Internazionalizzazione della conoscenza

Daniele Petrosino

Vi è un’ambivalenza di fondo nel discorso sulla fuga dei cervelli, da una parte la mobilità e la circolazione di capitale umano qualificato è auspicato dalle istituzioni economiche internazionali e per certi versi sollecitato anche da quelle nazionali, dall’altro si considera tale mobilità come un costo ed una perdita per il paese.

È una impressione diffusa che i giovani laureati ed i giovani ricercatori cerchino con sempre maggiore frequenza una collocazione lavorativa fuori dall’Italia. I principali quotidiani se ne occupano da tempo (vedi dossier del Sole 24ore) e anche la comunità scientifica sta mettendo a fuoco il fenomeno con ricerche specifiche. Ciascuno di noi ha visto crescere intorno a sé un numero crescente di giovani laureati che hanno scelto di trasferirsi nel Nord Italia o all’estero. Naturalmente, possiamo guardare a questo processo da più prospettive e con valutazioni diverse.
Proviamo, innanzitutto, a guardare quali sono i dati che abbiamo a disposizione e quale sia la dimensione reale di questa emigrazione dei “cervelli”.
L’Istat ha diffuso, a fine 2012, alcuni dati che, da una parte ridimensionano un po’ il fenomeno, dall’altra indicano una tendenza effettiva.
Consideriamo le cancellazioni per trasferimento all’estero dei cittadini italiani. I dati diffusi dall’ISTAT evidenziano come nel lungo periodo vi sia un andamento complessivo discendente fino al 2010, con una diminuzione dell’emigrazione dei cittadini nella fascia 0-19 anni. Il rapporto tra le altre fasce di età appare, invece, relativamente costante.
Nel 2011 si verifica un incremento del movimento delle cancellazioni per l’estero che riguarda soprattutto le classi di età 20-39 e 40-59 anni. È evidente come tale improvvisa crescita possa essere considerata legata al deterioramento delle condizioni del Paese, ma anche in altri anni del decennio appena trascorso vi sono state delle impennate del fenomeno, in particolare nel 2001 e nel 2006, con cifre abbastanza vicine a quanto accaduto nel 2011.
Naturalmente, per quanto ci concerne, una maggiore attenzione va prestata all’andamento dei trasferimenti per titolo di studio.
Vi è una crescita dell’emigrazione dei laureati nel corso di tutto il primo decennio del XXI secolo, con un andamento stabile dei diplomati, che però crescono nel 2011, ed una diminuzione di coloro che sono in possesso solo della licenza media.
La crescita dei laureati che decidono di trasferirsi all’estero richiede qualche riflessione. Vi è, contestualmente alla crescita dei laureati che si trasferiscono all’estero, un aumento della presenza di laureati nella popolazione delle fasce di età esaminate – si consideri che il tasso di laureati nella popolazione in età 30-34 anni cresce del 5% tra il 2004 ed il 2011, vedi (ISTAT 2013), ed abbiamo, quindi, un effetto dovuto alla maggiore quantità di giovani laureati. Ciò non toglie che il trasferimento dei cittadini laureati, e tra questi di coloro che aspirano a fare della ricerca la loro professione, abbia subito un netto incremento.
Vi sono, però, delle riflessioni preliminari necessarie per sgombrare il campo dalla troppa retorica con cui la questione viene trattata. Innanzitutto, vi sono sia cittadini italiani che emigrano, sia cittadini che ritornano. Il saldo netto rimane negativo, ma si tratta di un numero certamente inferiore se si guarda solo il dato dei trasferimenti. Nel 2011, anno di picco delle cessazioni, sono rientrati circa 31.000 Italiani (di cui 5.700 con età superiore ai 25 anni ed in possesso di laurea) con un saldo netto negativo di circa 20.000 (di cui circa 5.000 in possesso di laurea). In secondo luogo, che dei ricercatori si trasferiscano dove possono svolgere la loro attività di ricerca con maggiore profitto fa parte del gioco. Si chiama circolazione dei cervelli. Sono insiti nell’attività di ricerca uno sguardo verso il mondo ed una proiezione alla mobilità. Un elemento di vantaggio per i dottorati sono gli scambi internazionali e che a questi segua la decisione di rimanere dove si è sviluppata l’attività di ricerca non appare così strano. Anche i giovani laureati hanno maturato una maggiore sensibilità internazionale grazie agli Erasmus, anch’essi cresciuti negli ultimi anni. Come si può vedere dal grafico, il trend tra studenti in Erasmus e trasferimenti di laureati all’estero è simile.
Certamente, da ciò non si possono evincere comportamenti individuali, ma la crescente apertura ed internazionalizzazione delle Università italiane produce anche una maggiore attenzione e propensione alla mobilità internazionale. Non credo che ciò sia da valutare negativamente. In ogni caso, riguarda una percentuale abbastanza limitata di giovani laureati e ricercatori. Forse, dovremmo preoccuparci soprattutto dell’enorme numero che resta e lavora in condizioni di incertezza o non lavora affatto, come argomenta Ciccarelli nel suo blog “La furia dei cervelli” (Ciccarelli 2012).
Come dicevamo, è abbastanza diffusa una certa retorica intorno alla fuga dei cervelli. Quasi tutti i principali quotidiani se ne sono occupati con inchieste e rubriche sottolineando i costi e la perdita che ciò comporta per il Paese. Su questa retorica hanno già scritto molti commentatori, in particolare Beltrame (Beltrame 2007).
