Il mondo sommerso

“Il mondo è pericoloso non a causa di quelli che fanno del male ma di quelli che guardano e lasciano fare” (Albert Einstein).

Ogni forma di violenza comunica qualcosa, qualcosa che informa ed allo stesso tempo deforma chi la subisce. La violenza sessuale è un problema di tutti, è dell’intera comunità, che deve porsi il problema e trovare risposte efficaci attraverso una politica seria d’interventi di prevenzione che, deve fondarsi su basi di una conoscenza approfondita del fenomeno, per ciò che è e per come si manifesta. Chi la subisce? Le donne in prevalenza ed i minori. Questo è un inquietante fenomeno che negli ultimi anni è diffuso in tutte le classi sociali, soprattutto tra i giovani, e che si manifesta attraverso un insieme di atti che vanno dall’incesto allo stupro, dallo sfruttamento alla segregazione, al ricatto. I fatti di cronaca lo testimoniano, la vastità del fenomeno con tutta la drammaticità con cui si rappresenta, quasi quotidianamente, porta a chiederci: si poteva fare qualcosa prima? Si poteva prevenire il trauma, l’angoscia di chi ha subito la violenza? La società si identifica con una sempre più crescente perdita di valori dove la mancanza di identità collettiva e di certezze a livello individuale determinano una sempre più profonda e a tratti insanabile crisi sociale. Tutto ciò è dovuto alla modificazione dei ruoli, alla modificazione dei modelli comportamentali di riferimento. La crisi della società che sempre più genera e produce disagio rappresentato da soggetti nevrotici, insicuri, deboli e allo stesso tempo violenti. Le vittime predilette sono le donne e i bambini. La violenza si manifesta in un’unica ingiustizia, un legame che vincola un oppresso ad un prepotente, l’ultima di queste prepotenze è la violenza sessuale. La violenza sessuale è lo strumento attraverso cui la società maschile delimita e regolamenta lo spazio concesso alle donne. Pertanto, si potrebbe forse affermare che la violenza o la sua minacciosa presenza funge da controllo sociale, riproduzione dei rapporti di potere tra uomo e donna. Una realtà che non deve restare sommersa, l’abuso e la violenza di donne e bambini spesso è prevalente nel contesto familiare. Lo Stato ha offerto una risposta alla violenza sessuale, normando ed identificando, questo fatto reato, solo nel 1996 con la Legge del 15 febbraio n°66 Riforma dei reati in materia di violenza sessuale. Sottolineo solo perché, solo dopo 5 legislature, il primo progetto è del 1979 (ci sono voluti 17 anni) perché un reato identificato contro “la morale” assumesse il significato di reato contro la “persona”. Ci sono volute tante vittime di violenza e fatti cruenti perché, finalmente, il potere politico-legislativo di genere maschile deliberasse nel giusto senso, e qui ci sta, “morale” di rispetto per le vittime che sono persone, ovvero donne e bambini. La legge n°66/96 ha così nei suoi contenuti:
• Lo spostamento dei delitti in materia di violenza sessuale nel titolo dei delitti contro la persona;
• L’elevazione della pena;
• L’accorpamento di un’unica fattispecie della congiunzione carnale e degli atti di libidine violenta;
• La procedibilità a querela irrevocabile, con alcune eccezioni in cui si procede d’ufficio;
• La riservatezza della vittima;
• L’introduzione del reato così detto di <<stupro di gruppo>>;
• Il parziale riconoscimento della sessualità fra minori.
È opportuno contestualizzare la situazione Italiana rispetto a questo fatto reato. È bene determinare e specificare le caratteristiche di coloro che commettono queste azioni, ovvero dei sex offenders, come noi tecnici del settore li classifichiamo. Gli attori di reati sessuali hanno un’età compresa tra i 35 e i 59 anni nel 70% dei casi, di cui il 12,4% tra i 26 anni ed i 34 anni, più di 59 anni il 12,7%.
La loro provenienza territoriale è per il 60,9% dal Sud ed Isole; il 19, 1% dal Nord, dal Centro il 17,1%, gli stranieri sono il 2,09%. Il loro stato civile: sposati il 43, 9%, celibi il 30,8%. Contestualizziamo ancora più approfonditamente gli autori di reato: il livello di istruzione generalmente è molto basso (elementare-analfabeti) per il 58.3%, possiedono il titolo di licenza media il 34,4%, solo il 2,1% sono laureati. L’attività lavorativa svolta da costoro è per il 40% operai, il 15,6% sono disoccupati. La composizione del nucleo familiare per il 70% è normocostituita ed il 30% è disgregato. Altri indicatori utili da rilevare rispetto al loro vissuto importante è che: il 22,4% hanno trascorso la loro infanzia in Istituto, il 12,7% hanno subito maltrattamenti, il 10% ha subito abusi sessuali; l’85,6% non hanno avuto precedenti. Rispetto al fatto reato, il 76,2% sono ascrivibili a reati di violenza carnale, il 15,9% sono atti di libidine violenta. All’atto della condanna, solo al 15,1% viene applicata una misura di sicurezza (il 64,3% libertà vigilata – 7,1% interdizione da pubblici uffici e perdita della potestà genitoriale – 14,3% casa di lavoro) solo per il 14,3% ci si preoccupa di curarli e si applica la misura di sicurezza dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (O.P.G.). La