i Rom calabresi, abruzzesi e molisani abitano in appartamento sin dagli anni ’50. Per loro, parlare di inserimento professionale è facile. Hanno abbandonato gli antichi mestieri e sono diventati commercianti, impiegati, operai.
Diversa è la vita dei Rom immigrati dalla Jugoslavia negli anni ’60 e ’70, adattatisi a vivere nei campi sosta, e diversa è la vita dei profughi di guerra, giunti nel biennio ’92-’93: anni di sedentarietà e attività lavorative consolidate hanno reso più facile l’inserimento.
Altra situazione per i Rom romeni stabilitisi in tutta lo Stivale negli anni scorsi. Tempo fa, in Moldavia, ho conosciuto il Rom Vasile Dragoi. Negli anni ’90 ha deciso di diventare imprenditore e oggi è proprietario di una grande azienda che produce gelati, con 400 dipendenti e 20 direttori di settore.
È molto orgoglioso della sua attività, sviluppata grazie alla sue capacità imprenditoriali. Sua moglie è direttore di banca e nel tempo libero collabora con lui. Anche i suoi due figli sono impegnati nello stesso settore. Vasile desidera inserire i ‘suoi’ gelati nel circuito di una grande catena commerciale occidentale. Ultimamente, inoltre, dopo un’analisi di mercato ha deciso di vendere in Moldavia la pizza italiana, della quale conosce tutti i segreti. Questa novità è stata accolta bene e le vendite sono in aumento. “Da noi nessuno ci aveva pensato – spiega in un buon Italiano – l’ha fatto uno zingaro”.
Vasile fa parte dell’Iru (International Romanì Union) l’Associazione mondiale dei Rom che lotta per la tutela dei loro diritti. Per molti l’emancipazione, l’inserimento nella società significa perdita di identità, tagliare le proprie radici. In tanti, comunque, come Vasile, si attivano e dedicano parte del proprio tempo per aiutare chi ancora non gode pienamente dei propri diritti.
Accanto a questi esempi virtuosi, non si può sottacere di Rom e Sinti che rubano negli appartamenti, realizzano truffe, asportano il rame contenuto nei cavi dell’alta tensione, pretendono il pizzo dalle persone che acquistano i biglietti della metro alla stazione Termini, sfilano i portafogli sui bus con tale destrezza da passare inosservati. Rom e Sinti sono conosciuti come ladri e rapitori di bambini: non a caso, ogni volta in cui sparisce un bambino, gli inquirenti si orientano verso una probabile ‘pista zingara’. È stato cosi per i casi di Angela Celentano e Denise Pipitone. L’ultimo episodio un anno fa: la bimba bionda con gli occhi azzurri trovata in Grecia. Dopo tanto rumore si è scoperto che i genitori stessi l’avevano affidata ad una famiglia rom, e non venduta, come sostenuto dai media.
Lati positivi e negativi si fondono. I Rom sono una popolazione molto variegata e diversificata. Impossibile incasellarli.
Nei loro confronti permangono stereotipi, prigioni ideologiche, veri e propri ghetti mentali che riuniscono al loro interno tutti i pregiudizi. Questi, desidero ricordarlo, sono le proiezioni di paure irrazionali, personali e collettive. Einstein amava ripetere: “È più facile distruggere un atomo che un pregiudizio”. L’escluso diventa qualcuno da perseguitare.
I problemi del popolo rom sono tanti, primo tra tutti l’assenza di diritti. Passare dalla porta dei doveri risulta più complesso se non si è entrati attraversando quella dei diritti. La soluzione di ogni problema si realizzerebbe semplicemente rendendo effettivo il contenuto dell’articolo 6 della Costituzione. Eppure, in Italia esistono ben 12 leggi regionali e oltre un centinaio di fonti comunitarie poste a tutela della cultura rom.
È dunque necessario intervenire, nei confronti sia degli Italiani, sia dei Rom. Entrambi vanno aiutati a vivere pacificamente costruendo ponti anziché innalzando muri.

Per informazioni
A.I.Z.O. onlus. Sede nazionale: via Foligno 14, 10149 Torino
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Carla Osella
Presidente Nazionale A.I.Z.O. (Associazione Italiana Zingari Oggi Onlus)

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