Terra di confine

Adam Asmundo

L’Ucraina si trova oggi a scegliere quale modello di sviluppo adottare. Parte della popolazione spinge verso l’Occidente, mentre alcuni vorrebbero passare nell’area di influenza russa. La vera partita, però, deve ancora iniziare: il Paese è, infatti, chiamato a realizzare importanti riforme strutturali a fronte del prestito erogato dal Fmi

Perché è così importante l’Ucraina e quali sono gli interessi economici dei vari blocchi (UE, Usa e Russia)?
Probabilmente, dobbiamo chiederci non tanto perché, ma per chi è così importante l’Ucraina.
Il Paese non ha un’economia particolarmente ricca. In passato era la seconda delle Repubbliche sovietiche e la sua produzione era nettamente superiore a quella della terza, il Kazakistan. Oggi, quest’ultima l’ha quasi raggiunta. Per una serie di ragioni, dal 1991 produzione e ricchezza sono progressivamente diminuite ed il reddito pro-capite, in termini di potere di acquisto reale, è sceso a poco più di 7.000 dollari l’anno, al di sotto di quello albanese. Nonostante oggi l’economia ucraina sia relativamente povera, conserva caratteristiche importanti ed il Paese continua ad essere il granaio dell’ex Urss. Basa, infatti, la sua ricchezza sulla produzione agricola e vanta un’industria pesante diversificata, fondamentale per la costruzione e la manutenzione, ad esempio, di gasdotti e oleodotti di una certa portata, oltre che di impianti di trivellazione. Si tratta di produzioni particolarmente funzionali all’industria energetica russa. Per questi motivi l’Ucraina rimane un’area importante per gli interessi produttivi e commerciali della Russia, un po’ come il Mezzogiorno è parte integrante dell’economia del resto dell’Italia.
Con la caduta del blocco sovietico, il Paese ha dovuto iniziare a reggersi sulle sue gambe, niente poteva più darsi per scontato. Molte ex Repubbliche sono progressivamente entrate nell’orbita dell’Unione Europea e, prima con i negoziati di adesione e poi con l’adesione stessa, sono divenute Stati membri. Ciò ha allargato l’area del libero scambio e la libera circolazione di persone e merci, basata anche sulla convergenza di regolamenti e di regole. Alla convergenza economica si affiancano quella legislativa e l’adozione di standard e procedure che hanno rappresentato, per questi Paesi, le condizioni di base per un notevole avanzamento economico e sociale. Uno sviluppo basato non soltanto sull’offerta di prodotti a prezzo competitivo, frutto di investimenti e delocalizzazioni di imprese occidentali in cerca di opportunità produttive a costi inferiori, ma anche su un graduale aumento del benessere e del reddito – anche se questo è generalmente più basso rispetto alle altre Nazioni dell’Europa centrale – secondo le tendenze del grande gioco globale. Esprimo queste considerazioni non da neoliberista e non certo da appassionato di mercati finanziari, ma da osservatore che ha sperimentato personalmente, in questi Paesi, i benefici derivanti dall’apertura e dalla libertà economica, realizzati all’interno di un sistema di regole convergente.
Nel caso dell’Ucraina, questo percorso risulta di difficile realizzazione. Dal 1991 l’economia si è orientata verso le liberalizzazioni e le privatizzazioni, ma questo processo risulta particolarmente complesso ed è osteggiato da parte della popolazione. Nei sistemi dell’Est, le persone erano abituate al soddisfacimento dei bisogni primari per diritto di cittadinanza: possedevano comunque un lavoro, una casa, un’assistenza sanitaria e il riscaldamento per l’inverno, fondamentale in Paesi così freddi. Il passaggio all’economia di mercato ha comportato l’esigenza di produrre reddito e ricchezza per far fronte ai propri bisogni. I supermercati si sono riempiti di merci, ma più rapidamente di quanto si siano riempiti i portafogli dei consumatori.
Questo è chiaramente un passaggio duro, soprattutto nelle fasi iniziali, e non è riuscito ai Governi del tempo – benché ben intenzionati – a causa delle resistenze e dello scarso consenso sociale. Negli anni, qualcosa è comunque stata fatta, specie sul versante delle grandi privatizzazioni (le maggiori aziende di Stato, la gestione dei servizi pubblici) ma il processo riformista è ancora incompiuto e questo rende il Paese più vulnerabile agli shock esterni, cioè, sostanzialmente, l’aumento dei prezzi dei beni importati.
In Occidente, molti pensano che l’Ucraina abbia risorse energetiche importanti. Queste, però, coprono solo i 3⁄4 dei suoi bisogni. Il resto viene importato dalla Russia, che fissa il prezzo del gas secondo i suoi criteri. Il fatto che l’Ucraina partecipi al processo produttivo con i materiali per l’estrazione assume un’importanza relativa. Questa osservazione porta il nostro ragionamento verso aspetti diversi dalle pure e semplici dinamiche economiche e ci indica quanto la relazione energetica serva a mantenere un rapporto di funzionalità gerarchica tra i due Paesi. Il processo di liberalizzazione e di avvicinamento alle condizioni dell’Occidente viene visto dalla Russia, Stato con attitudine e tradizione egemonica sull’area, come qualcosa di rischioso: potrebbe costituire la premessa per un’uscita dell’Ucraina dalla sua zona di influenza e per un ingresso in quella della Nato, i cui confini oggi sono essenzialmente riconducibili a quelli dell’Unione Europea. Romania, Bulgaria, Ungheria e Polonia hanno ormai la funzione di confine di Stato, difendibile con gli accordi del Patto atlantico anche e soprattutto nella concezione e nella mentalità di ciò che rimane dell’Unione sovietica. Per il modo di pensare della grande madre Russia, questa situazione non è ottimale, per usare un eufemismo.
La partita è dunque più geopolitica che economica e si gioca a vari livelli: l’importanza economica del Paese è relativa e dipende, per l’Occidente, soprattutto dal suo ruolo di fornitore indiretto di gas, quindi di risorse dalle quali il sistema dipenderà ancora a lungo, fino a quando non entreranno a regime le diverse possibili scelte alternative. La reciprocità degli scambi e gli accordi assunti alla fine dello scorso anno con l’Unione Europea per alimentare le possibilità di scambio restano sullo sfondo rispetto a motivazioni egemoniche che hanno altre origini.

