Costi e benefici

Gianluca Baio

Il progresso tecnico-scientifico porta indubbiamente dei vantaggi, ma richiede anche una maggiore sorveglianza riguardo all’effettiva convenienza ad adottare determinate tecnologie sanitarie quali farmaci, dispositivi medici, tecniche diagnostiche, procedure chirurgiche, altre tecnologie terapeutiche ed attività di promozione della salute.

Il sistema sanitario si trova di fronte alla crescente necessità di un’efficace allocazione delle risorse in un contesto di informazioni disponibili in maggiori quantità e di migliore qualità (ma, al tempo stesso, più complesse) e di una forte frammentazione degli studi scientifici che vengono condotti. In linea con gli insegnamenti del movimento dell’Evidence Based Medicine, l’esplicito utilizzo delle migliori e più attuali prove di efficacia (che vanno ad integrare la capacità clinica individuale ed i valori e le aspettative dei pazienti), nell’assumere decisioni sulla cura dei singoli pazienti il processo decisionale in Sanità è ormai riconosciuto come una disciplina basata sulle evidenze scientifiche e, al tempo stesso, sulla modellistica (decisionale), allo scopo di indirizzare le scelte di sistema in modo ottimale.
Il progresso tecnico-scientifico porta indubbiamente dei vantaggi, ma richiede anche una maggiore sorveglianza riguardo all’effettiva convenienza ad adottare (per tutta la popolazione o in particolari gruppi di pazienti) determinate tecnologie sanitarie quali farmaci, dispositivi medici, tecniche diagnostiche, procedure chirurgiche, altre tecnologie terapeutiche ed attività di promozione della salute. La sfida dell’Health Technology Assessment (HTA) è quella di valutare le nuove e le correnti strategie in base a:
–  la probabilità che la tecnologia porti ad un significativo miglioramento di salute;
–  la probabilità che la tecnologia porti ad un significativo impatto su altre politiche sanitarie (ad esempio, diminuzione delle disuguaglianze);
–  la probabilità che la tecnologia porti ad un significativo impatto sulle risorse (di tipo finanziario e non solo) del sistema sanitario.
Storicamente, l’applicazione di strumenti di valutazione economica ha riscontrato notevole resistenza in ambito sanitario. A lungo, l’appello all’utilizzo di metodi formali derivati da discipline lontane da quelle che generalmente gestiscono gli aspetti legati alla salute è stato visto come un’inaccettabile intrusione. Dopo tutto, ci sono difficoltà oggettive nel “costringere” un argomento complesso come quello della fornitura di servizi sanitari per un’intera popolazione di riferimento a rigidi vincoli economici. A tale riguardo, un malinteso comune è quello che confonde la valutazione economica con un processo meramente finanziario: il decisore pubblico dovrebbe cercare di ottimizzare i propri comportamenti selezionando gli interventi che producono un costo minore, indipendentemente dall’effettivo risultato clinico. In realtà, questa è soltanto una faccia della medaglia; la valutazione economica (spesso genericamente identificata con la farmacoeconomia) è in realtà l’integrazione di discipline complesse, una delle quali è l’analisi finanziaria.
Per valutazione economica si intende, piuttosto, una serie di metodologie (sempre più legate a metodi statistici avanzati) in grado di guidare il processo decisionale allo scopo di massimizzare i benefici clinici in presenza di vincoli finanziari. Dunque, il reale obiettivo è quello di scegliere l’intervento che, a parità di efficacia clinica, è associato ad un minore costo totale di gestione. Da un punto di vista prettamente quantitativo (legato a considerazioni di tipo statistico), ciò implica che i processi di valutazione economica in Sanità siano caratterizzati da due dimensioni di analisi: quella clinica (alla base di ogni studio clinico, compresi quelli tipicamente utilizzati per prendere decisioni circa l’utilizzo e la rimborsabilità di interventi sanitari, ad esempio prescrizioni farmacologiche) e quella legata ai costi totali di implementazione. Questi comprendono vari aspetti e, in una valutazione formale, sono estesi ai costi di acquisizione della tecnologia sotto analisi e (quanto meno) anche ai costi legati all’occorrenza di eventuali effetti indesiderati o collaterali dovuti all’applicazione dell’intervento.
