Il senso e l’origine della vita

Pier Mario Biava

Nel paziente oncologico si è interrotto un dialogo fra l’individuo ed un gruppo di cellule. E così la cellula tumorale organizza la propria vita, anche se questo avviene a spese dell’intero organismo, di cui di fatto essa non fa più parte.

Nel campo della ricerca oncologica si sta dimostrando che l’aggressività e l’invasività di diversi tipi di tumori sono dovuti alla presenza nel loro contesto di cellule staminali alterate. Queste ricerche stanno avendo molta eco anche nella stampa non specialistica tant’è che un recente numero dell’Economist riportava in copertina a tutta pagina il titolo “Cancer and Stem Cells. The connection that could lead to a cure”. All’interno in diversi articoli veniva ricordato che tale scoperta, pur se ancora non aveva portato ad alcuna terapia, poteva essere paragonata a quella delle onde radio, della relatività di Einstein, degli antibiotici. È questo precisamente il filone di ricerca, che da oltre 20 anni, quando gli studi sulle cellule staminali non erano di moda, sto perseguendo con vari collaboratori: le ricerche, effettuate nei nostri laboratori, basate proprio sull’ipotesi che le cellule tumorali sono cellule staminali mutate, hanno portato ad individuare specifici fattori, che differenziano le cellule staminali normali, che hanno dimostrato di essere in grado di rallentare od inibire la crescita di diversi tipi di tumori umani in vitro. I fattori, isolati esattamente nel momento in cui negli embrioni di ovipari (è stato scelto l’embrione di zebrafish come modello di studio del differenziamento cellulare) si differenziano i diversi tipi di cellule staminali, sono stati sperimentati su molti tumori umani in vitro. A dette ricerche vanno aggiunte quelle effettuate a livello clinico: il vantaggio di aver percorso da lungo tempo la via della ricerca incentrata sul rapporto fra cellule staminali e cancro ha infatti permesso di concepire, prima di altri ricercatori, una iniziale terapia, che è stata sperimentata in uno studio clinico controllato, randomizzato, durato 40 mesi (dal 1° gennaio 2001 al 31 Aprile 2004) su 179 casi di tumori primitivi del fegato in fase avanzata. I risultati di tale studio sono stati molto interessanti e sono stati pubblicati nel 2005 su Oncology Research. Orbene tutte queste ricerche vengono menzionate in alcuni libri, che ho pubblicato, quali il libro edito in Italia da Springer e che ha come titolo “Il Cancro e la Ricerca del Senso Perduto” (“Cancer and the Search for Lost Meaning” nell’edizione americana edita da North Atlantic Books) e quello, appena pubblicato, sempre da Springer in collaborazione con Ervin Laszlo e vari altrtri autori, dal titolo “ Il Senso Ritrovato”. Tali pubblicazioni hanno come scopo principale quello di far capire cosa sono le malattie tumorali: in esse viene proposto un modello di cancro, in cui tali malattie vengono spiegate nelle loro cause e nella loro genesi. I processi che conducono al cancro risultano chiariti: questo, cosa ancora più importante, ha permesso di concepire nuovi approcci terapeutici nel campo delle terapie di differenziazione, volte ad “educare” le cellule tumorali ad evolvere verso un normale sviluppo. Invece che essere distrutte in una guerra molto rischiosa e pericolosa, esse vengono indirizzate cioè a differenziarsi o a morire in modo spontaneo. Si è così dimostrato che i tumori sono, in un certo senso, malattie reversibili e che le cellule tumorali possono ritornare alla normale fisiologia, by-passando le mutazioni che sono all’origine della malignità. Tali libri però non hanno solo lo scopo di far capire cosa sono le malattie tumorali, ma cercano di affrontare anche gli ostacoli che si frappongono alla piena comprensione di tali malattie. Essi, da un lato sottopongono a critica stringente il modello riduzionista, che caratterizza la ricerca scientifica specie nel campo bio-medico, dall’altro pongono le premesse per fondare un paradigma scientifico, che interpreti meglio la realtà nella sua complessità. L’aver infatti dimostrato che è possibile regolare il codice genetico delle cellule tumorali, utilizzando i fattori che regolano lo sviluppo e la differenziazione delle cellule staminali ha portato ad ipotizzare e quindi