Quali sono le ragioni dell’intervento del Fmi, che ha varato un piano da 17 miliardi di dollari per evitare al Paese la bancarotta, e la contropartita richiesta?
La questione del gas è rilevante così come lo sono gli interessi strategici e non dobbiamo considerare gli interessi occidentali come meramente opportunistici. Il Fmi ha quasi una sorta di “obbligo statutario” per interventi di questo tipo. Bisogna, infatti, tener conto dell’importanza di questo Paese per la sua estensione territoriale, la sua collocazione ed il benessere di gran parte della sua popolazione. Negli ultimi anni abbiamo visto come alcune aree “sensibili” possano sperimentare disagi per le loro popolazioni e per la comunità internazionale, ben al di là delle loro estensioni territoriali o delle loro collocazioni, più o meno periferiche. Per citare casi geograficamente vicini, la Russia era già intervenuta nel cuore dell’Europa nella tragica guerra del Kosovo, dove solo nel 2008 sotto il protettorato Onu si è raggiunta la pace ed un equilibrio virtualmente privo da ingerenze esterne. Nello stesso 2008 l’esercito russo era ancora attivo nella crisi in Georgia, con le drammatiche ripercussioni in Abkhazia e Ossezia. Tutte evidenze di una mentalità ancora, per così dire, tardo-imperiale.
Dopo i lunghi secoli dello zar, adesso in Russia la forma di Governo ed il profilo del Capo di Stato sono diversi, con una Democrazia in crescita. Si assiste, però, ancora ad una sorta di resistenza al cambiamento che, anche sul piano internazionale, si traduce in un evidente esercizio di gestione del territorio e di dominio sulle aree di interesse.
Il Fondo monetario internazionale è un organismo fondato da diversi Paesi, all’indomani della Seconda guerra mondiale, per risolvere i problemi finanziari che potessero mettere in difficoltà Paesi in ritardo di crescita e di sviluppo o con forti problemi economici. Si riteneva, correttamente, che le più serie crisi strutturali dei singoli Paesi avrebbero potuto condizionare l’equilibrio e l’armonia a livello internazionale.
Implicitamente, questo significa che il Fondo decide di intervenire soprattutto quando sono a rischio gli equilibri interni e la pace sociale nei singoli Paesi, talvolta al fine di scongiurare pericolose alterazioni degli equilibri esterni. Il Fmi è formato anche dai Paesi europei, ma gli Usa detengono la quota più rilevante. Di fatto, il Fmi costituisce la lunga mano finanziaria del mondo occidentale ed interviene per riequilibrare i bilanci pubblici e i deficit di bilancia dei pagamenti delle Nazioni in difficoltà: l’aiuto per risolvere le crisi, difficile da offrire come singoli Paesi, diviene dunque possibile come collettività internazionale.
Entrando tecnicamente nelle cifre, nel dicembre scorso era stato negoziato un pacchetto di aiuti tra il presidente ucraino Yanukovich ed il presidente Putin per un accordo di assistenza finanziaria del valore di 15 miliardi di dollari e prezzi più bassi per il gas. Queste risorse servivano ad evitare la bancarotta di un’economia in crisi, prima di derive simili a quelle che in Europa abbiamo visto in Grecia e in Portogallo.
Alla fine, il Fmi ha proposto un finanziamento di 17 miliardi e l’Ucraina ha deciso di cogliere questo aiuto e non quello russo. La Russia, risentita, ha minacciato un forte aumento del prezzo del gas e ha preteso 5 miliardi di dollari per il pagamento di alcuni debiti pregressi (ndr).
