Sviluppo sostenuto e sostenibile

La grande crescita demografica degli ultimi decenni, collegata alla imponente crescita economica dei paesi economicamente sviluppati e a quella di certo non trascurabile dei paesi emergenti, ha creato e va creando anche in prospettiva problemi e preoccupazioni legati alla sostenibilità ambientale dell’attuale modello di sviluppo.

Con ogni probabilità, nella prima metà di questo secolo, la popolazione mondiale, cresciuta nell’ultimo cinquantennio di 4 miliardi di persone, è destinata a rallentare il suo incremento. Ci si attende, fra il 2008 e il 2050, un aumento di oltre 2 miliardi e 400 milioni (fino a raggiungere i 9,2 miliardi), pur sempre molto consistente. Da qui al 2050, la popolazione mondiale sarà caratterizzata da tre elementi: 1) la fortissima differenziazione territoriale; 2) l’accentuatissimo invecchiamento e la grande crescita della popolazione in età lavorativa; 3) la progressiva urbanizzazione.

1) – Le straordinarie differenze territoriali. Per i 50 Paesi più poveri del mondo, ci si aspetta, fra il 2008 e il 2050, un incremento di 918 milioni di persone (da 824 a 1.742), pari al 114%; per gli altri Paesi in via di sviluppo, i Paesi intermedi, a più rapida crescita economica, come Brasile, Cina, India, l’incremento atteso è di 1,5 miliardi (da 4.770 a 6.200), pari al 32%; per i Paesi ricchi del Nord del mondo, si prevede – mettendo già in conto un’immigrazione dal Sud di circa 2 milioni di persone all’anno – una crescita di soli 19 milioni (da 1.226 a 1.245), una sostanziale crescita zero, pari a quasi il 2%.
Con un fortissimo incremento percentuale della popolazione dei Paesi poveri, un assai consistente incremento assoluto di quelli intermedi ed uno debolissimo dei Paesi ricchi, la geo-politica, i rapporti economici e quelli culturali fra le varie regioni del mondo saranno necessariamente ed intensamente cambiati. Con ogni probabilità, questi andamenti produrranno pressioni migratorie fortissime, flussi assai consistenti e praticamente inarrestabili, originati dai Paesi più poveri, quelli a sviluppo minimo. Declinante ci si aspetta che sia la popolazione dell’intera Europa, che vedrebbe calare la sua popolazione di 67 milioni fino a 664 milioni (includendo nei calcoli un’immigrazione totale di oltre 23 milioni di persone); particolarmente crescente quella dell’Africa, di oltre 1 miliardo di persone, fino a toccare quasi 2 miliardi. Per perseguire un ottimo dinamico di popolazione – in relazione a fattori ambientali, economici, sociali, culturali – ed evitare forti tensioni all’interno di ogni grande area regionale, dovrebbe essere resa possibile una mobilità della popolazione sul territorio ’assoluta e libera.
Molti analisti politici, sociali ed economici, concordano sempre più spesso nel ritenere che proprio la variabile demografica – insieme con quella ambientale, includendo qui acqua ed energia, – contribuirà decisamente a determinare il futuro del mondo. Anche la potenza militare perderebbe di rilievo.