Se queste due dimensioni possono essere “combinate” in modo opportuno, la scelta tra due o più interventi (o trattamenti) alternativi per la stessa patologia è sostanzialmente determinata dal confronto del valore ad essa associata: se il farmaco A possiede un valore congiunto per costi e benefici maggiore del valore associato al farmaco B, allora il primo dovrebbe essere scelto dal decisore pubblico a discapito del secondo. Sfortunatamente, ci sono alcune limitazioni ed alcune problematiche legate a questa costruzione: la prima è relativa alla procedura utilizzata per combinare costi e benefici, forzatamente definiti su scale differenti (euro per i primi e opportune misure cliniche, come, ad esempio, mortalità evitata, per i secondi). La soluzione suggerita comunemente (soprattutto nella letteratura di stampo anglo-sassone) considera l’utilizzo dei quality-adjusted life years (QALYs) come misura di efficacia clinica associata ad un certo intervento. Questo indicatore è stato specificamente creato per combinare una misura di quantità ed una di qualità della permanenza in vita di un individuo; l’aspettativa di vita di un anno in salute perfetta è associata al valore 1, mentre l’aspettativa di vita di un anno in condizioni di salute non ottimali è associata a valori minori di 1, tipicamente compresi nell’intervallo tra 0 e 1. Pur non rappresentando universalmente una soluzione ottimale, l’utilizzo dei QALYs consente di confrontare interventi diretti a patologie o condizioni cliniche distinte, permettendo, quindi, una procedura di valutazione applicabile in modo sistematico in un range di situazioni.
Il secondo problema riguarda il fatto che, invariabilmente, le evidenze disponibili per il decisore sono di natura parziale. Studi clinici controllati o dati derivati da registri o database amministrativi rappresentano validi strumenti per ottenere informazioni analizzabili da un punto di vista statistico permettendo, così, di inferire circa costi e benefici presumibilmente attesi nell’applicazione di uno specifico intervento sanitario in una popolazione di riferimento. Tuttavia, queste stime sono caratterizzate da incertezza intrinseca, dovuta, ad esempio, alla limitata informazione ottenuta da studi in cui la dimensione campionaria o la generalizzabilità sia limitata. Inoltre, l’implementazione di un intervento sanitario (ad esempio, sostituire la prescrizione del farmaco B con il farmaco A che, sulla base delle evidenze disponibili, si è dimostrato più costo-efficace) comporta, in genere, dei rischi, come, ad esempio, l’irreversibilità di investimenti.
Conseguentemente, è sempre più importante complementare le valutazioni economiche con opportune analisi di sensibilità. L’idea di fondo è quella di valutare in che modo l’incertezza associata agli input del modello statistico impatti sul processo economico derivante. In particolare, l’analisi di sensibilità probabilistica permette di simulare un numero elevato di possibili “futuri” (sulla base delle informazioni attualmente disponibili e dell’incertezza che le caratterizza) in termini di costi e benefici. Questi futuri possono essere analizzati allo scopo di identificare quali siano le possibili conseguenze delle scelte attuali. Inoltre, è possibile quantificare se l’evidenza attualmente disponibile sia sufficiente ad assumere una decisione adesso o se, al contrario, sia più opportuno temporeggiare ed “acquistare” nuova informazione (ad esempio, per mezzo di nuovi studi clinici).
Gli strumenti utilizzati per operare queste valutazioni richiedono sempre maggiore familiarità con procedure di analisi statistica e tecniche computazionali avanzate. Di fatto, generano domanda di una nuova professionalità all’interno dell’arena sanitaria. Questo vale tanto più in Italia, dove si avverte l’assenza di un’agenzia di riferimento predisposta a gestire (in modo indipendente) per conto dell’autorità centrale le evidenze presentate a supporto dell’introduzione di nuove tecnologie sanitarie. Nel Regno Unito, il National Instute for Health and Care Excellence (NICE) esercita questo ruolo e comprende, al suo interno, una varietà di figure professionali (farmacologi, economisti, statistici, membri del pubblico), che lo rende in grado di produrre linee guida sull’utilizzo e la rimborsabilità di nuove tecnologie sulla base delle migliori evidenze disponibili allo stato attuale, oppure di rimandare il processo in attesa dell’acquisizione di ulteriori dati, qualora necessario. Sebbene nel settembre del 2007 la Conferenza Unificata Stato-Regioni abbia assegnato all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) anche la funzione di supporto alle Regioni per lo sviluppo di attività di HTA, in Italia non esiste un ente strutturato in questi termini. Se la riforma del sistema sanitario costituisce uno degli obiettivi del prossimo Governo che (prima o poi!) il nostro Paese avrà, l’istituzione di un NICE italiano è forse il primo passo da percorrere.

Gianluca Baio
Ricercatore Dipartimento di Statistica e Metodi Quantitativi dell’ Università di Milano Bicocca e University College London

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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