a sostenere sulla base di evidenze sperimentali di fisiologia cellulare che la comunicazione in biologia avviene attraverso la significazione dei messaggi. Il grande problema che le ricerche da noi effettuate pongono è infatti quello relativo a questa domanda: perché la modificazione del codice genetico in senso differenziativo risulta indispensabile nel determinare un comportamento più benigno della cellula tumorale? Per rispondere a questa domanda occorre necessariamente intendere l’affermazione “le cellule comunicano fra di loro utilizzando codici di significazione” non metaforicamente, ma in senso letterale. Per capire in modo approfondito questa affermazione occorre ampliare il discorso ed illustrare, ad esempio, ciò che avviene nel nostro organismo a seguito dell’assorbimento di una nuova molecola di sintesi mai presente prima nell’ambiente. Si tratta di seguire il destino di una sostanza all’interno di un sistema complesso, quale è un organismo, con cui essa viene per la prima volta in contatto. Supponiamo allora che questa molecola, rispetto alla quale l’organismo non sa come comportarsi e quali vie metaboliche scegliere, dia luogo ad effetti tossici. Il fegato, che di solito è l’organo deputato alla detossificazione, anche se in contatto per la prima volta con questa sostanza, è in grado, non solo di recepirne la forma, ma anche di capire il contenuto del messaggio. Infatti la cellula epatica, se la sostanza è tossica, mette in atto diversi sistemi di detossificazione, e, se necessario, modifica anche se stessa, nelle sue capacità di velocizzare i processi biotrasfomativi, che portano la sostanza all’innocuità. Come è possibile che questo avvenga? Ciò avviene perché la completa differenziazione cellulare, che dà origine ad un nuovo essere, si identifica con l’emergere della mente e del processo della cognizione. Questo interessa il cervello, che è la struttura specifica per mezzo della quale il processo della cognizione agisce. Ma è l’organismo in toto con tutti i suoi sottosistemi ed organi a funzionare come un’unica rete cognitiva. È l’emergere dell’identità organismica, di un nuovo sistema complesso adattativo, che fa sì che i sottosistemi acquisiscano la capacità di significare i messaggi. Con ciò voglio dire che, quando si forma un nuovo essere, il sistema di regolazione e di controllo di ogni cellula, non governa solo la cellula in questione, ma esso si collega con tutti quelli delle altre cellule. È questo sorprendente livello di coerenza, che si stabilisce fin dall’inizio dello sviluppo embrionario, che rende possibile la vita. Ciò avviene in tutte le specie animali, laddove comunque si formi una nuova identità, un’unità che funzioni come un organismo. In altre parole, allorché si forma un organismo con una propria individualità, si vengono a creare quelle caratteristiche che gli studiosi della complessità attribuiscono ai sistemi complessi adattativi. Un sistema complesso adattativo ha infatti la capacità di: a) apprendere dall’esperienza, b) di generare nuovi sistemi complessi adattativi, c) di percepire l’informazione come flusso di dati, di codificarla e di esprimerla come “schema”. È questa capacità complessiva che distingue un organismo da un insieme di cellule. L’organismo è molto di più della somma delle singole parti, proprio in virtù di queste capacità acquisite con l’organizzazione a sistema e a rete cognitiva. Occorre a questo punto precisare, tornando all’esempio della cellula epatica, che, se decontestualizzata e posta per esempio in vitro, essa non è in grado di “capire” il “significato” di tossico, in quanto le mancano i collegamenti con la rete, da cui derivano tutte le informazioni utili per la significazione. È infatti la rete organismica ad informare la cellula epatica, che la molecola è “tossica”. Ritornando ai concetti di tossicologia, una molecola è tossica, quando è in grado di provocare vari danni a livello di organi diversi a seconda della suo tropismo, oppure a livello dell’intero organismo se ha effetti sistemici. Orbene i danni provocati comportano la produzione di varie molecole, che non si ritrovano in condizioni fisiologiche e che sono per l’appunto espressione del danno. Ad esempio, se una sostanza è irritante e provoca processi