2) – Non meno rilevanti devono essere considerati l’assai accentuato invecchiamento delle popolazioni e la grande crescita della popolazione in età lavorativa. In particolare:
i Paesi economicamente progrediti dovranno fronteggiare un invecchiamento di fortissima intensità e di ridotta velocità, visto che in essi la proporzione degli ultrasessantenni sul totale della popolazione dovrebbe arrivare, nel 2050, a superare il 32%. Con problemi gravi, che derivano dal fatto che gli ultrasessantenni dovrebbero aumentare di 148 milioni, mentre tutto il resto della popolazione dovrebbe diminuire (nonostante sia già messa in conto una consistente immigrazione straniera) di 129 milioni di persone;
i Paesi a sviluppo intermedio dovranno fronteggiare un invecchiamento di fortissima intensità e di fortissima velocità, aumentando gli ultrasessantenni di poco meno di 1 miliardo di persone (da 391 a 1.398 milioni) con un incremento percentuale del 239%;
i Paesi a sviluppo minimo dovranno fronteggiare un invecchiamento di ridotta intensità, ma di fortissima velocità, con un incremento del 320%.
Da questi pochi dati, emerge chiaramente come il problema dell’invecchiamento sarà, dal punto di vista demografico-economico e sociale, uno dei temi dominanti di questa prima metà del XXI secolo, potendo mettere in forte crisi i sistemi di welfare, in Occidente, e gli interi sistemi sociali, nei Paesi in via di sviluppo (dove spesso non esistono sistemi di welfare).
Ma prima ancora dell’enorme “bolla” di anziani e vecchi, si avrà, nei Paesi a sviluppo intermedio ed in quelli più poveri a sviluppo minimo, un’immensa “bolla” di popolazione in età lavorativa. La possibilità e la capacità di creare abbastanza lavoro, e lavoro decente, per fronteggiare un’offerta che nei prossimi decenni supererà largamente 1 miliardo e mezzo di persone costituisce una delle sfide principali e più difficili per l’umanità prossima ventura. Gli squilibri attuali e prospettici, a livello macro, di natura demografica, con particolare riferimento alle differenze nei volumi e nella crescita della popolazione in età lavorativa, oltre che economica e sociale, non sono mai stati così forti fra il Nord del mondo, economicamente progredito e demograficamente depresso, ed il Sud, demograficamente vitale ed economicamente depresso. Sono, pertanto, attese migrazioni assai massicce. Anche se poi, a livello micro, per prendere la decisione di partire, conta il bilancio che una singola persona e la sua famiglia fanno, fra la situazione attuale nel luogo di origine e quella sperata nel luogo di destinazione, compresi tutti i costi da affrontare per arrivarci.

3) Altro elemento caratterizzante dello sviluppo della popolazione mondiale è la sua progressiva, assai accentuata, urbanizzazione. Nel 2008, per la prima volta nella storia dell’umanità, la popolazione urbana ha superato in numero quella rurale. Il processo di urbanizzazione nelle megalopoli, e in aree sempre più ampie, appare irreversibile.
La chiave di volta del problema della struttura e delle tendenze della popolazione rurale ed urbana nel mondo sta in pochissime cifre: al 2007, la popolazione rurale era stimata in 3.377 milioni e quella urbana in 3.294; l’incremento atteso fra il 2007 e il 2025 è di soli 49 milioni per la popolazione rurale e di 1.290 per la popolazione urbana, di cui ben 1.106 per quella nei Paesi in via di sviluppo. Dopo il 2025, ci si aspetta che la popolazione rurale cominci a diminuire e quella urbana ad aumentare, in maniera sempre più intensa.
La tendenza appare positiva, considerata l’importanza dell’urbanizzazione per la crescita economica e per il benessere delle persone. L’urbanizzazione determina, quindi, riduzione della povertà. Sono in molti a concordare sulla circostanza che la crescita delle città è il singolo maggior fattore che può influenzare lo sviluppo economico-sociale del 21mo secolo, nonostante circa 1 miliardo di persone viva nelle baraccopoli (in condizioni di sovraffollamento, senza l’accesso a servizi essenziali come acqua potabile e fogne).
Essendo l’urbanizzazione intensissima, irrefrenabile e, nonostante tutto, portatrice potenziale, e in parte reale, di benessere e promozione sociale e professionale, il difficile e complesso problema che si pone sotto l’aspetto tecnico e politico è come fare in modo che gli elementi positivi siano fruibili da tutta la popolazione urbana. Problema di dimensioni davvero enormi, considerando che nel mondo vi sono 49 grandi agglomerazioni urbane con 5 milioni o più di abitanti, 19 delle quali sono mega-città con più di 10 milioni di abitanti. Ognuna di queste ultime conta più abitanti di 118 singoli Stati sulla Terra. Le città di media dimensione (0,5-5,0 milioni di abitanti) sono circa 800.
L’aspetto più rilevante della “rivoluzione urbana” è che l’assai consistente futura crescita demografica sarà assorbita quasi interamente dalle aree urbane dei Paesi in via di sviluppo.

4) Gli elementi indicati nei paragrafi precedenti – tutti di grande importanza e significato – mostrano quanto importanti, grandi, difficili, soprattutto nella gestione politica, siano nel breve e nel lungo periodo i problemi legati alla demografia. Davvero di straordinaria portata. Richiedono anche un forte impegno della comunità internazionale. Premessa di tutto è l’acquisizione di piene consapevolezza e responsabilità riguardo alla situazione, alle tendenze demografiche ed all’insieme delle politiche socio-economiche necessarie per fronteggiarle.