L’accettazione del finanziamento ha dato origine, così come era già successo in Argentina e Cile, alle negoziazioni sulle condizioni da realizzare – essenzialmente riforme strutturali – affinché il prestito venisse erogato. È chiaro, infatti, che, se si è presentata l’esigenza di richiedere questo prestito, significa che qualcosa non è andata per il verso giusto. Ci troviamo evidentemente di fronte all’impossibilità, da parte del Governo, di realizzare significative riforme economiche e sociali, contrastare l’economia sommersa, notevolissima in questi Paesi, e contrastare l’evasione fiscale e la corruzione, ed è ovvio che chi offre in prestito risorse così ingenti ponga delle condizioni a garanzia del rimborso. In pratica, i fondi vengono erogati in cambio di riforme strutturali. Ciò significa che bisogna avviare un percorso non necessariamente gradito a parte della popolazione e alla “controparte nascosta” – in questo caso piuttosto esplicita, la Russia. A questo punto, il problema per Putin non è solo di natura economica (benché l’economia possa rappresentare il cavallo di Troia attraverso il quale l’Occidente si presenti pacificamente nell’area): l’intervento sulla Crimea indica, infatti, che per la Russia permane l’esigenza di essere fisicamente presente con armamenti, mantenere un arsenale nella zona e una posizione dominante nella regione.
In realtà, la situazione interna di questi Paesi non è di facile interpretazione. Rimane il contrasto tra un’abitudine all’economia sociale, tradizione e nostalgia, e il mondo attuale, nel quale è, invece, indispensabile rimboccarsi le maniche e competere per riuscire a guadagnarsi il successo che si ritiene di meritare. Tra queste due tendenze, dotate di forti valenze ideologiche – investono persone, gruppi e strati sociali – il contrasto è forte. L’aspirazione a lasciare tutto com’è, a mantenere lo status quo, è vissuta da una parte della società.
Ecco perché si manifesta una fazione “filorussa”: il vecchio sistema comportava vantaggi. Malessere sociale, resistenza al cambiamento e nostalgia vorrebbero che questi vantaggi rimanessero. L’amicizia con i Russi continuerebbe a produrre i vantaggi che finora ha comportato e la paura di aprirsi al mondo occidentale, dove tutto è concorrenza e competizione, viene vista come una minaccia e un rischio. Concorrenza e competizione comportano effettivamente dei rischi, ma in un corretto sistema di regole la concorrenza non è sleale, premia il merito e, comunque, non significa che il sistema escluda che si possa assistere chi ha bisogno o si trovi in situazioni di difficoltà: in Occidente, chi ha bisogno può fare affidamento sullo Stato anche a prescindere dalla sua capacità di produrre reddito e ricchezza e questi sono modelli istituzionali e di comportamento sconosciuti nei Paesi dell’ex blocco sovietico.
Sono più accettabili e compresi nei Paesi a noi più vicini, nei quali la cultura intesa in senso lato ha avuto più scambi, come nel caso della Polonia con la Germania e dell’Ungheria e della Slovenia con l’Austria. Ho avuto modo di visitare queste Nazioni prima dello scioglimento del blocco nel 1989 e già in quegli anni apparivano culturalmente più occidentali di quanto noi non potessimo pensare. È vero che esisteva il socialismo di Stato, ma la capacità personale ed imprenditoriale non era ancora stata sepolta. Oggi, infatti, ci relazioniamo con molta facilità con questi Paesi, i quali presentano anche apparati amministrativi molto efficienti.
Sotto il profilo dello sviluppo bisogna anche considerare che Nazioni come Ungheria, Slovenia e Croazia stanno crescendo a ritmi particolarmente elevati e possiedono una capacità di risposta agli interventi dei Fondi europei molto alta: con risorse finanziarie decisamente inferiori rispetto a quelle destinate al Mezzogiorno, hanno realizzato una conversione di grande successo e crescono, aumentano le loro esportazioni e l’occupazione. Per loro, l’adesione ai modelli occidentali è rappresentata dalla UE ed è vista come un fattore determinante di progresso e successo. In questo senso, è facile comprendere le speranze di coloro i quali, anche in Ucraina, desiderano una maggiore integrazione con il mondo occidentale per migliorare le proprie condizioni di vita.

