Fra lavoro e vita privata

In Italia, come in Spagna ed in Grecia, la qualità del lavoro nell’ultimo decennio è peggiorata. Possiamo considerare ancora tutelati in concreto i principi costituzionali che ispirarono l’articolo 36?

“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Così recita l’articolo 36 della Costituzione italiana. Il precetto costituzionale che se ne deduce non è limitato al solo diritto del cittadino ad ottenere un lavoro, ma comprende anche la salvaguardia della sua persona fisica e della sua sfera affettiva. A sua volta, ciò non dipende solo dalla retribuzione, ma anche dalle condizioni di lavoro, quali, ad esempio, la quantità di ore lavorative e la quantità di riposo settimanale o di ferie annuali. Dopo oltre 60 anni, possiamo considerare ancora tutelati in concreto i principi costituzionali che ispirarono l’articolo 36? Com’è cambiata, al riguardo, la condizione dei lavoratori italiani in questi anni segnati da crisi internazionali e cambiamenti interni, i quali hanno inevitabilmente inciso sulla qualità della vita, in particolare su quella dei lavoratori che hanno più che mai bisogno di essere tutelati?

Alcune ricerche svolte nel 2008 dall’Isfol forniscono un’indicazione chiara: in Italia, come in Spagna ed in Grecia, la qualità del lavoro nell’ultimo decennio è peggiorata. Per maturare questa conclusione, i principali fattori presi in considerazione sono stati il potere d’acquisto delle retribuzioni (il quale, secondo rapporti Ires/Cigl del 2010, dal 2002, nelle famiglie di operai ha subito una perdita di circa 3.000 euro contro un guadagno di quasi 6.000 euro per imprenditori ed impiegati), la sicurezza sul lavoro, l’opportunità di carriera, lo spazio per le aspirazioni personali del lavoratore, la possibilità di conseguire un contratto a tempo indeterminato e la conciliabilità tra lavoro e famiglia o, più in generale, la possibilità di avere una vita privata soddisfacente, il cosiddetto “work-life balance”. Valentina Delussu è membro dell’esecutivo dell’USB (Unione Sindacato di Base) e si occupa del settore privato. Interrogata sul presunto calo della qualità del lavoro degli ultimi anni, conferma come, soprattutto per gli operai, questo peggioramento significhi minore potere d’acquisto dei salari e turni di lavoro più stressanti, caratterizzati da un numero inferiore di pause e mansioni sempre più numerose da svolgere in tempi sempre più stretti.

Cruciale, per la Delussu, è il problema della conciliabilità tra lavoro e famiglia: “Mentre prima gli orari di lavoro erano più o meno fissi, si sta andando verso una totale flessibilità e la conseguente richiesta dell’azienda di poter utilizzare il lavoratore quando le fa più comodo, quando ha maggiori carichi di attività. Ciò impedisce al lavoratore di organizzare anche la vita privata in base ai propri impegni lavorativi. Mentre prima un contratto di lavoro doveva avere orari fissi, ora i contratti non lo prevedono; è a discrezione dell’azienda dire, anche giorno per giorno, quale orario il lavoratore deve rispettare e questo non gli consente, ovviamente, di potersi organizzare una vita privata”. La fonte di riferimento è costituita dal complesso di norme noto come “Legge Biagi”, la quale, nel 2003, introduce nel mondo del lavoro il concetto di flessibilità. Essa può riguardare sia il luogo di lavoro, sia la quantità e la distribuzione delle ore in cui viene svolto, garantendo, in principio, la possibilità ai lavoratori di sviluppare altri aspetti della propria vita. Troppo spesso, però, ciò avviene a discrezione delle imprese, le quali possono modificare forma e durata della giornata lavorativa a seconda delle necessità produttive. Le dichiarazioni di Valentina Delussu ribaltano quindi la percezione secondo la quale un orario più flessibile significa maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata. Inoltre, secondo rapporti Ires del 2009, i giovani di età inferiore ai 35 anni – quando godono della fortuna di possedere un impiego – non si sentono tutelati, né sicuri sul luogo di lavoro. È evidente come questo disagio possa ripercuotersi sulla vita familiare, se non sulla volontà stessa di averne una. Cos’è cambiato quindi nel mercato del lavoro che possa giustificare questo apparente peggioramento di primari elementi di qualità? Gli incentivi concessi dai governi alle imprese in questo periodo di crisi hanno ridotto le azioni di queste ultime finalizzate al rilancio della produttività – sostiene la Delessu – ad esempio chiudendo gli stabilimenti in Italia per trasferirli all’estero, come nel recente caso della Fini Compressori di Zola Predosa, Bologna.

Lo Stato, che nei periodi di crisi sostiene l’economia, dovrebbe ridurre gli incentivi diretti alle imprese a vantaggio della situazione economica e dell’intervento diretto e reale a sostegno dei lavoratori. Questo, unito ad un rapporto non troppo accondiscendente dei sindacati concertativi con le imprese in crisi, potrebbe aiutare a garantire qualità del lavoro e dignità al lavoratore, come sancito dalla nostra Costituzione.

Andrea Bolelli
Scienze della Comunicazione Pubblica e Sociale – Università di Bologna

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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