A livello macro, fortemente dinamiche sono le relazioni dell’Uomo con il resto del mondo, animale e vegetale. Verso cui, da parte della comunità internazionale, si vanno attribuendo e riconoscendo nuove caratteristiche di particolarità e individualità, e, quindi, nuove attenzioni e “diritti”, certamente degni di essere considerati, ma che qui ci si limita soltanto a segnalare. Saranno, con ogni probabilità, oggetto di maggiore attenzione quando, tenuto ormai sotto controllo il problema della crescita demografica, le grandi disparità ed iniquità fra i popoli e le nazioni da un lato, e i gruppi di popolazione all’interno della stessa nazione dall’altro, si saranno, quanto meno, attenuate.

Molto maggiore è già adesso l’attenzione rivolta alle relazioni fra l’Uomo e l’ambiente, per le numerose e varie problematiche ad esse collegate. La grande crescita demografica degli ultimi decenni, collegata all’imponente crescita economica dei Paesi economicamente sviluppati e a quella non trascurabile dei Paesi emergenti, ha creato, e va creando, anche in prospettiva, problemi e preoccupazioni legati alla sostenibilità ambientale dell’attuale modello di sviluppo. Una preoccupazione che parte già più di trent’anni fa, nel 1972, con il famosissimo Rapporto del Club di Roma “I limiti dello sviluppo”. Rapporto, poi, in parte trascurato, e, in alcuni casi, dimenticato, per il fatto che non prendeva sufficientemente in considerazione gli elementi di contrasto ai limiti dello sviluppo dovuti ai progressi della tecnologia. E poi, ancora, una quindicina di anni dopo, nel 1987, con la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite, presieduta dalla norvegese Gro Brundtland, che nel rapporto “Il nostro comune futuro” introdusse proprio il concetto di “sviluppo sostenibile”, uno “sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Non sempre e non dovunque vi è però la stessa capacità-volontà di guardare al nostro futuro comune e le crisi delle grandi Conferenze internazionali sull’ambiente – a partire da quella di Kyoto dell’ormai lontano 1997 – lo testimoniano. Il contrasto internazionale, che si riflette anche nei dibattiti all’Onu, sta nelle assai divergenti posizioni dei Paesi più ricchi, che stentano a ridurre i propri consumi ecologicamente incompatibili, e quindi il proprio contributo al degrado ambientale, e quella dei Paesi emergenti, che desiderano uno “sviluppo sostenuto” di tipo occidentale, piuttosto che uno “sviluppo sostenibile”. Ora che la riduzione del futuro ritmo di crescita della popolazione mondiale è un fatto annunciato e scritto, che ha altissime probabilità di verificarsi, la questione del rapporto fra uomo e natura sotto il profilo ambientale si sposta soprattutto sulla sostenibilità di alcuni consumi, da valutare sotto il profilo quantitativo e qualitativo.

A livello micro, individuale, si porranno sempre più frequentemente problemi etici, giuridici e politici, dal momento che, nella procreazione, – frutto del desiderio e della volontà di avere un figlio che si manifesta nel se, quando e quanti averne – l’atto creativo si va spostando sempre più dalla natura all’uomo, perché l’uomo è diventato realizzabile da parte dell’uomo stesso, che può produrlo e manipolarlo attraverso la tecnica, laddove la natura abbia fallito.
Non soltanto nel dare la vita sono parzialmente cambiati i limiti della natura, ma più che mai nel lasciare la vita dove l’intrusione, e spesso l’invasione, della tecnica va costantemente spostando in avanti l’evento morte, lasciando in vita un numero straordinariamente crescente di persone fino ad età incredibilmente avanzate, o in una condizione di sospensione, fra la vita e la morte, dell’essere umano. Emerge così sempre più nettamente, nelle società contemporanee, spesso lacerando le coscienze, la profonda esigenza di possedere un diritto etico ed un diritto biologico collegati all’angoscioso interrogativo sul senso del nostro nascere, vivere e morire.

Antonio Golini
Professore Ordinario di Demografia, Università di Roma “La Sapienza”
Accademico dei Lincei, Direttore della rivista Genus

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