Radici storiche e culturali dell’omofobia

Nell’antica Grecia l’omosessualità maschile era una pratica comune e nobile, purché praticata da un adulto degno e responsabile nell’ambito della formazione e dell’istruzione dei giovani adolescenti (paides) (Cantarella, 1999). La pratica omosessuale tra maschi adulti, invece, anche se largamente diffusa nella popolazione, non riceveva una completa approvazione sociale, in particolare nei confronti di colui che nella coppia assumeva il ruolo passivo; solo su questo infatti si appuntava il discredito e la riprovazione sociale, “…solo uno dei due era il vizioso, l’indegno, quello da ridicolizzare” (ibidem, pag. 70). Per il katatygōn, cioè il maschio passivo, Aristofane ha coniato nelle sue commedie termini come “culo largo” (europrōktoy), “culo a cisterna” (chaunoprōktoy), ecc…, dando origine a quella nutritissima serie di epiteti offensivi e omofobici verso gli omosessuali maschi, di cui, come è stato accennato nel paragrafo precedente (cfr. nota 10), sono particolarmente ricchi i linguaggi delle popolazioni. Anche presso gli antichi romani l’omosessualità maschile era ampiamente praticata e socialmente accettata, ma anche qui con precise regole e limitazioni. Il romano, allevato sin dall’infanzia come un dominatore, doveva dimostrare la sua superiorità e la sua virilità anche sottomettendo sessualmente un altro uomo. Non però un uomo libero, anch’esso cittadino romano, ma uno schiavo, un prostituto o un nemico vinto (ibidem). Anche i romani, tuttavia, influenzati dall’ellenizzazione in atto, avevano preso l’abitudine di corteggiare apertamente e sfacciatamente i ragazzi liberi e a praticare l’omosessualità anche tra adulti. Anche in questo caso la riprovazione, il dileggio e la condanna, seppure solo sociale, erano diretti unicamente al maschio passivo (molles). A seguito dell’eccessivo diffondersi di queste pratiche, cominciarono ad apparire nell’Impero le prime leggi scritte repressive, tra cui la Lex Scatinia del II secolo a. C., ampiamente disattesa, che prevedeva solo pene pecuniarie. Successivamente le tappe della repressione omosessuale vengono così a delinearsi: nel 342 Costanzo e Costante con una costituzione stabilivano che gli omosessuali passivi fossero condannati alla castrazione; con il Codice Teodosiano del 438 gli omosessuali passivi venivano condannati ad essere arsi vivi; con le Istituzioni di Giustiniano del 533 venivano condannati a morte anche gli omosessuali attivi. Per cercare una risposta a come si sia giunti a questa escalation repressiva nei confronti dell’omosessualità – non solo tollerata nei secoli ma, se attiva, considerata un segno di virilità – è necessario esaminare l’evoluzione del pensiero e della morale pagana e dell’insegnamento cristiano (ibidem).

Domenico Berardi,
Dottore in Scienze e tecniche psicologiche
(www.dberardi.it)

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