infiammatori, si troveranno nell’organismo molte sostanze, che usualmente sono prodotte in questi casi; oppure, se la sostanza provoca necrosi, si ritroveranno nel torrente circolatorio varie molecole espressione della morte cellulare. Quando tali molecole arrivano alla cellula epatica, questa ne registra la presenza, integra i vari segnali e comprende che una sostanza estranea all’organismo sta producendo dei danni. Così quando la cellula epatica viene in contatto, seppure per la prima volta, con una sostanza individuata come estranea, sa che deve indirizzarla a vie metaboliche che la portano a perdere la tossicità. In sintesi, la cellula epatica, come del resto tutte le altre cellule dell’organismo, ha molte possibilità di scelta: ne sceglie una di queste, in base alle diverse informazioni che essa elabora e che le arrivano dall’organismo, inteso come rete cognitiva. Se la cellula non fosse contestualizzata, le mancherebbero le informazioni che provengono dalla rete e, non sapendo quali scelte fare, verrebbe uccisa dalla presenza di un tossico. Ecco perché le cellule decontestualizzate muoiono facilmente, mentre quelle in rete, resistono agli attacchi esterni e sono robuste. E l’organismo che rende la singola cellula, che fa parte del suo contesto, intelligente e capace di significare i messaggi. È dunque il contesto ad avere importanza: esso fa si che le varie reazioni chimiche o chimico fisiche che in esso avvengono, non siano espressione di semplici eventi meccanici e di un determinismo cieco. È il contesto che indirizza l’informazione e fa si che una medesima molecola possa dar luogo a comportamenti diversi. A livello biologico, dunque, esistono diversi gradi di libertà di scelta: essi determinano i comportamenti intelligenti volti a mantenere la vita stessa. La vita e l’informazione sono inscindibilmente connesse: l’informazione ed i comportamenti intelligenti sono immanenti alla materia, a tutti i livelli della vita. In tale spazio di libertà, a livello organismico le cellule, dunque, comunicano fra di loro in modo intelligente e ciascuna di esse si adegua alle esigenze delle altre. Questo avviene in quanto i codici genetico ed epigenetico, pur nella loro plasticità, usano lo stesso schema per decodificare ed interpretare i messaggi. Sono codici che sono stati modulati durante l’embriogenesi, che sono stati regolati in modo diverso in ciascuna cellula differenziata, ma che in ciascuna cellula sono rimasti sintonici e sin-significanti con tutte le altre. L’esempio di livello di comunicazione più elevato presente nella vita si ha proprio durante la gravidanza, quando due esseri collaborano a rinnovare la vita stessa. Da ulteriori studi effettuati nei nostri laboratori, oltre a quelli già menzionati, è risultato infatti che durante la gravidanza la madre coopera in modo decisivo allo sviluppo embrionario e che l’utero non è un contenitore meccanico, ma un organo di regolazione. In particolare è stata isolata dalla mucosa di utero gravido di diversi mammiferi una frazione a basso peso molecolare, inferiore a 10 kDaltons in grado di inibire la crescita di vari tipi di tumori in vitro, inducendo nelle cellule tumorali una via metabolica, che porta alla morte cellulare programmata. Tale frazione è già presente nella mucosa di utero gravido al momento dell’impianto dell’uovo fecondato, molto prima dunque che si formino i diversi organi ed apparati dell’embrione, compreso il cervello. Essa è inattiva sulle cellule normali, mentre sembra essere in grado di individuare e distruggere qualsiasi cellula, che devia dal normale sviluppo, sia questa una cellula tumorale, sia un linfocita attivato, che può mettere in pericolo la vita dell’embrione. Detta frazione è stata pertanto da noi chiamata “Life Protecting Factor” ad indicare un meraviglioso colloquio che avviene fra madre e bambino, in cui i significanti sono rappresentate dalle tracce di molecole, invece che di onde sonore, ma in cui i significati vengono chiaramente comunicati. Noi non siamo in grado di cogliere questa comunicazione che avviene a tutti i livelli dell’universo, perché abbiamo un limite intrinseco, rappresentato dalla nostra mente, che è in grado di cogliere certe realtà e non altre. Per detto motivo occorre comunque tenere