La riforma dello Stato sociale

Marco Macciantelli

Dopo alcuni secoli, il modo in cui l’istituzione ospedaliera ha rappresentato la propria missione merita di essere rivisitato, secondo una logica non ragionieristica, ma di ciò che realmente serve alla terapia, alla cura, al paziente.

Da tempo si ragiona di riforma dello Stato sociale e si insiste sul concetto di appropriatezza. Lo si fa, per lo più, sul lato dell’offerta. Forse, è giunto il momento di riconoscere che il welfare verso il quale tendere dovrebbe basarsi su un’appropriatezza anche sul lato della domanda. Non i tagli per i prossimi sei mesi; il progetto di società per i prossimi sessant’anni. Tutti conoscono la situazione della spesa pubblica e sanno come la sua riduzione rischi di incidere drammaticamente sui servizi. Possiamo, giustamente, continuare a ripetere che non ci sono più soldi. Possiamo anche fare delle scelte, cercando di promuovere, a dispetto delle ristrettezze proprie di un momento di crisi, politiche di innovazione sociale che non comportino costi, ma che, in alcuni casi, concorrano a riqualificare la spesa, senza smettere di preparare le condizioni per la comunità di domani. Occorre una visione più ampia, tale da coinvolgere il modo di fare relazione tra cittadini e sistema sanitario. Occorre investire fiducia e speranza in una comunità fondata, da un lato, su diritti universalisti e, dall’altro, sulla responsabilità sociale della persona, su stili di vita più orientati alla salute. È evidente che non siamo all’anno-zero, ma, forse, occorrono ulteriori stimoli. Nel nostro territorio, per esempio, si sta affermando una cultura della salute, all’interno dei nostri Piani di zona, orientata alla prevenzione, un valore sociale che non può dipendere solo dalle istituzioni. Movimento, sport, ambiente, abitudini. Da ultimo, un’indagine sulla sindrome metabolica che offre alle persone informazione e strumenti di autocontrollo. Si dice: una visione olistica. Occorre coscienza del fatto che la salute non dipende solo da noi, ma, almeno in parte, anche da noi. Il tema è affrontato nelle Democrazie più avanzate, merita la massima cautela, ma non credo sia corretto sottrarci all’esigenza di una riflessione ben impostata. Uno degli autori che hanno caratterizzato il secolo scorso è stato Michel Foucault, il quale raccomandava di considerare il potere non un luogo, ma una relazione e, tra le situazioni significative, quelle ove si determina il senso di un’istituzione totale, chiusa, concentrazionaria. Ad esempio, l’ospedale. A lui dobbiamo la ricerca sulla nascita della clinica. Lì si spiega come l’ospedale abbia avuto un inizio e come anch’esso sia un frutto storico determinato, destinato a modificarsi con la trasformazione delle nostre società. In parte, è già accaduto, in parte potrà, ulteriormente, accadere. Bisogna prepararsi, non con le forbici contabili, ma con le strategie della sostenibilità. Dopo alcuni secoli, il modo in cui l’istituzione ospedaliera ha rappresentato la propria missione merita di essere rivisitato, secondo una logica non ragionieristica, ma di ciò che realmente serve alla terapia, alla cura, al paziente. In questo ambito, occorre sempre più ragionare di una medicina di base che accolga, nella sua autonomia professionale, le metodiche della teoria dell’organizzazione partendo dal lavoro di équipe. Deve essere offerto, in misura sempre maggiore, un presidio fuori, prima e dopo l’ospedale, a partire dalle Case della salute. Alcuni mesi fa, nel corso di un’intervista rilasciata ad un grande quotidiano nazionale, Umberto Veronesi ha spiegato come, a suo avviso, almeno il 40% degli ospedali del nostro Paese meriterebbe di essere rivisto e riorganizzato. Oltre c’è la rete ospedaliera, vale a dire un sistema territoriale che preveda presidi sanitari differenziati ed integrati consentendo la scelta dell’offerta terapeutica più appropriata. Non tutto a due passi da casa, il che, evidentemente, non è possibile, ma la risposta dove essa risulti più adeguata. Anche in questo caso occorre prendere congedo dai confini municipalistici. Adeguatezza significa maggiore garanzia di efficacia. La letteratura scientifica sottolinea la stretta correlazione esistente tra sicurezza, risultati dei trattamenti, volumi di attività. Oggi l’Italia vanta un rilievo nel mondo, insieme al Giappone, dal punto di vista dell’aspettativa di vita. Un bambino che nasca in questo istante ha davanti a sé un’aspettativa di vita di oltre 80 anni, una bambina di circa 85. Non si può non essere coscienti di questa conquista, un primato che è conseguenza di un sistema sociale e sanitario, che, nonostante tutto, sin qui ha funzionato e nel quale è stata debellata la mortalità infantile. Sempre più spesso leggiamo di esploratori del tempo che sfondano la soglia dei 100 anni. Sono pionieri, ma altri, statisticamente, si aggiungeranno. Ciò rappresenta una delle questioni di cui non sempre ci si occupa abbastanza. Siamo troppo presi da un eterno presente per poter alzare lo sguardo verso il futuro che ci attende. Il sistema sanitario e lo Stato sociale, sin qui, hanno permesso di raggiungere questi risultati. Ma è bene che quel bambino, quella bambina sappiano che la vita è un dono da custodire e che la qualità della vita merita di essere coltivata con comportamenti conformi. Penso a chi ha dovuto affrontare un trapianto, persone restituite spesso ad una vita normale, che hanno ricevuto dalla Sanità pubblica un intervento che ha salvato loro la vita con un’assistenza completa e senza alcun onere, com’è giusto che sia. La Sanità pubblica di qualità deve continuare ad essere quella che ti salva la vita.

Marco Macciantelli
Dottore di ricerca in Filosofia, Sindaco di San Lazzaro di Savena (BO)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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