problematica della recidiva, ovvero della commissione di un nuovo reato di violenza, dopo aver espiato una condanna per lo stesso reato è del 17,9%. Quali sono i luoghi dove si commette il reato di violenza, in cui avviene il fatto reato? In casa dell’autore il 27,3% il più delle volte; in casa della vittima il 23,2%; per strada in luogo aperto il 22,2% dei casi. Su 596 casi studiati, dei condannati detenuti le vittime per il 62,6% erano donne e 37,4% minori di sesso maschile. Altro dato significativo per la valutazione del fenomeno comportamentale del crimine da analizzare è la relazione che esiste tra autore del reato e la vittima. Pertanto, è emerso che; nel 39,7% dei casi si subisce la violenza nell’ambito familiare; nel 10% dei casi si subisce violenza da conoscenti da lungo tempo (amico-vicino); nel 19,5% dei casi si subisce violenza da conoscenti da breve tempo; nell’11,3% dei casi si subisce violenza da conoscenti. Lo Stato a tutto ciò risponde con la condanna penale, quindi il carcere, l’autore di reato entra nel circuito penitenziario ed inizia così un percorso sanzionatorio accompagnato da un percorso trattamentale in un processo di recupero e reinserimento del soggetto, in una prospettiva di prevenzione della recidiva, a salvaguardia della società che a fine pena lo deve riaccogliere. Ma la società, respinge, non accoglie, non cura, crea barriere, non previene e crea i presupposti per la recidiva. Ciò che si può e si deve fare è curare socialmente e terapeuticamente nel processo di reinserimento degli autori di reato che devono non commettere più azioni delittuose. La società non può indurre al delitto, non intervenendo in azioni atte a sanare comportamenti non conformi e condivisi dalla collettività. Cosa fare? Il trattamento penitenziario da solo non è sufficiente perché, l’abusante spesso è portatore di patologie e necessita di cure, come molti fatti di cronaca purtroppo dimostrano. Il 90% dei casi di violenza e abuso sui minori, per fare un esempio, è intrafamiliare ed è portatore di patologie che necessitano di intervento terapeutico, ciò significa che il sistema penitenziario deve aprirsi alla “comunità esterna.” Prevenire la recidiva quindi vuol dire, attivare concrete opportunità trattamentali per riaccogliere in ambito sociale, perché l’attore di reato a fine condanna è nuovamente un uomo libero, è necessario che questo sia una persona che abbia un ridotto o assente rischio di recidiva. Nell’interesse della società stessa quindi è opportuno pensare di costruire con la comunità esterna al carcere, percorsi di accompagnamento dei soggetti che, finita la pena o in esecuzione penale esterna al carcere, abbiano l’obiettivo dell’inclusione sociale degli stessi, creando i presupposti di non ricaduta, ma di cura e reinserimento. L’interrogativo da porsi è, quale forma di reinserimento sarà possibile al momento dell’uscita dal carcere? Alla luce di ciò, bisogna valutare il soggetto autore di reato rispetto: le proprie risorse personali-psichiche; la sua capacità d’integrazione; le sue carenze e necessità terapeutiche. Deve esserci continuità tra pena detentiva e trattamento terapeutico, solo prestando attenzione alla continuità trattamentali del soggetto da “dentro” al “fuori” con sostegno e orientamento, con cura e recupero del soggetto attraverso un percorso terapeutico, potremo dire di aver assolto alla funzione di prevenzione della recidiva che, la norma ci impone e lo Stato vuole. Il codice penale (art. 609/bis) definisce il termine violenza sessuale, non solo la violenza carnale ma anche gli atti di libidine violenti, la violenza sessuale e altri delitti che ledono la “sfera” della moralità pubblica ed il buon costume, con la legge n. 66/1996 diventano reati “contro la persona”. La legge così tutela, il bene leso, la singola persona (maschio o femmina) adulto, minore (perché incapace di esprimere un consenso autenticamente libero e cosciente). La legge ha costituito una rivoluzione etico-culturale, la sfera della sessualità è un “diritto” della persona umana che ne dispone e ne è titolare con esclusiva soggettività. La libertà sessuale è una libertà individuale, un diritto riconosciuto alla persona per una libera sessualità. Ogni tre giorni, in Italia, una donna viene uccisa dall’uomo che diceva di amarla. Il più delle volte l’assassino aveva le chiavi di casa: in 3 casi su 4 era il convivente o il marito. Questa è l’evoluzione della violenza contro le donne, che non si ferma al mero atto di violenza sessuale, ma si evolve e degenera sino all’eliminazione della vittima. Allarme sociale è il fatto che, nel 40% dei casi il carnefice è mosso da forme patologiche di gelosia e disturbi paranoici. Meditiamo, e poniamoci in una prospettiva di prevenzione e cura, se vogliamo dei risultati efficaci e non fermiamoci solo alla sanzione. Il problema-fenomeno è altra cosa.

Rossana Carta
Direttore dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna
Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della Sardegna

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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