presente che la realtà, che noi studiamo e siamo in grado di conoscere con i nostri metodi sperimentali di semplificazione, rappresenta solo una piccola parte della realtà che ci circonda, che è invece molto più ricca e complessa. Così quello che si pensava essere solo un gruppo di cellule staminali senza significato, in realtà, dopo studi più approfonditi, risulta essere qualcosa di molto diverso: è una nuova “realtà emergente”, cioè un nuovo essere e la madre lo sa: come abbiamo visto, lo sa, non in senso metaforico, ma letterale del termine. Essa protegge questo nuovo essere, che lei vede come un altro individuo diverso da sé, da curare e preservare. Il dialogo che avviene in ogni momento fra madre ed embrione è indispensabile per organizzare la vita. Quando questo dialogo si interrompe, la vita è messa in pericolo. È ciò che avviene anche in una persona che si ammala di cancro. Nel paziente oncologico c’è un dialogo, che si è interrotto fra l’individuo ed un gruppo di cellule, facenti parte di un sottosistema, che si è sviluppato, in cui i codici di significazione sono cambiati rispetto a quelli con cui tutte le altre cellule differenziate dell’organismo comunicano. Si tratta di codici legati ad una delle possibili configurazioni presenti negli stadi indifferenziati embrionari, appartenenti ad un sistema complesso adattativo (l’embrione), in cui il messaggio significativo di fondo è: “organizza la vita”. E così la cellula tumorale organizza la propria vita, anche se questo avviene a spese dell’intero organismo, di cui di fatto essa non fa più parte. Si tratta di un problema di semiotica, ovvero di incompatibilità fra codici. Ecco spiegato il motivo per cui le cellule differenziate cooperano ed hanno un comportamento solidale, mentre le cellule tumorali hanno un comportamento distruttivo e maligno nei confronti dell’organismo adulto, anche se esse questo non lo sanno, non facendo parte di quel sistema. Il comportamento della cellula tumorale, dunque, non è un problema che riguarda solo la cellula ed i suoi geni. Per questo una spiegazione basata esclusivamente sui meccanismi molecolari, che vedono il processo come dovuto all’attività di geni e fattori di crescita, che spingono la cellula neoplastica verso una continua moltiplicazione, non mi ha mai completamente soddisfatto e mi ha obbligato a vedere il problema in termini di complessità. Di fatto il cancro rappresenta un sistema complesso adattativo, che cerca di auto organizzarsi: la progressione, la formazione di nuovi vasi sanguigni, la metastatizzazione a distanza, rappresentano le tappe evolutive di un sistema complesso, che cerca di realizzare la vita in tutti i modi. Questa complessità non era però facile da cogliere e da evidenziare. Credo comunque sia stato utile riflettere sulle modalità, con cui avviene la comunicazione nei sistemi viventi, in quanto così è emerso ancora meglio ciò che il riduzionismo non sa cogliere a livello della biologia: le relazioni fra entità in un contesto, le modalità di comunicazione nei sistemi viventi, i problemi legati all’incompatibilità fra codici. Da detta incompatibilità deriva il comportamento della cellula tumorale: non facendo parte dell’organismo adulto, essa evolve come entità autonoma. Solo il contatto con il “suo” microambiente embrionario potrebbe ristabilire la comunicazione. A livello dell’embrione vanno ricercati i networks differenziativi, ovvero le “frasi significanti” che possono aprire il dialogo fra tumore ed individuo ammalato. Si tratta di trovare gli specifici networks differenziativi per ogni specifico ammalato. Questa via è stata aperta: si tratta ora di percorrerla in modo completo. Il cancro rappresenta la più grave patologia della comunicazione a livello del corpo ed è l’equivalente della psicosi a livello della mente: entrambe le patologie distruggono l’integrità del sistema adattativo mente-corpo, quale è un organismo.

Pier Mario Biava
Dirigente cardiologo alta specializzazione patologia cardiovascolare in malattie infettive presso IRCCS Instituto Nazionale Malattie Infettive “L. Spallanzani” di Milano, fondatore dell’Istituto Europeo della Complessità

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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