Vi è un’ambivalenza di fondo nel discorso sulla fuga dei cervelli: da una parte la mobilità e la circolazione di capitale umano qualificato è auspicato dalle istituzioni economiche internazionali e, per certi versi, sollecitato anche da quelle nazionali; dall’altro si considera tale mobilità come un costo ed una perdita per il Paese.
Da questo punto di vista, peraltro, l’Italia evidenzia una situazione paradossale: abbiamo ancora un tasso inferiore rispetto agli obiettivi europei di popolazione tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio superiore, ma ciò non toglie che le imprese italiane domandino in misura relativamente ridotta laureati, per i quali lo sbocco nella pubblica amministrazione è oramai fortemente ridotto, e che vi sia un numero abbastanza elevato di laureati che lascia l’Italia. In altri termini, abbiamo bisogno dei laureati, ma non sappiamo usare quelli disponibili e, anzi, li lasciamo andare.
Ciò che dovrebbe preoccupare non è la mobilità, ma due elementi che caratterizzano questo fenomeno e lo rendono pernicioso: l’assenza di attrattività da parte dell’Italia per i laureati e ricercatori stranieri e le motivazioni che spingono i giovani “cervelli” italiani a lasciare il nostro Paese.
Mi soffermerei, innanzitutto, sul primo aspetto. La mobilità rappresenta un elemento che può favorire la crescita scientifica individuale e sistemica, consentendo lo scambio e la ricerca su un piano più vasto. Ciò costituisce la base di quanto viene definita “brain circulation”: i ricercatori si spostano secondo i propri interessi di ricerca e la capacità di un determinato sistema scientifico di offrire le possibilità di svolgere al meglio il proprio lavoro. Alcuni dati recenti mostrano, ad esempio, come la produttività dei ricercatori italiani all’estero tenda a crescere, ad esempio in termini di pubblicazioni (Colaiacomo 2012). Tale produttività e l’inserimento all’interno di reti di ricerca internazionali potrebbero rappresentare anche una grande chance per i Paesi di partenza, ma quasi sempre essi non sono in grado di utilizzare questo vantaggio.
Cosa non funziona, quindi, in questa circolazione? Il fatto, semplicemente, che non si tratta di circolazione. Questa prevedrebbe anche un rientro e la presenza di ricercatori e cervelli di altre Nazioni. Se ciò non avviene, si tratta solo di emigrazione. Harvey (Harvey 2008) ha mostrato come la retorica della circolazione nasconda spesso la semplice utilizzazione delle risorse umane in un altro Stato in una situazione di squilibrio e dipendenza. In altri termini, ciò che dovrebbe preoccuparci è l’incapacità di attrarre “cervelli”, radicata nelle difficoltà del nostro Paese e in politiche che non hanno favorito né l’ingresso, né il rientro di ricercatori e laureati: si pensi alle vicende che hanno accompagnato il progetto di rientro dei cervelli.
Questo ci porta al secondo punto. Le motivazioni alla base delle “fughe” sono solo raramente legate alla semplice possibilità di affacciarsi in un contesto scientifico o professionale nel quale poter svolgere al meglio la propria attività. Non si tratta neanche più del processo di precarizzazione, interiorizzato se non accettato. Le ragioni della partenza le ritroviamo nelle tante storie raccontate da coloro che partono ed attengono alle prospettive immediate, alle modalità di selezione, alle difficoltà intrinseche a svolgere il proprio lavoro. L’assenza di prospettive, anche precarie, la sensazione che prevalgano nepotismi, la mancanza ormai cronica di risorse sono le molle che spingono a cercare altrove la propria realizzazione.
Come spesso avviene, non sono coloro che stanno nella condizione peggiore, i giovani laureati e ricercatori meridionali, a costituire il grosso di questa migrazione, ma coloro che già partono da una posizione in cui la mobilità è un percorso più praticabile.
Porre questi temi semplicemente come perdita di capitale umano o costo per il Paese, da una parte, oppure esercizio del proprio potere di mercato (sono giovane e qualificato e vado dove posso trovare il maggiore apprezzamento) seppure mostra un aspetto del processo, sottace la questione più significativa: una totale assenza di politiche nei confronti delle giovani generazioni e, più in generale, del settore della conoscenza.

Riferimenti:
Beltrame, Lorenzo, 2007 “Realtà e Retorica Del Brain Drain in Italia. Stime Statistiche, Definizioni Pubbliche e Interventi Politici”. Dipartimento di sociologia e ricerca sociale, quaderno 35.
Ciccarelli, Roberto, 2012 “La Furia Dei Cervelli – IL PARTITO DELLA FUGA DEI CERVELLI COLPISCE ANCORA.pdf.”
Colaiacomo, Claudio, Bartens, Sibille, Giovanna, 2012 “Brain Drain in Italy – Elsevier Connect.pdf.”
European Commission, 2012 “ERASMUS STUDENT MOBILITY (SM).”
Harvey, William S., 2008, “Brain Circulation?” Asian Population Studies 4 (3) (November): 293–309.
ISTAT 2012a. “Indagine sugli Italiani residenti all’estero – 13_giu_2012 – Allegato Statistico.pdf.”
ISTAT 2012b. “Migrazioni della popolazione residente – 28_dic_2012 – Testo Integrale.pdf.”
ISTAT 2013 “Noi Italia – 30-34enni con istruzione universitaria.”

Daniele Petrosino
Professore Associato di Sociologia, Facoltà di Scienze Politiche Università di Bari

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