Si può quindi affermare che è come se l’Urss fosse crollata oggi per l’Ucraina e che questa sia chiamata ora a decidere quale modello di sviluppo adottare? Può questa Nazione stabilirsi come punto di contatto equidistante tra UE e Russia?
Se da un punto di vista analitico la situazione economica non appare così complessa, il problema è come questa viene vissuta, a metà fra tradizione e innovazione. Nonostante il Muro sia caduto da tanto tempo, non sono state realizzate le riforme necessarie perché il Paese si reggesse e crescesse sulle sue gambe. Questo è accaduto per diverse ragioni, oltre che per l’abitudine conservativa e la mancata percezione che il mondo fosse cambiato. È come se l’economia ucraina avesse ricevuto il colpo adesso, ma, in realtà, il declino è legato al cedimento della produzione del 40% verificatosi tra il 1991 e il 1999, dopo l’apertura del blocco sovietico, ed in assenza delle necessarie riforme strutturali.
Un esempio concreto: se nessuno paga le tasse – e ricordiamo che nel sistemo sovietico le imposte, sostanzialmente, non esistevano – nel momento in cui si effettuano le grandi privatizzazioni, come si finanziano i servizi pubblici? Questo genera restrizioni nella spesa e nell’intervento pubblico, con conseguenze sulle condizioni di vita di ampie fasce della popolazione. Da domani sarà facile attribuire la responsabilità del disagio al Fmi, ma, in realtà, si tratta di misure che potevano e dovevano essere realizzate prima. D’altra parte, c’è l’abitudine al passato e rimane importante l’effetto di qualcosa che l’Occidente conosce poco: la propaganda. In questi Paesi, per lunghi anni l’Occidente è stato dipinto come uno spauracchio, la lunga mano dello zio Sam che conquista e colonizza (questo oggi ci fa sorridere, ma anche nell’Italia degli anni ‘70 un’ampia parte della sinistra viveva preoccupata per l’imperialismo americano). Bisogna immaginare quale possa essere, per un’ex Repubblica sovietica, la percezione della presenza di interessi esterni nell’area di sua pertinenza: è una cosa che può imbarazzare chiunque. Chi è nostalgico, chi ha avuto altre idee e ha vissuto in un mondo diverso, chiaramente avrà difficoltà ad accettare un approccio culturale diverso: l’economia di mercato, appunto, con tutti i suoi alti e bassi e che, per quanto sia un male, è comunque il minore dei mali possibili, soprattutto se esistono regole per il suo funzionamento e queste vengono rispettate. Lo dico da Europeo (avendo in mente Svezia e Danimarca, Francia e Croazia): l’Unione Europea riesce ad assicurare il maggiore benessere possibile alla maggiore quota della sua popolazione. A favore di un approccio democratico e sociale all’economia di mercato, devo però aggiungere che Polonia, Ungheria, Slovenia, Montenegro e Albania oggi vantano un tasso di crescita elevato e possiedono un’importante caratteristica comune: presentano una distribuzione del reddito molto meno diseguale ed equa, ereditata dal passato, ma che tendono a riprodurre nel presente, più equilibrata di quella dei Paesi nei quali non si cresce da tempo, come l’Italia.
Secondo questa angolazione, agli occhi di uno studioso l’Ucraina ha più facilità, dal punto di vista umano e sociale, ad affrontare i problemi della crescita. Allo stesso tempo, bisogna dire che permangono nostalgie, propaganda e logiche di appartenenza che potranno costituire solo un ostacolo verso un percorso armonioso di crescita e sviluppo.
Da un punto di vista economico, va comunque sottolineato che, anche se il presidente Putin ha deciso di tenere l’esercito schierato, questo non sarebbe strettamente necessario per mantenere l’egemonia dell’area. Regole e accordi economici e politici possono oggi istituzionalizzare ogni possibile forma di relazione senza ricorso alla forza. Il tipo di comportamento che la Russia sta tenendo può essere considerato, per molti aspetti, come un’attitudine che continua a trasformarsi in consuetudine.
Resta, comunque, al di là di ogni considerazione geopolitica, la constatazione delle sempre maggiori relazioni tra i nostri Paesi: la manodopera ucraina si sposta verso Ovest – come già avveniva in passato – e sono nate e continuano a svilupparsi importanti partnership commerciali e relazioni economiche ed imprenditoriali di ogni natura nonostante l’Ucraina sia rimasta, fin qui, nell’ambito dell’influenza russa. Tutto questo prescinde da qualsiasi decisione politica: il mondo va già verso una certa direzione, nella quale trova, dinamicamente, il suo equilibrio.

Domande poste da Angela Michela Rabiolo

Adam Asmundo
Responsabile delle Analisi Economiche presso la Fondazione RES e professore a contratto di Economia urbana e del territorio presso l’Università di Palermo.

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